L’Italia è uno dei principali beneficiari, insieme a Spagna e Francia, del Piano Europeo per la Ripresa, il Recovery Plan, che la costringe ad affrontare una serie di sfide difficili in tempi brevi, come spiega da mesi l’esperto Vito Vacca, che ha ora raccolto le sue esperienze e raccomandazioni in Guida al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR; insistendo sul fatto che queste difficoltà italiane riguardano anche altri paesi europei.
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In effetti, come ha sottolineato recentemente Yves Bertoncini, presidente del Mouvement européen-France, su Le Monde, l’Unione Europea (UE) ha lanciato il Piano di Ripresa a causa dell’interdipendenza economica dei suoi membri: “Se partner importanti come l’Italia e la Spagna non avessero avuto la garanzia di un aiuto massiccio dell’UE, il loro collasso economico e finanziario avrebbe avuto conseguenze molto negative anche in Francia”.

Il Piano di Ripresa da 750 miliardi di Euro adottato al Consiglio Europeo del luglio 2020, il Next Generation EU, è il “più grande pacchetto di ripresa mai finanziato in Europa“; Vacca lo paragona al Piano Marshall (1947 – 1951), il cui nome ufficiale era non a caso European Recovery Program; ma il Piano Marshall era dotato di soltanto di 12,7 miliardi di dollari all’epoca, l’equivalente di 125 miliardi di Euro al potere di acquisto di oggi, sei volte meno del Next Generation EU.
L’imponente Piano di risposta alla pandemia sarà finanziato da un prestito congiunto europeo da rimborsare in trent’anni, e comprende vari strumenti, facilities in inglese, la principale è la Recovery and Resilience Facility (RRF), con 672,5 miliardi di Euro, suddivisi in 360 miliardi di Euro di prestiti a lungo termine e 312,5 miliardi di Euro di sovvenzioni agli Stati membri; queste risorse dovrebbero incoraggiare investimenti massicci soprattutto nella transizione ecologica ed in quella digitale.


Tre criteri sono stati presi in considerazione per sostenere gli Stati più colpiti dalla crisi sanitaria: popolazione, prodotto interno lordo pro capite e tasso di disoccupazione nel periodo 2015 – 2019; bisogna notare che il pagamento degli aiuti può essere sospeso in caso di violazioni dello stato di diritto e dei principi democratici, il che potrebbe riguardare in particolare l’Ungheria e la Polonia.
Inoltre, 77,5 miliardi di altre sovvenzioni saranno assegnati a programmi europei per la ricerca e l’innovazione come Horizon Europe ed a nuovi strumenti finanziari come InvestEU o il Fondo per la neutralità del clima entro il 2050.

Il portale riunirà investitori e promotori di progetti, mettendo a disposizione una banca dati intuitiva e facilmente accessibile.

I principali destinatari dei 312,5 miliardi di Euro di sovvenzioni del Piano europeo sono la Spagna (69,5 miliardi di euro) e l’Italia (68,9 miliardi), seguiti da Francia (39,4 miliardi), Germania (25,6 miliardi) e Polonia (23,9 miliardi).
L’interrogativo che si pone è: l’Italia riuscirà a beneficiare di questi aiuti? Oltre ai 68,9 miliardi di sussidi, riuscirà ad utilizzare i 122,60 miliardi di prestiti del RRF, per un totale di 191,5 miliardi, che concorrono al suo Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR) che ha una dotazione finale con l’integrazione di risorse nazionali pari a 235,64 miliardi?


