Ma Venezia è “pop” o “rock”? Ci conduce con dovizia verso il chiarimento dei dubbi Gherardo Ortalli, professore emerito di Storia Medievale presso l’Università di Ca’ Foscari a Venezia con il suo saggio Venezia inventata. Verità e leggenda della Serenissima appena uscito da Il Mulino.
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Il corposo volume spiega come è stata percepita da un’opinione pubblica vastissima la Repubblica di San Marco tra mito e storia, realtà e favola, in un itinerario lungo gli oltre mille anni di vita istituzionale della Serenissima.
Una storia millenaria, appunto, che oggi attualizziamo considerando che Venezia è “pop” per come si è offerta alle genti sin dalle sue – lontane e discusse – origini, ed è “rock” per la sua storia sempre diversa e movimentata: un incastro magistrale di comunicazione verso l’esterno e verso se stessa, un poderoso ingranaggio di rappresentazioni e autocelebrazioni sotto il segno del Leone e di San Marco, quasi un destino divino a proteggerla, incoraggiarla, attraverso la politica, la diplomazia, i commerci, l’arte, la cultura, il suo popolo e le sue istituzioni.
Un saggio, questa ultima fatica di Ortalli, che analizza il rapporto tra storia e fantasia, mito e realtà, attraverso episodi antichissimi e antichi che hanno caratterizzato – e ancora lo fanno – la storiografia veneziana e la storia pervenuta e conosciuta dal popolo della città lagunare.
E siccome “davvero poche città e pochi Stati hanno ricevuto da parte degli storici un’attenzione analoga a quella riservata a Venezia”, ecco che Ortalli scava nel passato conducendo un cammino tra storia e leggenda, ricostruendo “il passato nei termini quanto più possibile aderenti alle realtà trascorse, nell’ottica dello storico di buon livello” e cercando “i termini di un’altra storia, non meno vera anche se falsa, mai accaduta nei suoi risvolti in quanto tale, tuttavia costruita, proposta e accolta come realmente avvenuta”: un “fantastico castello” che è cresciuto e si è consolidato “restando a lungo più vero del vero nonostante la sua inconsistenza”.
Attraverso un percorso che parte dalle prime cronache sulla fondazione e la formazione della Venezia città e Stato, il mito/leggenda/miracolo permea e s’intreccia con la storia vera o presunta tale, dalle prime testimonianze di Paolo Diacono e la sua Istoria Veneticorum attorno all’anno Mille con i primi tentativi di riscatto dalla Bisanzio lontana che con difficoltà dominava i territori dell’ex Impero Romano. Ma il mito affonda ancora più indietro nei secoli, e ci trascina fino alla guerra di Troia con Antenore eroe troiano in fuga che approda nelle terre venete determinando una sacralità di Venezia pari a quella di Roma e del mito di Enea. E via cavalcando nei secoli fino alle scorrerie dei Longobardi e fino a quell’anno, il 421, e quel giorno, il 25 marzo, che sono impressi nel DNA dei veneziani come fondazione di Venezia a Rialto: “anniversario privo della benché minima giustificazione” che “può sopravvivere perché non fa male a nessuno” e che “riuscì a prender corpo in documenti ufficiali fortemente veri nella loro sostanziale falsità”.
Lungo è l’elenco delle citazioni di autori antichi, veneziani e stranieri, che si sono esercitati disquisendo delle origini della città, che cercò di liberarsi della dipendenza da Padova “riccamente e felicemente in fiore” quando i tre Consoli Galiano, Simone e Antonio scesero a Rivo Alto per fondare Venezia “avendo riunito molte isole di mare e di laguna e genti provenienti dalla provincia della Venezia”. Da qui un certo senso di fastidio da parte degli storici veneziani che nei secoli dovettero sfumare questa origine brandendo sempre di più la spada dell’indipendenza e della libertà che caratterizzava la Serenissima.
Una Serenissima che pazientemente costruisce l’immagine di sé che oggi sarebbe appalto di un grande e organizzato ufficio di comunicazioni, quell’immagine pop che diventa molto rock quando si celebrano ad esempio i dogi e i loro ritratti solenni conservati a Palazzo Ducale, o quando Venezia attraverso abili reti diplomatiche si mette sullo stesso piano del Sacro Romano Impero e del Papato, ospitando nel 1177 Federico Barbarossa e Alessandro III, sotto il dogado di Sebastiano Ziani. Formidabile il riscontro mediatico di questa pace che fu celebrata con conseguente telero collocato nella Sala del Maggior Consiglio (Gerolamo Gambarato l’autore cinquecentesco). Una trattativa nella quale l’abilità dei funzionari veneziani fu determinante e la cui fama durò nei secoli in Italia e in Europa: Venezia grande potenza, definita arrogante da molti, ma che inizia a stabilire assetti politici e di dominio, oltre che marittimo, anche territoriale.

