La (quasi) candidatura dello scrittore e giornalista Éric Zemmour solleva molte discussioni. L’agenda nazionalista e le proposte choc che spesso l’accompagnano sembrano pagare al momento in termini di sondaggi. A seconda delle inchieste, Zemmour infatti risulta alla pari con Marine Le Pen e poco sopra il candidato più forte, sempre secondo i sondaggi, della destra “repubblicana”, Xavier Bertrand.
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Recentemente, in una delle sue numerose apparizioni televisive, Zemmour ha ribadito ancora una volta la sua posizione sulla Francia di Vichy e sul maresciallo Pétain. Secondo il polemista francese, Pétain avrebbe protetto gli ebrei francesi durante l’Occupazione nazista.
Numerosi articoli che hanno smentito le affermazioni di Zemmour. La polemica però ha dato il via ad un duro scontro tra i rappresentanti istituzionali della comunità ebraica francese e Zemmour stesso.
Si tratta di materia molto delicata da affrontare. Zemmour è infatti un ebreo sefardita di origini algerine. E in Francia risiede la comunità ebraica più numerosa d’Europa (circa 460mila nel 2016). Non bisogna dimenticare, inoltre, che dal 2014, con gli attentati antisemiti di Tolosa o Parigi, l’emigrazione ebraica francese in Israele è diventata significativa.
Questione delicata, inoltre, perché l’identità ebraica di Zemmour è infatti essa stessa oggetto di teorie cospirazioniste, a destra e a sinistra, riportando alla luce le antiche – ma purtroppo mai scomparse – questioni sulla fedeltà degli ebrei francesi alla “nazione”. La posizione personale di Zemmour sull’ebraismo è poi del tutto particolare e personale. Da assimilazionista e da oppositore all’uso di nomi stranieri e dei simboli religiosi nei luoghi pubblici, Zemmour si dice di “rito ebraico” ma di “cultura cattolica”. Perché, dice, “per diventare francese, devi immergerti nel cattolicesimo”. E lui l’ha fatto, diventando per amore della Francia “un uomo del Nuovo testamento”.
Tuttavia, come ha sottolineato Bernard-Henri Lévy in un suo editoriale su Le Point, la candidatura di Zemmour pone ai cittadini – di religione ebraica e non – delle questioni politiche rilevanti. Attenzione. Non si tratta di una rilevanza elettorale numerica della comunità ebraica. Che ha numeri esigui rispetto ai sessantasette milioni di elettori francesi.
Si tratta invece della carica simbolica di Zemmour, candidato ebreo dell’estrema destra. Di quello che comporta per l’identità ebraica francese, per la destra “repubblicana” e per la democrazia francese in generale, così profondamente segnata dal rifiuto di qualsiasi collaborazione con l’estrema destra.
Il problema è che la candidatura stessa di Zemmour potrebbe aiutare l’estrema destra francese, populista e nazionalista, ad abbattere quella “barriera morale“, politica ed elettorale che per molti anni sembra essere resistita. Nonostante i numerosi tentativi della famiglia Le Pen di abbatterla. L’estrema destra francese ha cercato di sedurre per lungo tempo – invano – la comunità ebraica francese, al fine di ricevere quella legittimità morale che rimane ancora oggi il limite principale di Le Pen. Che per molti rimane invotabile perché quel nome rinvia a posizioni estreme, razziste e antisemite.
Nell’opera di de-demonizzazione portata avanti da Marine Le Pen, il rapporto con la comunità ebraica francese aveva un aspetto simbolico particolarmente rilevante. Per certi versi la chiave di volta che avrebbe consentito al partito di estrema destra di “normalizzarsi”. La comunità ebraica, senza eccezioni, ha però condannato la partecipazione di personalità legate al mondo ebraico francese durante la campagna di Marine Le Pen. Nel tentativo di seduzione, nel 2012 l’allora Front National aveva anche dato mandato a Michel Ciardi di creare un gruppo di supporto alla candidatura di Le Pen, senza grande successo. Nel 2015, ci prova Michel Thooris che fonda invece l’Union des patriotes français juifs per migliorare l’immagine del Fn presso l’elettorato di origine ebraica. Anche in questo caso scarso successo.