Gestire ingenti risorse in tempi contingentati
Inoltre, queste somme si aggiungono alle risorse del bilancio ordinario dell’Unione Europea (il Quadro Finanziario Pluriennale 2021 – 2027), che per le Politiche di Coesione ha una dotazione di oltre 40 miliardi di Euro per l’Italia, raddoppiati dal cofinanziamento nazionale; pertanto, Vacca fa notare che in pochi anni l’Italia dovrà progettare e gestire circa trecento miliardi di Euro di progetti; infatti, nello stesso periodo di tempo, dovrà anche chiudere la Programmazione Europea 2014 – 2020, che si concluderà soltanto nel dicembre 2023.
Di conseguenza, in tre anni, tra il 2021 e il 2023, l’Italia dovrà rendicontare un importo che è due volte e mezzo ciò che è stato rendicontato nei sette anni dal 2014 al 2020; per utilizzare risorse così ingenti in un periodo di tempo molto breve, gli interventi dovrebbero essere concentrati secondo priorità chiare e realistiche; tuttavia, l’Italia è abituata a suddividere i Fondi europei in una moltitudine di interventi, con i conseguenti ritardi nella gestione e nella rendicontazione.
Vacca evidenzia l’attuale debolezza della Pubblica Amministrazione italiana per il blocco nelle assunzioni del personale che si è avuto negli ultimi lustri; in una conferenza online, ha citato il Sindaco di Lecce che si è lamentato di avere in forza soltanto 350 dipendenti pubblici invece di 700 come da pianta organica; ciò si somma al numero di giorni dedicati alla formazione, che è il più basso in Europa, con un conseguente continuo deterioramento del livello delle competenze.
Va ricordato che anche il giudice Alfonso Sabella, ex procuratore antimafia, chiede da tempo una migliore formazione dei pubblici funzionari, che, a suo parere, non sono abbastanza competenti per sventare le risposte truccate dei mafiosi agli appalti pubblici; questo pericolo vale anche per l’assegnazione delle risorse europee.
Negli ultimi due decenni, “gli investimenti totali in Italia sono cresciuti solo del 66%, contro il 118% nella Zona Euro; la quota degli investimenti pubblici è passata dal 14,6% nel 1999 al 12,7% nel 2019; la caduta è particolarmente grave nel Mezzogiorno, dove la spesa pubblica è scesa da 21 miliardi nel 2008 a 10 miliardi nel 2018”, ricorda Vacca.
Politiche di bilancio restrittive hanno rallentato i necessari processi di modernizzazione della pubblica amministrazione, delle infrastrutture e delle catene di produzione; l’esperto Antonio Bonetti aggiunge che dietro ai discorsi sul Programma Industria 4.0 si notano una produttività stagnante anche nel Nord Italia e inizi di desertificazione industriale, pur rimanendo l’Italia la seconda manifattura in Europa.


La crescita italiana negli ultimi due decenni è stata la più bassa d’Europa; ciò a causa di una bassa produttività complessiva, conseguenza “di un circolo vizioso: poca innovazione, troppe rendite di posizione ed una continua fuga dei giovani laureati meglio valorizzati altrove”, riassume Vacca.
Pertanto, il PIL pro capite delle regioni italiane è fortemente diminuito tra il 2006 e il 2017 rispetto alla media europea (UE 28 = 100); passando, ad esempio, da 138 a 128 in Lombardia, da 118 a 102 in Piemonte, da 72 a 59 in Sicilia.
Inoltre, Vacca ricorda che le regioni dell’Italia meridionale continuano a soffrire di un grave ritardo in materia d’infrastrutture stradali, ferroviarie ed aeree rispetto agli altri paesi dell’UE; notando che i ritardi del Mezzogiorno recano nocumento non soltanto alle prestazioni dell’Italia, ma anche a quelle dell’intera Zona Euro; noi aggiungiamo che questo indebolisce anche la democrazia minacciata dalle correnti populiste spinte dalle reti digitali [Cfr. Mauro Barberis, Come internet sta uccidendo la democrazia, Ed. Chiarelettere 2019; e Giuliano da Empoli, Gli ingegneri del caos. Teoria e tecnica dell’internazionale populista, Marsilio, Venezia 2019].
Misure urgenti
Da quanto sopra riportato, derivano una serie di misure d’intervento urgenti: in primis bisogna rafforzare le capacità progettuali del settore pubblico a tutti i livelli e in particolare gli uffici tecnici; finanziando in maniera continuativa e con sovvenzioni le attività di progettazione dei Comuni, che hanno subito drastici tagli ai loro bilanci negli ultimi due decenni, perché possano mettere in campo un vero e proprio “parco progetti” da poter realizzare anche con le risorse del PNRR.
Il secondo punto è quello rafforzare la dotazione di tecnici ed esperti di supporto al settore pubblico in particolare nei campi corrispondenti alle sei Missioni previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR): rivoluzione verde e transizione ecologica; digitalizzazione, innovazione, competitività; infrastrutture e mobilità sostenibile; istruzione, formazione, ricerca, cultura; coesione sociale e territoriale, parità di genere; salute.
Queste proposte implicano anche un deciso cambio del paradigma economico che ha dominato gli ultimi decenni; comportano una rottura delle mentalità e delle pratiche che sono state dominanti fino all’inizio della pandemia.
Politici, amministratori e dirigenti italiani sapranno affrontare questa sfida? La risposta riguarda tutti i paesi europei e la costruzione di un’Europa capace di difendere il proprio futuro nel pericoloso contesto di questi anni.



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