È tempo di bilanci a un anno dall’insediamento di Joe Biden alla presidenza. Spenti gli entusiasmi quasi messianici per la vittoria contro Trump, il presidente democratico affronta notevoli problemi, come ytali aveva già sottolineato a inizio mandato. Le divisioni interne ai democratici, un sistema politico e una società estremamente polarizzati e una maggioranza sottilissima al Senato hanno rappresentato ostacoli in taluni casi insormontabili al tentativo del presidente democratico di normalizzare la vita politica americana (“America is back”), dopo quattro anni di Donald Trump.
ytali è una rivista indipendente. Vive del lavoro volontario e gratuito di giornalisti e collaboratori che quotidianamente s’impegnano per dare voce a un’informazione approfondita, plurale e libera da vincoli. Il sostegno dei lettori è il nostro unico strumento di autofinanziamento. Se anche tu vuoi contribuire con una donazione clicca QUI
Non si tratta soltanto di temporaneo arresto delle iniziative politiche del presidente democratico. Biden è stato eletto infatti anche per la sua capacità di raggiungere compromessi con gli avversari politici. Un fattore che avrebbe dovuto stemperare le tensioni politiche per il ritorno all’America pre-Trump e restaurare “l’anima della nazione”, come citava lo slogan di successo della campagna elettorale del democratico. Una retorica politica che tuttavia si è scontrata con la realtà di un paese estremamente diviso. E non dal 2016, quando Donald Trump vinse a sorpresa le elezioni.
L’ex presidente repubblicano, inoltre, è ancora forte a destra. Su ytali si scriveva che molto del futuro del Partito repubblicano sarebbe dipeso dall’establishment repubblicano più che dai problemi giudiziari dell’allora presidente. Si diceva anche che le elezioni di Midterm del 2022 avrebbero molto probabilmente radicalizzato un Partito repubblicano desideroso di riprendersi la Camera dei rappresentanti e reso difficile un cambio di retorica e di posizioni rispetto all’amministrazione Trump. E così, al momento, Trump sembra il candidato repubblicano più probabile in vista del 2024, mentre il partito ha enormi difficoltà a staccarsi dalla retorica che ha alimentato l’assalto al Campidoglio.

Per molti americani – e non solo – Biden sembra stato però incapace di far fronte a questa situazione e di diventare il leader che speravano che fosse. È il risultato del divario tra aspettative politico-elettorali e realtà. La necessità di mobilitare ogni singolo elettore per far fronte a Trump ha alimentato un’agenda politica di difficile realizzazione ma in grado di tenere assieme le varie anime del Partito democratico e di soddisfare le domande della “coalizione sociale” democratica.
Certamente la gestione della pandemia di Covid-19 è diversa da quella del predecessore. Quando Biden è diventato presidente, il numero di casi e i tassi di mortalità erano estremamente alti; la campagna di vaccinazione, che era iniziata con l’ex presidente Donald Trump, era disorganizzata; la gente era generalmente segregata nelle loro case, e i bambini erano relegati all’apprendimento a distanza. Biden aveva quindi promesso di cambiare la situazione, che avrebbe ascoltato gli scienziati, incoraggiato l’uso di maschere, dato al governo federale un ruolo più forte nell’affrontare la pandemia e somministrato 100 milioni di dosi nei suoi primi 100 giorni. Come risultato, l’amministrazione Biden ha aumentato il numero di persone vaccinate, ha aumentato il numero di luoghi in cui vaccinarsi e ha ridotto il numero di disparità per chi si vaccina. Dati recenti del Commonwealth Fund indicano che il programma di vaccinazione contro il Covid-19 negli Stati Uniti ha evitato 1 milione di morti e 10 milioni di ricoveri.
I democratici al Congresso hanno anche approvato un gigantesco disegno di legge a sostegno all’economia nella crisi determinata dal Covid-19. Per quanto riguarda invece l’altro disegno di legge che avrebbe dovuto trasformare la società americana dall’ambiente al lavoro – il cosiddetto Build Back Better (BBB) -, questo giace al Senato, dove il senatore democratico Joe Manchin ha dichiarato di non poter votare il disegno di legge.
