Il prossimo anno negli Stati Uniti si voterà per le elezioni di metà mandato. Si tratta di elezioni importanti poiché ci diranno se il presidente Joe Biden potrà ancora contare sulla maggioranza alla Camera e al Senato (per quanto risicata nel primo caso e garantita, teoricamente, dalla vice-presidente Kamala Harris, nel secondo caso). Sono molti i fattori che determineranno la vittoria e la sconfitta di democratici e repubblicani.
Un recente documentario di CBS, però, guarda alle prossime elezioni attraverso una lente particolare. Lo scontro interno agli evangelici bianchi. Che potrebbe avere conseguenze sia per i democratici sia per i repubblicani.
Parliamo di un elettorato profondamente e storicamente legato al mondo repubblicano. Nel 2020 l’81 per cento ha votato per Trump, rispetto al 18 per cento che ha votato per Biden. E non è nemmeno un’eccezione. Si tratta infatti di un elettorato che ha votato massicciamente per i candidati presidente repubblicani nel 2004, 2008, 2012 e 2016. Tuttavia lo scorso anno, in alcuni stati il voto evangelico bianco a favore di Trump è diminuito. Per esempio in Georgia, uno stato vinto da Biden per 14.000 voti. Qui il voto evangelico bianco per Trump è passato dal 92 per cento del 2016 all’86 per cento del 2020. Numeri che probabilmente hanno aiutato il democratico a vincere lo stato.
Ma la conquista di piccolissime porzioni di elettorato bianco evangelico da parte dei democratici è solo un tema minore (e da vedere se sarà confermato) per le elezioni del prossimo anno. Quello che infatti potrebbe influenzare le elezioni del prossimo anno è lo scontro in atto all’interno delle componenti “conservatrici” del mondo evangelico. E che sembra ricalcare quello in corso tra i “repubblicani dell’establishment” e il “partito di Trump”. I temi identitari e culturali, che definiranno molto probabilmente la campagna elettorale del prossimo anno, sono infatti al centro dello scontro politico e religioso della Southern Baptist Convention (SBC), la più grande organizzazione protestante degli Stati Uniti. E la radicalizzazione di una parte non così piccola degli evangelici bianchi induce a qualche preoccupazione.
Un’anticipazione del conflitto in atto c’era già stata a giugno, quando migliaia di persone in rappresentanza degli oltre 14 milioni di membri della Southern Baptist Convention (SBC) si sono ritrovati a Nashville per eleggere il nuovo presidente dell’organizzazione religiosa e affrontare una serie di questioni controverse, tra cui la compatibilità della Critical race theory con la fede battista e la questione degli abusi sessuali nella chiesa.
L’elezione del presidente vedeva contrapposti il pastore dell’Alabama Ed Litton, noto per il lavoro di riconciliazione razziale, e Mike Stone, il pastore della Georgia, sostenuto da una fazione della SBC che cerca di spingere la congregazione verso destra. Litton ha vinto soltanto con cinque punti percentuali di differenza. Una vittoria minima che lascia la congregazione molto divisa.
È proprio sui temi razziali e dell’uguaglianza di genere che si sono divisi. Stone, come Albert Mohler (arrivato terzo), aveva infatti firmato una dichiarazione a novembre dell’anno scorso nella quale si diceva che la critical race theory fosse incompatibile con la fede battista. Una dichiarazione in contrapposizione con la decisione presa l’anno prima dalla SBC. La posizione presa da Stone, Mohler e altri pastori ha portato all’abbandono della congrega di importanti pastori afro-americani (Charlie Dates, Ralph D. West e Dwight McKessic).
Successivamente una parte dei pastori conservatori si sono organizzati come Conservative Baptist Network e sono diventati sempre più espliciti sia nelle loro critiche alla critical race theory sia nel loro sostegno al complementarianismo, una dottrina che conferisce agli uomini un ruolo dominante nelle loro famiglie e in chiesa e sostiene il divieto per le donne di esercitare il ruolo di pastori.