Passando attraverso la controversa IV crociata, che crociata non fu, perché si risolse nella conquista di Costantinopoli da parte veneziana, la voglia di definitivo riscatto di Venezia verso Bisanzio sfocia in un episodio che attirò sulla Serenissima le ire del Papa e fece sì che i veneziani venissero definiti ”precursori dell’Anticristo, antesignani e araldi di tutte le azioni malvage profetizzate”, come scrive il funzionario bizantino Niceta Coniata testimone dello scempio, dei saccheggi, delle violenze e dei furti. Difficile giustificare davanti allo scenario internazionale di quel 1204 tali azioni di cristiani verso cristiani, ma il cronista Martino da Canal nelle sue Cronache veneziane in lingua francese racconta che fu addirittura il Papa a giustificare l’assalto a Costantinopoli, e il doge Enrico Dandolo affermò “signori, noi siamo della Crociata e pertanto non dobbiamo depredare nessuno. Prendiamo il danaro che abbiamo speso… E poi passiamo al mare e si dia battaglia ai pagani”.

Pace, patria e libertà sono tre fondamentali assetti che la Serenissima persegue con tenacia attraverso le sue stabili istituzioni repubblicane guidate da aristocratici, con una opinione pubblica favorevole e soprattutto una serie di storiografi che curano l’immagine della Repubblica alimentando il mito e raccontando la storia, le guerre, le conquiste. Un’agiografia che affascinava gli stranieri ma che attirava anche critiche aspre, come quelle di Salimbene de Adam, per il quale i Veneziani “sono gente avida, gretta, superstiziosa” con lo sposalizio del mare il giorno dell’Ascensione visto come pratica idolatra.
D’altronde il mito di Venezia s’interseca con la venerazione di San Marco, arrivato in Laguna da Alessandria d’Egitto secondo un’antica profezia. E tuttora San Marco e il suo simbolo evangelico rappresentato dal leone sono onnipresenti in città anche dopo le razzie napoleoniche con relative scalpellature del simbolo marciano da centinaia di luoghi cittadini.
E cosi, attraverso i secoli, Ortalli ripercorre cronache e la più varia e vasta storiografia, sempre raccontando la vera storia confrontata con il mito che l’ha accompagnata e alimentata. Secoli di splendore artistico e culturale, che fino alla fine della Repubblica si espresse a Venezia ai massimi livelli, affascinando i primi “turisti” che arrivavano in città non per commerciare ma per vedere la magnificenza dei palazzi, la raffinatezza e la cultura; ma anche alla fine la dissolutezza dei costumi, la decadenza delle istituzioni, la dilagante povertà e poi le occupazioni francese e austriaca.
Anche l’ultimo secolo della Repubblica di San Marco prima della fine è accompagnato da una vasta propaganda non più tanto interna ma piuttosto esterna, alimentata da scrittori stranieri, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, dei quali Ortalli rende ampia testimonianza.
Una Repubblica Serenissima che il lettore collocherà a sua scelta tra pop e rock, della quale tantissimi autori hanno parlato e scritto, dalla classica notte dei tempi fino a oggi, in una storia e in un mito senza fine. Bene o male, basta che si parli di te, cara Venezia.


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