Al di là tuttavia della lotta al Covid-19, in altri campi l’amministrazione Biden ha fatto molta fatica. Soprattutto in alcuni settori rilevanti per l’opinione pubblica internazionale – la politica estera -, per l’elettorato democratico – l’immigrazione – e per gli elettori Afro-Americani – il diritto al voto -, che hanno svolto un ruolo determinante nella vittoria di Biden alle primarie e, con la loro mobilitazione, alla elezioni presidenziali.
Politica estera
È forse il settore dove i risultati sono più in chiaroscuro di quanto si potesse auspicare, anche ingenuamente. Sin dall’inizio Biden aveva dichiarato “America is back”, per sottolineare la differenza tra la politica estera di Donald Trump e le intenzioni della nuova amministrazione democratica. Biden aveva quindi annullato la decisione di Trump di ritirarsi dall’Organizzazione mondiale della sanità; aveva deciso rientrare nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite; aveva immediatamente esteso il nuovo accordo di controllo degli armamenti START con la Russia per un massimo di cinque anni; aveva posto fine al sostegno americano alle operazioni offensive nella guerra a guida saudita in Yemen; e aveva ripetutamente espresso il desiderio di riportare gli Stati Uniti nell’accordo nucleare iraniano. Gli Stati Uniti a guida democratica erano poi rientrati negli accordi sul clima di Parigi.
In altri campi, tuttavia, le differenze tra le due amministrazioni non si sono dimostrate così ampie. Ad esempio, Biden ha rifiutato di sanzionare il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman per il suo ruolo nell’uccisione del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi; l’ambasciata degli Stati Uniti in Israele è rimasta a Tel Aviv, come deciso da Trump. Biden ha poi dato seguito all’accordo stipulato tra i talebani e Trump, culminato nel ritiro rapido e improvviso delle truppe dall’Afghanistan. Le relazioni con la Cina sembrano essere addirittura peggiorate e l’approccio di Biden sembra essere ancora più duro di quello di Trump. Sono anche rimasti in vigore molte dei dazi doganali dell’era Trump.
Certo Biden rimane più multilaterale e cooperativo rispetto all’ex presidente repubblicano. Però esiste anche un forte elemento retorico che ha caratterizzato la nuova amministrazione. E l’idea del ritorno degli Stati Uniti nel consesso internazionale sembra aver funzionato. Almeno inizialmente. E soprattutto in Europa. L’obiettivo di Biden era quello di ricostruire una relazione di fiducia con gli alleati europei, dopo i turbolenti anni di Trump. Rassicurazioni che gli europei hanno ottenuto con la promessa di rispettare la clausola di difesa reciproca della Nato in caso di attacco e l’assenso alla costruzione di Nord Stream 2. Lo stesso atteggiamento di Biden nei confronti della Russia di Putin, con le sanzioni ai funzionari russi come rappresaglia per l’avvelenamento di Alexei Navalny e per i tentativi di interferenza elettorale, ha in qualche modo dato l’impressione che la nuova amministrazione democratica rappresentasse non solo un distanziamento nelle forme e nei modi ma anche nei contenuti.
Il mutamento delle forme non ha però appianato le differenze esistenti su molti campi. L’Afghanistan, in particolare, è stata una manifestazione ulteriore dell’unilateralismo americano che forse molti si attendevano da Trump, ma non dall’attuale presidente. La vicenda più recente con la Francia per l’accordo sui sottomarini ne è un altro esempio.
Fareed Zakaria sul Washington Post ha parlato della politica estera di Biden come una normalizzazione della politica estera di Trump. Forse è vero. Quel che è certo è che le questioni interne degli Stati Uniti sono dominanti in questo momento e che c’è una certa fatica associata ai lunghi impegni militari all’estero. Una combinazione che sta modificando gli orientamenti di politica estera del paese, indipendentemente da Biden o Trump.