La strategia Le Pen però puntava a conquistare parte dell’elettorato francese di religione ebraica per normalizzare il partito e renderlo più accettabile. Per conquistarlo faceva leva sui temi dell’islamismo politico e sull’immigrazione di origine musulmana, in un contesto come quello francese, come già detto, segnato da numerosi atti terroristici di matrice antisemita.
Con Zemmour però la questione è diversa. È la sua stessa identità, unita al nazionalismo e alle posizioni all’anti-islam, che crea qualche problema. Per certi versi, lo stesso Jean-Marie Le Pen ha spiegato, quando ha dichiarato qualche giorno fa di poter eventualmente votare per Zemmour (e non per la figlia). Perché, dice lo storico leader dell’estrema destra francese, “la sola differenza tra Éric e il sottoscritto, è che lui è ebreo” e, quindi, “è difficile qualificarlo come nazista o fascista”.
E che lo scrittore-giornalista possa simbolicamente rappresentare il grimaldello per legittimare l’estrema destra agli occhi degli elettori francesi è un pericolo che esponenti rilevanti del mondo ebraico francese temono sia reale.

Già a luglio, quando si paventava una possibile candidatura di Zemmour, in un editoriale pubblicato su Le Monde, Serge e Arno Klarsfeld, rispettivamente presidente dell’Associazione “Figli e Figlie dei deportati ebrei di Francia” e, l’altro, noto avvocato e collaboratore di Nicolas Sarkozy, avevano invitato gli ebrei di Francia a “tenersi alla larga dall’estrema destra”. Per i Klarsfeld, un certo numero di membri della comunità ebraica sarebbe tentato di dare il proprio voto all’estrema destra, “per i timori suscitati dall’islamismo combattente e antiebraico, manifestatosi in vari attentati sanguinosi”:
Oggi, non solo alcuni ebrei si stanno impegnando pubblicamente nei media per sostenere le posizioni dell’estrema destra, ma Éric Zemmour, un ebreo i cui antenati divennero francesi nel 1870 con il decreto Crémieux, che concesse la cittadinanza francese agli ‘israeliti indigeni d’Algeria’, vuole diventare la bandiera dell’estrema destra nelle elezioni presidenziali del 2022. Per farlo trasgredisce certi valori repubblicani e certi valori ebraici. Fa campagne per la riabilitazione di Pétain, che secondo lui salvò gli ebrei francesi donando ai tedeschi famiglie ebree straniere, tra cui migliaia di bambini nati in Francia e quindi francesi.
Lo stesso Conseil Représentatif des Institutions Juives de France (Crif), la maggiore istituzione di rappresentanza degli ebrei francesi, è allarmata. Tanto che il 20 settembre il suo sito web pubblica un post intitolato Zemmour: la doppia punizione degli ebrei francesi. Yonathan Arfi, vicepresidente del Crif, vi scrive:
Gli ebrei sono doppiamente vittime del discorso di Éric Zemmour: una volta vittime di ciò che dice, un’altra del luogo da cui parla. Una volta, politicamente, un’altra, simbolicamente. Politicamente, quello che offre sono i vecchi classici dell’estrema destra. […] Non sto cercando di analizzare la relazione di Éric Zemmour con la sua identità ebraica. Questo rapporto intimo gli appartiene e rivendico per ciascuno, e quindi anche per lui, il diritto di sottrarsi a qualsiasi attribuzione di identità. Quel che è certo, però, è che le sue parole non troverebbero tale eco se non fossero formulate da una personalità percepita come ebrea. […] Come ebrei non siamo ovviamente responsabili di ciò che dice Éric Zemmour. Ma abbiamo la responsabilità di intralciarlo.
Il rischio, dice Arfi, è che una vittoria di Zemmour attribuita un “certificato di kosher“ all’estrema destra francese. Sarebbe la rottura del cordone sanitario del fronte repubblicano, già messo alla prova.
