Ieri si sono svolte varie votazioni negli Stati Uniti, oltre a quelle più note per l’elezione del governatore della Virginia. Si votava infatti anche nella città di Minneapolis dove il 25 maggio dello scorso anno l’ufficiale di polizia di Derek Chauvin uccise George Floyd. La morte di Floyd ha posto la città al centro del dibattito sulla responsabilità della polizia e sul razzismo sistemico. Il vasto movimento di protesta seguito all’omicidio di Floyd ha poi presentato varie richieste di riforma, che andavano dall’abolizione dei dipartimenti di polizia alla loro ristrutturazione. Per la prima voltala Minneapolis si trovava a dover decidere proprio sul futuro del locale dipartimento di polizia. E non è andata bene per il movimento che ne chiedeva la riforma.
Gli elettori di Minneapolis erano infatti chiamati alle urne anche per rispondere a un referendum per sostituire il dipartimento di polizia della città con un dipartimento di pubblica sicurezza. Il 56 per cento dei votanti ha però espresso la propria contrarietà. La proposta bocciata proponeva di sostituire il dipartimento di polizia con un dipartimento di pubblica sicurezza che avrebbe dovuto andare oltre la “tradizionale attività di polizia” per perseguire un approccio più “comprensivo” alla sicurezza pubblica.
Il voto è avvenuto dopo più di un anno di intenso dibattito nell città. Dopo l’assassinio di Floyd, alcuni membri del consiglio comunale della città avevano annunciato le loro intenzioni di “porre fine alla polizia come la conosciamo”. I loro tentativi per far passare la legislazione in questa direzione però non hanno avuto successo. Quest’anno però il Comitato Yes 4 Minneapolis è riuscito ad organizzare con successo una petizione che poi è stata sottoposta al voto. Ed è quella che gli elettori hanno bocciato.
La sconfitta del referendum è, paradossalmente, anche una vittoria per il sindaco democratico Jacob Frey, che aveva fatto una campagna contro il provvedimento ed è da tempo criticato dagli attivisti per il suo rifiuto di sostenere l’abolizione del dipartimento di polizia. Frey era anche in corsa per il rinnovo del suo mandato. Non ha ancora raggiunto il cinquanta per cento più uno dei voti necessari e bisognerà attendere le seconde preferenze date dagli elettori degli altri candidati.
Il voto di ieri però mette in luce ancora una volta le divisioni tra progressisti e il resto del Partito democratico sul tema. “Defund the police” è infatti uno slogan che ha creato e crea molti problemi ai democratici. I repubblicani lo brandiscono per descrivere qualsiasi tentativo di riforma della polizia, rendendo molto complicato ogni disegno di legge. E le difficoltà dei democratici a legiferare hanno conseguenze sulla mobilitazione della fondamentale constituency democratica: gli African-Americans.
A livello federale i tentativi di riforma ci sono stati ma non hanno avuto un buon esito. Complice un Senato diviso a metà e la tagliola del filibustering, a settembre, il senatore democratico Corey Booker aveva annunciato che il tentativo bipartisan di elaborare una legislazione per affrontare il problema della polizia e della giustizia criminale erano falliti. I repubblicani, guidati Tim Scott, l’unico senatore afro-americano nel partito di Trump, avevano accusato i democratici di voler togliere i finanziamenti alla polizia. Nessuna però delle proposte dei democratici durante i negoziati durati mesi cercava di “definanziare” la polizia.
Il George Floyd Justice in Policing Act del 2021 proibiva alle forze dell’ordine federali, statali e locali la “profilazione” razziale, religiosa e discriminatoria e richiedeva alle forze dell’ordine di raccogliere dati su tutte le loro attività investigative. Il disegno di legge era stato approvato dalla Camera dei Rappresentanti, controllata dai democratici. Ed era stato poi bloccato al Senato. Da qui la necessità dei negoziati tra senatori repubblicani e democratici. Compromesso fallito perché secondo i democratici le proposte repubblicane comportavano un arretramento notevole rispetto alle proposte contenute nel disegno di legge.
Proprio a causa del fallimento a livello federale, la riforma della polizia e della giustizia penale era e resta ancora oggi una questione in gran parte locale. Come si è visto nel referendum a Minneapolis, dove peraltro il sindaco Frey aveva annunciato ad agosto che gli agenti di polizia della città non avrebbero più effettuato fermi del traffico pretestuosi per reati di basso livello.
Sempre nel Minnesota, a settembre, la contea di Ramsey aveva annunciato che i procuratori non avrebbero più perseguito casi contro persone che ingiustamente prese di mira e detenute durante i fermi stradali non di pubblica sicurezza. Una decisione che arriva cinque anni dopo l’uccisione di Philando Castile da parte di un poliziotto, dopo un arresto per un fanale posteriore rotto. A marzo, lo stato della Virginia era invece divenuto il primo stato a vietare questo tipo di arresti: qui le forze dell’ordine non possono più legalmente fermare gli automobilisti che guidano senza una luce che illumina una targa, ad esempio.
Più recentemente è stato il sindaco di Philadelphia a firmare una legge che vieta alla polizia di fermare i conducenti per violazioni del traffico di basso livello. Qui gli autisti afro-americani hanno rappresentato il 72 per cento dei quasi 310.000 fermi stradali degli agenti di polizia tra ottobre 2018 e settembre 2019. In una città dove la popolazione nera è del 48 per cento.