La politica sull‘immigrazione
Da candidato, Joe Biden aveva condannato con durezza la politiche sull’immigrazione dell’amministrazione Trump e, come è accaduto in altri settori, ha inizialmente approvato degli ordini esecutivi che cancellavano alcuni aspetti della politica repubblicana dei quattro anni precedenti. Per esempio, l’amministrazione democratica ha ripristinato un programma cancellato da Donald Trump che consente ai minori di El Salvador, Guatemala e Honduras di ricongiungersi con un genitore che vive legalmente negli Stati Uniti e ha disposto che i bambini separati e incarcerati alla frontiera potessero ricongiungersi con i loro genitori negli Stati Uniti o nel loro paese di origine. Biden ha poi eliminato il divieto di viaggio per le persone provenienti da alcuni paesi a maggioranza musulmana.
Il presidente ha anche inviato al Congresso un disegno di legge sull’immigrazione che consentirebbe a milioni di immigrati non regolari che sono già nel paese un percorso verso la legalità. La legislazione proposta creerebbe un percorso di otto anni verso la cittadinanza per i 10,5 milioni di immigrati non autorizzati, modificherebbe le regole sui visti basate sull’occupazione e aumenterebbe il numero dei diversity visa, quei visti che sono assegnati sulla base di una lotteria gratuita e a cui possono partecipare persone provenienti da paesi di tutto il mondo, per vivere e lavorare legalmente negli Stati Uniti.
A queste decisioni iniziali però sono seguiti i problemi. Innanzitutto, problemi per la legislazione sull’immigrazione proposta da Biden. Allo stato attuale, infatti, non esiste una maggioranza sufficiente al Congresso per approvarla. E le cose non miglioreranno se i repubblicani dovessero vincere le elezioni di metà mandato del prossimo anno.
Su alcuni temi, poi, l’amministrazione democratica non sembra aver rispettato quanto promesso di fare. Biden infatti ha firmato a gennaio un ordine esecutivo che sospendeva la costruzione del muro al confine tra Texas e Messico e voluto da Donald Trump. Da allora, la costruzione della maggior parte della barriera è stata interrotta. Tuttavia qualche mese fa, la costruzione è ripartita.
È vero che Biden si è trovato anche a gestire l’arrivo di migliaia di minori non accompagnati al confine con gli Stati Uniti. Una situazione seguita dalle polemiche per il trattamento dei minori, detenuti in gabbie come durante l’era Trump. Situazione alla quale l’amministrazione ha cercato di porre rimedio. Alla fine di aprile 2021, il numero di bambini detenuti nelle strutture della polizia di frontiera è poi diminuito dell’84 per cento e sono stati posti sotto la cura di strutture adeguate all’accoglienza di minori.
Il presidente sembra su molti aspetti della politica migratoria mantenere un equilibrio tra l’eliminazione degli aspetti più simbolici della politica di Trump ma nel contempo mantenendone alcuni aspetti fondamentali. Per esempio, Biden ha cancellato la decisione di Trump che imponeva a tutti i richiedenti asilo dell’America centrale di aspettare in Messico in attesa della verifica dei requisiti per l’accesso. Ma ha mantenuto in vita l’ordine esecutivo del presidente repubblicano che consente alle autorità di frontiera di rimandare indietro i migranti per tutta la durata della pandemia di Covid-19. È quello che accaduto ad esempio con le migliaia di cittadini di Haiti accampati in condizioni squallide e oggetto di polemiche tra democratici per il trattamento che la polizia ha riservato ai migranti. Il segretario alla sicurezza interna Alejandro Mayorkas si era poi impegnato ad accelerare l’espulsione dei migranti in arrivo.
A tutto questo di devono aggiungere le difficoltà legate ai contenziosi legali e ai rapporti coi sindacati di polizia. Per esempio, un giudice federale del Texas ha ordinato all’amministrazione Biden di reimplementare la politica di Trump che imponeva a tutti i richiedenti asilo dell’America centrale di aspettare in Messico. Anche la moratoria sulle deportazioni voluta da Biden per i primi cento giorni della sua presidenza è stata giudicata da un giudice federale priva della giustificazione concreta e, pertanto, ha emesso ordine restrittivo che vieta di applicare la moratoria stessa.
