Roma nun fa’ la stupida domenica

Dopo cinque anni di Virginia Raggi, la capitale torna alle urne. Il 3 e 4 ottobre si terrà il primo turno ma occorrerà il ballottaggio per vedere chi siederà sullo scranno più alto del Campidoglio. E il 17 e 18 ottobre, a meno di sorprese, la sindaca non ci sarà.
ETTORE SINISCALCHI
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Dopo cinque anni di Virginia Raggi, Roma torna alle urne. Il 3 e 4 ottobre si terrà il primo turno ma occorrerà il ballottaggio per vedere chi siederà sullo scranno più alto del Campidoglio. E il 17 e 18 ottobre, a meno di sorprese, la sindaca non ci sarà. 

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Il governo dei Cinque stelle della capitale d’Italia non è amato dai cittadini che, pure, l’avevano eletta col 67 per cento e oltre 770 mila preferenze, doppiando in voti e percentuale il dem Roberto Giachetti. Quattro anni dopo, i romani che si misurano quotidianamente con disservizi e mancata manutenzione in uno scenario sempre più degradato, bocciano l’amministrazione. La storia romana dei 5S è stata difficile. Lotte intestine, crisi, dimissioni e epurazioni hanno paralizzato la macchina comunale, copione spesso ripetutosi nei municipi. La sindaca però ha tenuto duro, sorda alle critiche esterne, alle interne ha risposto blindandosi col leader-fondatore Beppe Grillo – che ha guardato con fastidio al cupio dissolvi del grillismo romano – e ha resistito nel proposito di ripresentarsi. 

Iniziativa col segretario nazionale del Pd nel quartiere Primavalle, periferia storica del quadrante nord-ovest della capitale.

Sembra difficile che Raggi possa fare più che disputarsi la terza piazza con Carlo Calenda. Per quanto i sondaggi parlino di “lotteria” del primo turno, a Roma il centrodestra anche se presentasse un sasso non prenderebbe meno del 30 per cento; e il Pd e il centrosinistra, per quanto ancora squassati dalla vicenda-Marino, sembrano poter recuperare una parte del loro elettorato. Roberto Gualtieri ha due incognite sulla strada del ballottaggio, quanti dei voti andati ai 5S torneranno a casa, quanti ne sottrarrà al primo turno Calenda, che tenta anche parte dell’elettorato di Enrico Michetti, il candidato del centrodestra. Le incognite principali di questo voto, insomma, sono a chi andranno i voti in uscita dei 5S e a chi strapperà più elettorato Calenda.

La legge elettorale è maggioritaria per il sindaco e semi proporzionale per il Consiglio, slle liste che appoggiano il vincente va almeno il 60 per cento dei seggi, il resto alle opposizioni. 48 i consiglieri da eleggere, sbarramento al tre per cento, è ammesso il voto disgiunto, si possono esprimere fino a due preferenze con alternanza di genere. Sono chiamati alle urne in poco più di due milioni e 378 mila (più quasi 7.400 cittadini europei con diritto di voto). Oltre 292 mila elettori sono residenti all’estero, in genere disertano il voto, pochi votano per posta, qualcuno approfitta per tornare in visita a casa. Le donne sono 1.257.078, gli uomini 1.121.111 – fra gli expat invece poco più della metà sono uomini. I nuovi elettori sono circa 22 mila, 11.405 uomini e 10.925 donne.   

La scheda elettorale avrà dimensioni notevoli: 22 candidati e 38 liste collegate. Il sorteggio ha premiato Michetti, il primo in alto a sinistra. Gualtieri, pur diciassettesimo, non è tanto sfavorito, ha il primo spazio in alto della terza fila. Gualtieri si presenta con sette liste, Raggi e Michetti con sei, Calenda corre solo con la civica. La gara è a quattro ma è interessante guardare per sommi capi al resto dei concorrenti, perché ci dice qualcosa anche di quanto accaduto nella politica romana in questi anni di Giunta Raggi. 