In risposta ai pastori conservatori, i moderati, guidati da Litton e Fred Luter (il primo e unico presidente afroamericano della SBC), hanno firmato un documento comune. In esso si diceva:
La Convenzione Battista del Sud è stata fondata sull’ingiustizia nei confronti degli schiavi africani al suo interno. La SBC è stata fondata, in gran parte, affinché i cristiani bianchi detentori di schiavi del sud potessero nominare e sostenere i missionari mentre continuavano a tenere i loro schiavi in catene. Questa realtà storica non può essere contestata, né può essere ignorata. Eppure, nel momento attuale, assistiamo a tentativi di minimizzare questa realtà storica. Molte persone negano l’esistenza di un’ingiustizia sistemica come una realtà. Molti che riconoscono le ingiustizie sistemiche sono etichettati come ‘marxisti’, ‘liberali’ e sostenitori della ‘critical race theory’, anche se sono teologicamente ortodossi e credono nella totale sufficienza della Scrittura. Mentre Dio desidera che continuiamo a crescere nell’area della giustizia razziale, le azioni di alcuni nella SBC sembrano essere più interessate alle manovre politiche che al lavoro per presentare una visione vibrante, amante del Vangelo, diversa da un punto di vista razziale e culturale. Mentre si sono verificati alcuni progressi, alcuni eventi recenti hanno lasciato molti fratelli e sorelle di colore traditi e si chiedono se la SBC sia impegnata nella riconciliazione razziale.
E la critical race theory, come detto, non è l’unico problema che divide la SBC in questo momento. La deriva verso destra del gruppo e il sostegno incrollabile all’ex presidente Donald Trump hanno portato a diverse partenze di alto profilo.

La radicalizzazione di una parte degli evangelici bianchi è un tema di cui da tempo si discute. Si tratta infatti di tendenze che affondano le radici nella storia del movimento religioso. Trump però è stato sicuramente per la destra e l’estrema destra cristiana l’uomo provvidenziale. L’ex presidente non era infatti né religioso né certamente era un conoscitore dei testi fondamentali del cristianesimo. Ma il suo essere “alternativo“ rispetto all’establishment, cosa che gli ha permesso di esprimere dichiarazioni spesso sconcertanti, ha in realtà contribuito ad attirare quegli elettori che, pur molto distanti dal punto di vista della religione dal presidente, hanno visto nella sua retorica un assalto contro tutto ciò contro cui si battevano.
Come ha scritto Sarah Posner in Unholy:
La relazione tra Trump e gli evangelici rappresenta un intenso incontro di teste, un processo di decenni, fondato sull’idea che l’America giace in rovina dopo l’ondata di cambiamenti storici dalla metà del Ventesimo secolo, con le promesse di non discriminazione e pari diritti per coloro che erano stati storicamente diseredati – donne, minoranze razziali, immigrati, rifugiati e persone Lgbtq – fattori che hanno eroso il dominio del cristianesimo bianco conservatore nella vita pubblica americana […] Trump rassicura gli elettori evangelici bianchi che ripristinerà l’America che credono sia stata perduta, la ‘nazione cristiana’ che Dio voleva che l’America fosse, governata da ciò che essi affermano essere ‘legge biblica” o una ‘visione del mondo cristiana’.
Questa relazione ha aiutato sia Trump sia gli evangelici bianchi. Schierandosi a fianco degli evangelici bianchi Trump si è trovato una “macchina” elettorale ben rodata e veloce nel mobilitarsi elettoralmente.
Ma anche gli evangelici bianchi ne hanno tratto benefici. Non solo in termini di politiche. Ma d’influenza politica. Nel 2006, infatti, gli evangelici bianchi costituivano il 23% degli adulti statunitensi. Nel 2016 il 17%. Una tendenza confermata anche quest’anno.
Sebbene il loro numero complessivo stia diminuendo, la presidenza di Trump ha dato nuova vita agli evangelici bianchi come il gruppo demografico politico più influente in America. In carica, è stato oltremodo premuroso con i leader della destra cristiana che lo sostengono. Ha dato loro gli incarichi politici e i giudici per attuare la loro agenda politica, strumenti che nemmeno loro probabilmente avrebbero mai immaginato,
dice ancora Posner.
Se, quindi, Trump ha solo dato voce a qualcosa che già esisteva, quali sono i fattori della radicalizzazione degli evangelici bianchi?
Secondo Andrew L. Whitehead e Samuel L. Perry, autori di Taking America Back for God: Christian Nationalism in the United States, il problema è il nazionalismo cristiano, ovvero la convinzione che la nazione americana sia definita dal cristianesimo e che il governo dovrebbe prendere provvedimenti attivi per mantenerla tale. Un’ideologia che non è limitata agli evangelici, ma che unisce come un unico filo rosso alt-right, estrema destra e destra cristiana. E che secondo Whitehead e Perry lega posizioni molto conservatrici di altre confessioni religiose.
Come questo scontro all’interno del mondo evangelico influirà sulle elezioni del prossimo anno – e sugli equilibri interni al Partito repubblicano – è tutto da vedere.
Foto di copertina di Malcolm Lightbody on Unsplash

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