Il presidente ha anche avuto problemi nel cambio di missione della temuta ICE, la polizia per l’immigrazione. Biden ha infatti chiesto di concentrarsi sulla ricerca dei trasgressori violenti delle leggi sull’immigrazione piuttosto che su tutti i trasgressori in generale delle leggi sull’immigrazione. Una svolta importante rispetto all’era Trump. Ma che ha avuto qualche difficoltà nell’applicazione a causa della contrarietà dei sindacati di polizia.
La riforma della polizia e il diritto al voto
Dopo la morte di George Floyd per mano della polizia di Minneapolis, i democratici avevano introdotto il George Floyd Justice in Policing Act. La legislazione proposta cercava di aumentare la responsabilità della polizia, creava un registro nazionale per seguire gli ufficiali con storie di illeciti che venivano trasferiti da un reparto all’altro, proibiva la profilazione basata su razza e religione, avrebbe richiesto un addestramento sulla profilazione e vietato la presa al collo e altre “modalità” utilizzate dalla polizia nei fermi.
La legge era stata approvata dalla Camera a guida democratica ma si è bloccata al Senato, dove democratici e repubblicani sono in parità e sono necessari sessanta voti per aggirare l’ostruzionismo e approvare la legge. I democratici hanno quindi eliminato alcuni aspetti dalla legislazione e avviato i colloqui con la controparte repubblicana al Senato. I colloqui sono poi falliti e attualmente la possibilità che la legge passi sono pari a zero. Tuttavia i sostenitori della riforma della polizia stanno facendo pressioni sul Dipartimento di giustizia. Questo infatti potrebbe intervenire con quelli che chiamano consent decrees e che sono stati utilizzati già in passato per riformare i dipartimenti di polizia accusati di abusi, una pratica abbandonata durante l’amministrazione Trump.
Anche sull’espansione del diritto al voto, nonostante le buone intenzioni di Biden, i risultati sono assenti. Il presidente democratico ha sostenuto il For the People Act, che cercava di espandere il diritto al voto dei cittadini americani. Si trattava di una legislazione particolarmente importante per gli Afro-Americani che costituiscono la spina dorsale dell’elettorato democratico. Il disegno di legge era stato approvato dalla Camera ma è stato poi bloccato al Senato dove erano necessari i sessanta voti per l’approvazione e aggirare l’ostruzionismo del Partito repubblicano. I democratici hanno quindi presentato un nuovo disegno di legge, il Freedom to Vote Act o John Lewis Voting Rights Act, basato sulla proposta del senatore democratico del West Virginia Joe Manchin, che all’epoca aveva rifiutato di votare per il For the People Act, poiché diceva che non aveva un sostegno bipartisan.
Il nuovo disegno di legge contiene molte delle stesse disposizioni del For the People Act, anche se ha ristretto alcuni dei termini per placare i democratici moderati. Il disegno di legge comunque amplia la capacità degli elettori di votare per corrispondenza, stabilendo standard nazionali di base che consentono il voto anticipato senza scuse per tutti gli elettori aventi diritto. Il disegno di legge renderebbe anche il giorno delle elezioni un giorno festivo legale. La registrazione automatica degli elettori diventerebbe lo standard e tutti gli stati dovrebbero anche consentire agli elettori di registrarsi e votare lo stesso giorno. Inoltre sarebbe ripristinato il diritto di voto alle persone con condanne penali che hanno completato le loro condanne, ma non a quelle che stanno ancora scontando la pena. Secondo la legislazione proposta, per la definizione delle circoscrizioni elettorali, che danneggiano in particolare le comunità non bianche, sarebbero applicati criteri di riorganizzazione uniformi.
La legislazione è passata alla Camera ma giace ferma al Senato dove democratici e repubblicani hanno lo stesso numero di senatori. Inoltre per passare la legislazione sarebbero necessari sessanta voti per aggirare l’ostruzionismo. Si tratta di una legislazione storica di riforma elettorale. Ma l’assenza dei voti al Senato la rende praticamente carta straccia. E la situazione non migliorerà il prossimo anno con le elezioni di metà mandato.


Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!