Roberto Gualtieri tra i banchi del Mercato Tuscolano III

Alcuni vengono dall’implosione dei 5S o sono esterni che hanno condiviso pezzi dell’esperienza di governo. Monica Lozzi, presidente uscente del municipio VII, candidata per la lista ‘Revoluzione Civica’, e Margherita Corrado, senatrice di Crotone espulsa dal movimento e candidata di Attiva Roma, sono due ex. Paolo Berdini, ingegnere e urbanista, allievo di Italo Insolera e già impegnato nel Pci, è stato assessore all’Urbanistica con Raggi sino al febbraio 2017, rompendo sul progetto del nuovo stadio della Roma, successivamente naufragato; è candidato sindaco con la lista “Roma Ti Riguarda” (Rifondazione Comunista, una formazione ecologista e un partito meridionalista). Legata ai 5S anche Micaela Quintavalle, ex autista Atac e esponente di un sindacato dell’azienda dei trasporti romana, licenziata dopo un’intervista al programma “Le Iene” sugli incendi degli autobus romani. Rappresenta una parte dell’amministrazione e delle aziende partecipate che per prima guardò a Raggi; collaborò poi coi 5s, partecipò, bocciata, alle “europarlamentarie” e si allontanò. Ora è candidata del Partito Comunista di Marco Rizzo.

Elisabetta Capitano

Restando a sinistra del Pd, Elisabetta Canitano è la candidata di Potere al popolo, incarnazione romana della lista napoletana dell’era De Magistris, lì costruita attorno all’esperienza del centro sociale Je so’ pazzo, qui aggregante di diverse e composite esperienze personali, di base e del territorio. Figura conosciuta a Roma, ginecologa “militante”, sempre al fianco delle donne, lavora nelle strutture sanitarie pubbliche dove ha ricoperto ruoli di rilievo nell’organizzazione e modernizzazione dei servizi. È presidente dell’Associazione Vitadidonna odv, sita nella storica Casa internazionale delle donne, che eroga assistenza ostetrico-ginecologica gratuita e consulenza telefonica – Canitano ha sempre il telefono acceso per ricevere chiamate da tutta Italia di donne, molte ragazze, che non riescono a farsi dare la pillola del giorno dopo; ricorda loro gli obblighi di legge e le sanzioni conseguenti, pronta a farlo direttamente anche al farmacista riluttante. Irriducibile a una collaborazione col Pd, dal quale si è allontanata in polemica con le politiche sanitarie di Nicola Zingaretti di sviluppo del privato convenzionato, Canitano rappresenta una parte di quel capitale politico e culturale del Pci romano che il Pd non è riuscito ad accogliere e rappresentare. 

Il Pci romano è un fantasma che spunta qua e là, nelle liste che presentano la falce e martello – materializzandosi in pieno graficamente nella lista del Pci, che ha conquistato nome e simbolo del fu Partito comunista italiano – ma che si manifesta in ogni fase pre elettorale, quando ci si chiede cosa fare di Roma e si evoca quel patrimonio politico disperso. A cui guardano alcune personalità legate, direttamente o indirettamente, a quella stagione nella sua fase finale, si pensi ai riferimenti di Giovanni Caudo e Berdini al lavoro e al pensiero di Walter Tocci – altro patrimonio politico a cui il Pd, pur riuscendolo a conservare a sé, non è stato in grado di rivolgersi nell’elaborazione di un progetto di governo per Roma – o, in altro senso, all’influenza ormai mitizzata di Goffredo Bettini. 

Sergio Iacomoni, detto Nerone

Il lungo elenco di candidati a governare la Città eterna continua con Fabrizio Marrazzo, candidato sindaco del Partito Gay per i diritti LGBT+, Rosario Trefiletti de L’Italia dei Valori, la reincarnazione del Pci che candida la segretaria romana Cristina Cirillo e altri nomi e liste che omettiamo, ma tra le quali non mancano la candidata del Popolo della famiglia, un candidato con lista antivaccinista, uno liberista, uno, detto Nerone, con lista omonima e simbolo col profilo dell’imperatore, uno con una lista Libertas e scudo crociato a evocare la DC, uno con lista sovranista “antieuropeista e patriottica” e un Partito delle buone maniere con aspirante sindaco un sessuologo napoletano, nome d’arte Dr. Seduction. 

Enrico Michetti al mercato di Porta Portese II

È stata una campagna elettorale tardiva, iniziata in sordina, in una Roma disincantata e ostile, con un nervosismo che sa più di ultima spiaggia, rese dei conti e speranze incerte che di passaggio storico per la città. Nervosismo esploso con le rese dei conti locali e nazionali, la pseudo-apertura a Raggi dell’ex sindaco Marino, in realtà solo l’ennesima, smisurata, frecciata al Pd, le faide nel centrodestra prossime alle urne, il siluro di Giorgetti a Michetti, le incursioni dei renziani pro Calenda nei territori del centrosinistra. 

