Voglio ringraziare Andrea Segre che ha voluto donare ai veneziani una visione “speciale” del suo Welcome Venice. Gratuita e in una cornice che nessuna sala cinematografica può offrire: il teatro Goldoni.
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Per questo – come immagino molti altri dei veneziani presenti – sono tornato a vedere il film, che pure avevo visto da poco. In sé questo è un bene, perché lo capisci meglio e ci entri più dentro. Ed è quello che credo Andrea volesse proporci, in modo diverso dalle tante serate che in questi mesi ha fatto per presentare il suo film in Italia e nel mondo. Una discussione da “veneziano” con i veneziani, gestita con l’aiuto di Piero Del Soldà, un altro “veneziano”, che ogni mattina ci accompagna nell’approfondimento dei fatti del giorno dai microfoni di Tutta la città ne parla.
Basta scorrere la sua ormai più che ventennale docu-filmografia per capire che Andrea ha sempre amato collocarsi sul limite e su storie di frontiera, con una importante attenzione ai paesaggi (e non solo d’acqua: uno scialpinista da Lagorai sud come me ha molto apprezzato i Mocheni de La prima neve) e una capacità di dire qualcosa che faccia riflettere lo ”spettatore” sui temi che tratta.

Venendo a Venezia e proponendoci il suo film Andrea ha voluto interrogare noi (veneziani) e la città sul nostro, sul suo futuro.
Venendo a parlare di persona del suo film, ci ha fatto una semplice domanda, con la serietà di chi costruisce il suo lavoro su analisi e inchieste e con la partecipazione affettiva di chi si sente “veneziano dentro”.
Dopo una crisi pandemica che prima sembrava aver bloccato tutto e ora ad alcuni fa sembrare (desiderare?) che tutto possa partire come prima, più di prima, cosa ne pensate? Come intendete fare i conti con la vera e devastante onda anomala che rischia di travolgervi, che è quello dell’overtourism?
Il film non per caso è ambientato in Giudecca. Ovvero nella parte più viva della nostra città, quella dove il confronto (e lo scontro) tra il vecchio e il nuovo è ancora vivo e possibile. Quella dove scene di vita quotidiana tra calli e campi si prolungano nelle uscite in laguna sud degli (ultimi) “moecanti”. Quella dove ancora c’è una composizione sociale variegata, con una presenza popolare che nel resto della città si riscontra sempre meno. Quella dove continuano a nascere e consolidarsi innovative esperienze di partecipazione, sul terreno culturale (l’annuale Festival delle arti), sociale e ambientale (Poveglia per tutti).
Che poi, ce lo chiede il film, qual è il “vecchio” e qual è il “nuovo”?
Alla fine, sembra vincere Alvise, il fratello già trasferito in terraferma e che più che sul lavoro duro e sfibrante punta ai “soldi veri”; per sé e per la famiglia. È questo il “nuovo”?
Di quel lavoro Toni ci è morto, ma Piero – l’altro fratello – non dimentica quanto Toni lo abbia aiutato quando si stava lasciando andare e ne raccoglie il testimone e il legame alla casa giudecchina. Perché – dice nel momento della resistenza – è una prospettiva vera (i turisti possono anche andarsene, i granchi restano). È questo il “vecchio”?
Poi anche Piero cede e lo vediamo in una casa mestrina, più grande e comoda, ma anche tanto più triste e intristente.
Ma non è finita qui, fino al beffardo finale che tutti conoscete…
Bene.

In una domenica di autunno, i due “veneziani” Andrea Segre e Piero Del Soldà che amano la loro città anche se la vita li ha portati a realizzarsi altrove sono venuti a chiederci cosa ne pensiamo.
Se a Venezia il “nuovo” è e sarà sempre di più il dominio della rendita immobiliare speculativa legata al turismo e il “vecchio” la difficoltà a trovare altri lavori e altre prospettive economiche e sociali.
Se sapremo sfuggire alla trasformazione in figuranti, per tornare a essere abitanti che lavorano e che continuano o tornano a stare nella città storica.
Nel farlo sono stati aiutati da due docenti universitari, che hanno inquadrato le tendenze e gli sviluppi della situazione veneziana dal punto di vista di peso e prospettive del turismo (Jan Van Der Borg) e dell’evoluzione urbanistica e prospettive di “ripopolamento” (Sergio Pascolo).
Sono stati aiutati dagli interventi di associazioni e soggetti delle società civile (dal comitato #NoGrandiNavi al gruppo impegnato sul fronte del mercato di Rialto, dalle remiere all’associazione Poveglia per tutti, dal laboratorio civico sulla residenzialità Ocio ai giovani di Venice Call, a Here We Are Venice e ad altro ancora).
Teatro pieno (tutti con mascherina), bella visione, e un dibattito vivo che giustifica le parole di Andrea Segre che in conclusione ha sostenuto che
da questo ampio confronto che ha portato alla luce diverse sfaccettature può davvero nascere un laboratorio di sperimentazione sui problemi del centro storico, ma anche, direi, della terraferma mestrina visti gli evidenti collegamenti tra le due realtà. Voglio quindi precisare che non è stato un confronto di parte, ma un dibattito sui temi veri che affliggono Venezia.
E qui viene – a mio avviso – il limite vero di questo bel pomeriggio, come di altre iniziative di rilievo scientifico e culturale che la nostra città ha ospitato negli ultimi tempi.
Personalmente, non sono soddisfatto dell’assenza di sindaco, giunta e amministrazione comunale, e non mi bastano i legittimi interventi dell’opposizione consiliare.
Potremmo cavarcela con sir Oliver Skardy e con il suo “quei che ne comanda / i xe sempre ’na bruta banda” ma non mi basta. Non riesco a rassegnarmi al fatto che la nostra amministrazione rifugga da ogni occasione di confronto, non dico politico, ma anche scientifico e culturale, che coinvolga i cittadini sui destini della città e sulla possibilità di riprenderli nelle proprie mani.
O meglio, me lo spiego. È sempre più evidente che non è vero che non ci sia un disegno sulla città e sui suoi destini. C’è. Ed è quello che lascia fare al mercato. Che persegue anche a livello amministrativo la deregulation, per cui si tratta semplicemente di non porre ostacoli alla rendita e allo sfruttamento turistico della città d’acqua e di terra: dai sempre nuovi alberghi a Venezia e Mestre alla “airbnbizzazione” di vaste porzioni di patrimonio residenziale – anche alla Giudecca.
Con in più la beffa della proibizione formale di azioni (nuovo consumo di suolo in Regione Veneto, nuovi alberghi nella città storica veneziana) che poi gli Zaia e i Brugnaro di turno autorizzano “in deroga” a ogni investitore si presenti con il suo bel pacchettino di soldi in mano.
Allora ancora grazie ad Andrea Segre e a Piero Del Soldà per averci dato lo stimolo.
Spero che il loro auspicio si realizzi e che si consolidi un vero laboratorio di confronto sui problemi delle città, d’acqua e di terra. Capace di esprimere idee e anche di raggiungere risultati. Ma dipende da noi. Veneziane e mestrini, abbiamo voglia di farlo? E come? Ecco un dibattito che potrebbe aprirsi e strutturarsi. Meglio se non il giorno prima delle elezioni…


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1 commento
Gentile Mario, non ho (ancora) visto il film e spero di poterlo fare presto.
Ho poche speranze di un cambio di rotta della politica attuale in campo culturale.
Perdoni la citazione di altro “analista”.
https://www.finestresullarte.info/opinioni/veneto-regione-propone-continui-tagli-cultura-settore-si-mobilita?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter20211128