Ma anche le riforme a livello locale riscontrano non pochi problemi. È il caso della città di Chicago dove la sindaca Lori Lightfoot, eletta nel 2018 anche per riformare il dipartimento di polizia della città, affronta notevoli ostacoli. E i principali avversari sono i sindacati di polizia.

Dopo quasi due anni dalla sua elezione Lightfoot è in una situazione delicata. È stata accusata di fare marcia indietro sulle sue intenzioni di riforma della polizia e la sua amministrazione comunale è stata coinvolta in una gestione insoddisfacente di vicende che coinvolgono la cattiva condotta della polizia. E in alcuni casi degli omicidi. Sin dall’inizio del mandato, inoltre, le relazioni con i sindacati della polizia non sono delle migliori. E il Covid-19 ha aggravato la situazione e allontanato la prospettiva di una riforma del settore.
La situazione già tesa tra sindaco e sindacati si è riaccesa lo scorso agosto quando Lightfoot, come molti altri sindaci, ha deciso di rendere obbligatorio il vaccino per i dipendenti comunali e tra questi le forze dell’ordine. Una decisione contro la quale si sono schierati i quattro sindacati di polizia. Nonostante l’opposizione dei sindacati, la sindaca aveva deciso di rendere obbligatorio il vaccino a partire dal 15 ottobre.
Tra agosto e la data limite, il contrasto però tra sindaco e sindacati cresce. Lightfoot inizia a parlare di “conseguenze” non specificate se non si fosse rispettato la data limite per la vaccinazione. Nello scontro con Lightfoot sul vaccino obbligatorio, i sindacati riescono ad imporsi. Nel timore di ritrovarsi la città priva di un terzo, se non più, di poliziotti, Lightfoot consente ai lavoratori comunali di rimanere non vaccinati fino alla fine dell’anno. Però devono sottoporsi a test bisettimanali a proprie spese. Soprattutto la sindaca chiede che tutti i lavoratori della città compilino un modulo on line riportando il loro stato di vaccinazione.
È però una battaglia politica su più livelli, non limitata al vaccino, che diventa solo uno degli argomenti – anche se il principale – di opposizione alle politiche dell’amministrazione democratica. Ed è anche “merito” dell’incendiario leader del principale sindacato di polizia: John Catanzara. Il sindacalista è noto per i suoi post fuori dalle righe. Nello scontro con Lightfoot paragona l’obbligo di vaccinazione per i dipendenti della città alle politiche della Germania nazista. È soprattutto un convintissimo sostenitore dell’ex presidente Donald Trump. E la battaglia del vaccino è solo l’ultima degli scontri che ha ingaggiato con i democratici locali. Quando a luglio, Lightfoot decide di rimuovere la statua di Cristoforo Colombo da Grant Park, è Catanzara che si precipita al parco, con una felpa dove è in evidenza la scritta “Italia”, e arringa la folla contro la cancel culture e la guerra culturale che i democratici stanno realizzando contro i cittadini americani.
È Catanzara che guida la protesta contro il vaccino. E quando Lightfoot chiede di registrarsi on line, i sindacati di polizia invocano una violazione della privacy. Catanzara incarica gli ufficiali di base di presentarsi al lavoro, muniti di una dichiarazione relativa ai propri diritti costituzionali, e di farsi rimandare a casa per non aver segnalato il loro stato di vaccino. Chiede anche di attivare le body-camera che i poliziotti hanno in dotazione per registrare il tutto.
Quando si arriva al 15 ottobre, su 12.770 dipendenti del dipartimento di polizia di Chicago, 4.543 non segnalano il loro stato di vaccinazione. Del 67,7 per cento degli agenti di polizia e dei civili registrati nel portale sanitario online della città, l’82 per cento è vaccinato. Nel frattempo i sindacati ricercano un ordine restrittivo temporaneo da parte dei giudici per impedire alla città di far rispettare la registrazione online. E qualche giorno fa un giudice ha effettivamente rimandato le due parti al tavolo delle trattative per risolvere i loro problemi, ma ha anche detto alla città che non può richiedere agli agenti di farsi vaccinare entro la fine dell’anno.
E Chicago non è la sola città dove il Covid-19 si mischia alle tradizionali divisioni politiche e si mette di mezzo ai tentativi di riforma della polizia. Il dipartimento di polizia di Seattle ha dovuto inviare detective e agenti non di pattuglia per chiamate di emergenza a causa della carenza di agenti di pattuglia. Una situazione che i leader sindacali avvertono possa peggiorare a causa dell’obbligo di vaccinazione voluto dal comune. Il sindacato che rappresenta circa 1.000 membri del personale di polizia di Seattle ha infatti affermato che le forze di polizia della città hanno perso circa 300 agenti negli ultimi 18 mesi e prevede un altro “esodo di massa” nelle prossime settimane. Nella contea di Los Angeles, invece, lo sceriffo Alex Villanueva ha affermato che non costringerà i 18.000 dipendenti a vaccinarsi, nonostante un obbligo imposto dalla contea. Anche centinaia di agenti di polizia a San Diego hanno affermato che avrebbero preso in considerazione l’idea di dimettersi invece di rispettare l’obbligo di vaccinazione.


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