A iniziare per primo, ben prima dell’apertura ufficiale delle danze, è stato Carlo Calenda. Ha speso molti soldi. Con autobus, affissioni, il confermato occhio di riguardo da parte della stampa, unito a una pensata strategia comunicativa e al suo sistema di relazioni, arricchito da poche ma strategiche figure strappate al Pd, ha dominato la scena. Ha iniziato fotografandosi con testi di urbanistica e storia della città, ha messo su gruppi di lavoro,  prodotto proposte e programma, ha continuamente sottolineato di essere l’unico a farlo. Con le primarie e la scelta di Gualtieri il protagonismo si è ridotto, alcune proposte hanno avuto un’eco maggiore, come quella sul museo unico romano, un mezzo boomerang, suscitando sempre riscontro sui media ma dividendo la scena con gli altri protagonisti.

Virginia Raggi con Giuseppe Conte

Virginia Raggi ha fatto la sua campagna elettorale rivendicando tutto. Ascoltata da chi l’apprezza, accolta dagli altri quasi senza neanche più scandalo. Ha trovato qualche appoggio e molti denigratori ma è come se il non governo della città fosse talmente evidente che, in fondo, non vale la pena di parlarne, anche per gli avversari, annoia. In questo fiume, Raggi passa indenne le correnti, armata di faccia tosta e giovanile resistenza, col principale obiettivo di non arrivare ultima nella gara con Calenda.

Enrico Michetti è favorito dai sondaggi al primo turno ma al ballottaggio è dato soccombente contro Gualtieri. Il candidato del centrodestra non è riuscito a sfondare. La notorietà di tribuno radiofonico non si è convertita in consenso; la nostalgia mussoliniana, le relazioni col tifo organizzato, hanno intimorito una parte di elettorato moderato; i riferimenti alla gloria della Roma imperiale, l’incapacità di gestire il confronto pubblico, hanno oscurato il formatore e consulente legale per la pubblica amministrazione. Il candidato di Meloni, imposto a Salvini e Berlusconi, non si è rivelato all’altezza, malgrado il supporto della candidata “pro sindaca”, la giudice Simonetta Matone, gradita a quel che resta di Forza Italia e alla Lega. La rendita di posizione del centrodestra romano è alta ma non è detto che basti, anche perché appare più diviso del centrosinistra. Le dinamiche nazionali, che negli avversari si sono manifestate soprattutto nella formazione delle liste, sono esplose nel pieno della campagna con la scomunica di Michetti da parte di Giancarlo Giorgetti, “il candidato giusto sarebbe stato Bertolaso”. La Lega di Giorgetti si schiera con Calenda? Forse ha solo voluto colpire Meloni ma è certo che Calenda sta attraendo anche elettori del centrodestra.

Carlo Calenda al mercato di Porta Portese

Gualtieri ha cominciato dopo le primarie e la messa a punto della macchina, con una campagna non bella ma strutturata. Meno prolissa, più schematica, con slogan e grafica ripresi da referenti internazionali – “la città a quindici minuti”, caratteri e colori dai santini elettorali liberal e labour. Alla serietà caciarona di Calenda ha opposto la sua, più grigia ma più spontanea; all’epica del bravo ministro e rappresentante in Europa, i gradi guadagnati alla guida della commissione Economica europea e del ministero dell’Economia; al populismo elitario, l’aria da Roma nord celata da una pseudo popolare calata romanesca, la rivendicazione del suo percorso di mite “secchione” della borghesia progressista romana, studioso e impegnato, innamorato della musica brasiliana e accasato nel Pci, superato senza rimpianti apparenti per arrivare a dare del tu ai principali leader europei. La campagna di Gualtieri si è sviluppata più a contrasto di Calenda che del suo presumibile avversario finale, sul difficile doppio fronte della riconquista dell’elettorato di centrosinistra passato ai 5S, mantenendo quello proprio oggetto di tentazioni calendiane. Gualtieri è riuscito a coinvolgere esperienze politiche e amministrative che, nello stato di autodissoluzione del Pd romano post commissariamento Orfini e di sbandamento del centrosinistra, avevano resistito. Attorno alla candidatura si è formata un’alleanza larga, capace di rivolgersi a un’ampia platea di elettori che sembra, più di altre volte (Rutelli 2008, Giachetti 2016), disponibile a convergere al secondo turno. 

