Nella recente tornata elettorale negli Stati Uniti e nell’elezione per il governatore della Virginia in particolare, sembra che il tema della scuola abbia svolto un ruolo non ininfluente nei risultati elettorali. Un exit poll della CNN ha rilevato che l’istruzione era la seconda questione più importante per gli elettori della Virginia. Fox News ha invece rilevato che il 25 per cento degli elettori citava la Critical race theory come “il singolo fattore più importante” nel determinare la propria scelta di voto.
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Per mesi il neo eletto governatore della Virginia, Glenn Youngkin, ha espresso con determinazione la propria contrarietà alle regole che richiedono agli studenti di indossare le maschere a scuola come misura di sicurezza per il Covid-19. E, verso la fine della campagna, ha promesso di “vietare la teoria critica della razza”. Fattori che sembrerebbero aver consentito la vittoria del repubblicano. E, addirittura, ottenere più voti rispetto all’ex presidente Donald Trump, in uno stato ormai considerato democratico e che, nel 2020, Joe Biden aveva vinto con più di dieci punti di vantaggio.
Il successo di Youngkin è soprattutto un campanello d’allarme per i democratici in vista delle elezioni di metà mandato del prossimo anno. Da mesi la scuola è diventata il nuovo campo di battaglia. In molti stati le riunioni dei consigli scolastici – gli school boards – sono diventate estremamente conflittuali e in alcuni casi si sono verificati anche episodi di violenza. Le stesse elezioni per i consigli scolastici, che raramente hanno suscitato molto interesse, sono diventate quest’anno competitive.
È infatti sui contenuti dell’insegnamento delle scuole che personalità e organizzazioni del mondo conservatore hanno esortato molti genitori a candidarsi per i seggi nei consigli scolastici. In particolare è sull’insegnamento della Critical race theory che si sono consumati gli scontri più duri. Il termine si riferisce a una teoria accademica sviluppata nelle scuole di diritto e solitamente insegnata a livello universitario. Secondo la teoria, il razzismo è parte integrante del sistema istituzionale statunitense e consente ai bianchi di mantenere il dominio della società.
Dopo le uccisioni da parte della polizia d Breonna Taylor e George Floyd e con l’ascesa del movimento Black Lives Matter, molte delle idee della Critical race theory hanno trovato ampia eco nell’opinione pubblica. Numerose organizzazioni e aziende si sono impegnate nella lotta anti-razzista. E la nozione stessa di razzismo sistemico è entrata a far parte del linguaggio comune del dibattito politico e culturale. Alcuni distretti scolastici hanno anche effettivamente iniziato a riconoscere l’esistenza del razzismo sistemico e strutturale nella società americana – per esempio, le conseguenze economiche, sociali e culturali della schiavitù sugli Afro-Americani oggi –, sia attraverso la formazione professionale degli insegnanti sia nei programmi scolastici. Non c’è alcuna prova che la Critical race theory venga però insegnata agli studenti delle scuole pubbliche.
Il presidente Trump però ne ha fatto una battaglia per contrastare il successo di Black Lives Matter. L’anno scorso aveva infatti deciso di sospendere tutte le formazioni federali basate, diceva, sulla Critical race theory, poiché si trattava di una teoria razzista anti-bianca. Ma la questione non si è fermata a livello federale. Sono intervenuti gli stati.

Sulla scia di Trump infatti molti stati guidati dai repubblicani hanno cominciato a legiferare nei mesi scorsi. Ad esempio, all’inizio di giugno, il governatore dell’Iowa Kim Reynolds aveva firmato un disegno di legge che limitava quello che gli insegnanti potevano insegnare nelle scuole elementari e medie e nelle università pubbliche, in particolare quando si tratta di sessismo e razzismo. La legge vieta dieci concetti che i legislatori repubblicani definiscono “divisivi”, inclusa l’idea che “una razza o un sesso siano superiori a un altro”, che i membri di una particolare razza siano intrinsecamente inclini a opprimere gli altri e che “gli Stati Uniti e l’Iowa siano fondamentalmente razzisti o sessisti”.