A metà settembre era stato poi Francis Kalifat, il presidente del Crif ad intervenire su Radio J, a schierarsi contro Zemmour. Kalifat aveva lanciato un appello per arginare lo scrittore e giornalista:
Nemmeno un voto ebreo dovrebbe andare al candidato potenziale Éric Zemmour.
Zemmour aveva poi risposto a Kalifat qualche settimana dopo dai microfoni di Sud Radio:
Consiglio al presidente Kalifat di venire con me in sinagoga, vedremo chi sarà il più popolare. […] Kalifat è l’utile idiota degli ultimi antisemiti che sopravvivono in Francia […] è lo scendiletto degli antisemiti più folli che sono convinti che ci sia un’unione di tutti gli ebrei per governare la Francia
Zemmour aveva poi continuato nella sua polemica su CNews:
Questo signore [Kalifat, ndr] fa credere che esista un voto ebraico. Questo signore crede e fa credere di poter dare istruzioni di voto e che ci sarebbero centinaia di migliaia di ebrei che sarebbero pronti ad obbedirgli.
Un attacco a cui aveva risposto nuovamente Kalifat che ha qualificato Zemmour come “l’ebreo utile“ e il “capo del revisionismo francese.”
Anche il direttore degli studi del Crif, lo storico e ricercatore Marc Knobel, ha attaccato Zemmour. Da anni Knobel denunciato l’ideologia dell'”artefice dell’apocalisse”, “ebreo della negazione” come lo definisce, che arriva addirittura a riprendere elementi del linguaggio dell’estrema destra antisemita sulla colpevolezza del capitano Alfred Dreyfus.
Anche molti altri leader della comunità sono preoccupati. Ariel Goldmann, il presidente del Fondo Sociale Ebraico Unificato, afferma “di vergognarsi di essere della sua stessa religione”. L’Unione degli studenti ebrei di Francia, attraverso la sua presidente Noémie Madar, ha denunciato le “bugie di Zemmour sulla storia del paese.”
Dalle colonne invece di Charlie Hebdo, è il giornalista Guillaume Erner ad attaccare Zemmour:
Cercando di essere un ‘ebreo irreprensibile‘ agli occhi di coloro che considera veri francesi, Éric Zemmour cerca di incarnare un personaggio comune nel XIX secolo: l’israelita. Come i dannati, gli israeliti sono condannati a dimostrare ogni giorno la loro ‘francesità’, anche contro se stessi. Si pensi naturalmente alle osservazioni fatte, ancora una volta, nel suo ultimo libro, su Vichy.
Anche l’antropologo Jean-Loup Amselle lo ha criticato dalle colonne di Politis:
Questo sentimento di fragilità in relazione alla sua appartenenza alla nazionalità francese ha senza dubbio portato Éric Zemmour a investire eccessivamente nell’identità francese. Ha così cancellato l’origine immigrata della sua famiglia e la vicinanza culturale, se non religiosa, che potrebbe esistere tra essa e i musulmani algerini. Lasciata l’Algeria, la sua famiglia ha dato alla luce in Francia un figlio. Che è stato portato a vivere in un paese dove ora vivono molti musulmani francesi di origine nordafricana. Sembra vivere questa situazione come la ripetizione di una storia: quella di un accerchiamento che gli impedisce di vivere pienamente la sua partecipazione all’identità francese.
Al di là di analisi più approfondite della personalità di Zemmour, non cambia tuttavia il rischio che la sua candidatura crea alla comunità ebraica e alla democrazia francese in generale. Come disse nel 2013 Louis Aliot, allora compagno di Marine Le Pen e numero due del Fronte Nazionale:
È l’antisemitismo che impedisce alla gente di votare per noi. È solo questo. Nel momento in cui rompi questo blocco ideologico, liberate il resto.
Un buon risultato di Zemmour alle presidenziali o il suo accesso al secondo turno costituirebbero un terremoto per la destra francese. Ed eventualmente per la democrazia. Eliminerebbero il fattore “antisemitismo” dalla battaglia politica contro l’estrema destra. E potrebbe così rompersi il cordone sanitario “repubblicano”. Con conseguenze difficili da prevedere.


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