A Roma si vince nelle periferie, è lì che si concentra la maggioranza degli elettori. Un quadro della distribuzione del voto lo dà un semplice elenco, quello dell’evoluzione dei governi dei 15 municipi in cui è suddivisa la città – e delle 20 circoscrizioni di prima della riforma del 2001 – pubblicato da Wikipedia. Nel 1993 con Rutelli, primo sindaco dell’elezione diretta, il centrosinistra governava 19 circoscrizioni su 20, esclusa la XX. Veltroni nel 2001 cedette nel primo mandato sette circoscrizioni agli avversari ma nel successivo tornò a 19, sempre esclusa la XX. Nel 2008, quando Rutelli, “investito” da Veltroni che si dimise per sfidare Berlusconi, viene sconfitto da Gianni Alemanno – primo sindaco post fascista della capitale dopo il fallito tentativo di Gianfranco Fini sulle ali di Berlusconi del 1993 – il centrosinistra continua a governare 11 circoscrizioni su 20 ma si manifesta l’erosione degli storici serbatoi di voto del Pci-Pds-Ds. Nel 2013, ormai effettiva la nuova divisione in municipi, Ignazio Marino fa cappotto e il centrosinistra li governa tutti e 15. Nel 2016 Raggi lascia al centrosinistra solo due municipi, il I e il II, nessuno al centrodestra; successivamente le faide interne porteranno al voto due municipi che passeranno al centrosinistra, il III con Giovanni Caudo e il VII con Amedeo Ciaccheri, mentre altri tre sono commissariati dalla sindaca. 

Roma oggi è una città smisurata, in parte riqualificata e ridisegnata con le giunte di sinistra dagli anni Settanta, poi con il Rutelli del Giubileo del 2000 e, meno, con Veltroni; con una dimensione metropolitana che si snoda a partire dal Grande raccordo anulare ben oltre i 128 mila ettari di estensione del territorio comunale – dei quali 86 mila a verde, ville, parchi naturali e suolo coltivato che ne fanno il più vasto comune agricolo d’Europa. Una città che è la capitale dello stato ma non ha gli strumenti delle altre capitali europee, in cui lo stato investe sempre meno perché il pubblico taglia ma della capitale restano i debiti contratti e i costi di oggi e domani; che ha una forte presenza industriale e commerciale, un polo logistico leader nazionale, un gran numero di entità e istituzioni nazionali e internazionali di ricerca, formazione e sviluppo ma che non riesce a fare sistema e ad attirare investimenti dall’estero. 

Come voteranno i romani è difficile dirlo ma se prima le destre erano certe di fare il pieno del voto in uscita del 5S ora non lo sono più tanto. Il voto europeo non è sovrapponibile a quello comunale, e alta fu l’astensione, ma è quello più recente ed è comunque indicativo di tendenze nei flussi. Allora sì che il voto ex pentastellato aveva gonfiato la Lega, nel VI municipio sfiorò il 37 per cento. Stavolta manca l’alleanza con formazioni della destra estrema romana, alla testa delle rivolte contro le assegnazioni a famiglie rom di case popolari, che si disperdono in altre liste. Meloni cresce ma l’ala moderata dell’elettorato è in sofferenza, Forza Italia è debole, sembra mancare al centrodestra una sintesi. Il lavoro faticoso del centrosinistra è quello di riconquistare parte dell’elettorato che è andato ai 5S, e alla destra, a partire dalle periferie, dove si sono tenute più iniziative elettorali. Il centrosinistra è ora più forte nei quartieri abbienti che in quelli popolari. Gualtieri punta sulla delusione per Raggi per riconquistare, se non i cuori, perlomeno il voto di case dove si è sempre votato centrosinistra e, prima, Pci. 

Roma è una città diversa da quella che si conosceva, come diverso è il paese, poco conosciuta da chi si candida a governarla. Compito principale dei contendenti è quello di richiamare alle urne elettorati delusi e disincantati. L’astensione è il primo avversario di tutti in un voto che farà capire un po’ di più com’è la Roma di oggi.

Roma nun fa’ la stupida domenica ultima modifica: 2021-09-29T17:16:41+02:00 da ETTORE SINISCALCHI
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