Ma non è un caso limitato. Negli ultimi sei mesi sette stati – Idaho, Oklahoma, Tennessee, Texas, New Hampshire, Arizona e South Carolina – hanno già approvato una legislazione simile a quella dell’Iowa e altri venti hanno introdotto o prevedono di introdurla, secondo Brookings Institution. In alcuni stati – Florida, Georgia, North Carolina e Kentucky – i consigli statali per l’istruzione e i consigli scolastici locali hanno denunciato e in alcuni casi bandito l’insegnamento della Critical race theory e il Progetto 1619, una raccolta di saggi molto critici che esamina il contributo fondamentale dei neri alla storia degli Stati Uniti.
Si tratta in molti casi di leggi e proposte di legge che utilizzano un linguaggio ampio e ambiguo, all’interno del quale potrebbe ricadervi qualsiasi cosa. Ad esempio, una legge del Texas, entrata in vigore il 1 settembre, limita le discussioni su razza nelle scuole e prescrive come gli insegnanti possono parlare degli eventi attuali e della storia americana del razzismo in classe. Molti educatori si sono opposti al disegno di legge poiché limita le conversazioni oneste su razza e razzismo, visto che per parlarne devono “rispettare entrambe le parti”. Con conseguenze estreme. Ad esempio, in un distretto scolastico dello stato un dirigente scolastico ha incaricato gli insegnanti di fornire agli studenti punti di vista “opposti” sull’Olocausto. Un’altra scuola ha invece rimosso dalle biblioteche scolastiche i libri del pluri-premiato autore per ragazzi Jerry Craft, che raccontano le storie di studenti appartenenti alle minoranze e che hanno a che fare con mondi prevalentemente bianchi. Dopo le polemiche nazionali la scuola ha re-introdotto i libri nella biblioteca scolastica.
Dal livello statale la battaglia si è poi spostata a livello di school boards, i consigli scolastici, che si occupano di budget e del personale. I consigli scolastici hanno vissuto mesi di interazioni controverse, tanto che la National School Boards Association in ottobre ha chiesto al governo federale di intervenire per identificare le minacce contro i membri dei consigli scolastici e gli insegnanti. Non solo. Solitamente eletti e non retribuiti, sono 215 i membri di consigli scolastici che quest’anno hanno affrontato elezioni di revoca. Un numero che è quadruplicato secondo Ballotpedia. Il sito indica anche che sono 300 i seggi dei consigli scolastici in cui i candidati hanno sollevato la questione dell’insegnamento della Critical race theory, delle restrizioni Covid-19 e legate al sesso e al genere.
Non si tratta di candidature estemporanee, tuttavia. Un comitato di azione politica, il 1776 Project PAC, con sede a New York e nato quest’anno contro l’insegnamento della Critical race theory, ha raccolto più di 437.880 dollari in contributi per sostenere liste conservatrici di candidati ai consigli scolastici in sette stati. Il comitato ha dichiarato che i candidati che ha sostenuto erano in testa o avevano vinto in 44 delle 58 gare, anche nei distretti scolastici in Colorado, New Jersey e Virginia. E non è la sola organizzazione a sostegno di questi gruppi.
Una gamma molto ampia di organizzazioni di orientamento repubblicano è a sostegno di questo movimento a vari livelli. Dalle più note – Heritage Foundation, Cato Institute, Manhattan Institute – alle meno note.

Gruppi a sostegno delle candidature dei genitori contro la Critical race theory sono sorti un po’ ovunque. Tra i più rilevanti vi sono No Left Turn in Education, Parents Rights in Education e Moms for Liberty. Altri sono coinvolti in maniera meno diretta e forniscono delle “consulenze”. Alcune sono legate al mondo trumpiano.
Ad esempio Citizens Renewing America, fondata da Russell Vought, ex direttore del budget del presidente Trump Russell. L’organizzazione ha pubblicato tra le altre cose una guida per gli attivisti, per “combattere la Critical race theory” nelle loro comunità. Oppure Turning Point USA che ha avviato la School Board Watchlist, un sito web con i nomi e le fotografie dei membri del consiglio scolastico in tutto il paese, un’iniziativa dedicata, dicono, a proteggere i bambini da “false ideologie radicali”.
Altre organizzazioni sono legate al mondo della destra e dell’estrema destra. Parents Defending Education, legata al Cato Institute e fondata all’inizio di quest’anno, fornisce risorse agli attivisti, persegue contenziosi legali e pubblica “rapporti sugli incidenti” nei distretti di tutto il paese. PragerU è invece una società di media senza scopo di lucro fondata dal conduttore radiofonico conservatore Dennis Prager. Prager ha dato vita a una comunità online rivolta a genitori e insegnanti che conta ventimila iscritti, nella quale si scambiano video e libri per bambini che promuovono una “visione patriottica della storia americana” ed eroi conservatori. Anche il gruppo di estrema destra Proud Boys ha preso parte e organizzato alcune delle proteste contro i consigli scolastici in diversi stati.
Varie organizzazioni però sono nate a livello statale. Sono numerose e forniscono finanziamenti, assistenza e formazione ai genitori. Per esempio, Back to School Pa è un comitato politico nato in Pennsylvania e finanziato in gran parte dal venture capitalist e genitore della contea di Bucks, Paul Martino. Il comitato ha affermato che almeno 101 dei suoi candidati hanno vinto le elezioni nei consigli scolastici, dopo aver speso più di 600.000 dollari per sostenere 208 candidati al consiglio scolastico in 54 comunità in tutto lo stato. Un’altra organizzazione a livello locale è Let Them Breathe. Il gruppo ha raccolto quasi 160.000 dollari negli ultimi tre mesi e stanno facendo causa allo stato della California insieme a un gruppo chiamato Reopen California Schools contro l’obbligatorietà della maschera per gli studenti.
Questo attivismo a livello locale è la porta d’ingresso per altri tipi di coinvolgimento e di mobilitazione politica, come si è visto nelle elezioni in Virginia. Le battaglie nei consigli scolastici stanno infatti aiutando i repubblicani a cementare una coalizione attorno ai temi dell’identità. E non sembra essere limitata al campo repubblicano. Secondo infatti un sondaggio dell’Economist/YouGov il 76 per cento degli elettori indipendenti ha una visione sfavorevole della Critical race theory. E per certi versi è già accaduto in passato che istanze nate a livello locale – con il supporto finanziario di organizzazioni conservatrici – siano riuscite ad imporre le loro tematiche a una platea più ampia di cittadini. Qualcosa di simile è accaduto con il Tea Party durante la presidenza di Barack Obama. E questo, ha detto Steve Bannon, l’ex consigliere di Trump alla Casa Bianca e una delle personalità più rilevanti dell’alt-right, “è il Tea Party alla decima potenza”.
Per ora la strategia sembra aver avuto un discreto successo. E probabilmente sarà replicata. “Il percorso per salvare la nazione è molto semplice”, ha detto tempo fa Bannon, “passa attraverso i consigli scolastici”. L’obiettivo dei repubblicani è infatti la riconquista gli elettori bianchi delle periferie con titolo di studio che sono stati determinanti nella sconfitta di Trump. In particolare le donne che, questa volta, potrebbero essere decisive per la vittoria repubblicana alle elezioni di metà mandato del prossimo anno.
D’altra parte, nota l’ex consigliere di Trump, chi può aver paura delle “Mama Bears” che vogliono proteggere i loro figli dal “razzismo anti-bianco”, dalle “teorie LGBTQ” e dalle “mascherine obbligatorie”?

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