La sexta ola

Omicron travolge una Spagna stupita, dopo sacrifici e sofferenza, di essere di nuovo in piena emergenza pandemica. Nelle grandi città i contagi dilagano e il sistema sanitario è in affanno, in particolare nella capitale.
ETTORE SINISCALCHI
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[BARCELLONA]

La Spagna affronta la sesta ondata dell’epidemia da Covid-19, secondo la numerazione locale, travolta dalla rapidità dei contagi. Il governo Sánchez ha sinora lasciato alle autonomie l’iniziativa di prendere misure restrittive, limitandosi la scorsa settimana a emanare un decreto d’urgenza con scarse o nulle prescrizioni, ma le Comunità autonome agiscono in ordine sparso se non in contraddizione.

La Catalogna, assieme alle Canarie, si è mossa per prima nel decidere di emanare nuove restrizioni. Se le isole atlantiche dell’Africa nord occidentale dispongono di maggior libertà di manovra, e hanno attivo un dispositivo che fa scattare restrizioni automaticamente raggiunte determinati condizioni dei contagi, per i catalani, come per il resto delle autonomie, il meccanismo è più farraginoso. Il presidente della Generalitat, Pere Aragones, ha chiesto al Tribunal Superior de Justicia de Catalunya (Tsjc) di esprimersi su un pacchetto di misure, per evitare che potessero successivamente essere impugnate e sospese – in quello che costituisce un altro corto circuito nella separazione dei poteri in Spagna. Giovedì della scorsa settimana è arrivato il placet giudiziario. Scatta il coprifuoco da l’una alle sei, ridotta al 70 per cento la capienza negli spazi chiusi, dalle cerimonie religiose ai musei, e al 50 per cento nei posti a sedere all’interno nella ristorazione, obbligatoria la presentazione della certificazione Covid di vaccinazione o per tampone, valido 48 ore se antigenico, 72 se Pcr, per consumare al chiuso o per accedere a palestre, musei, spettacoli. Oggi sono arrivate nuove limitazioni per stadi e spettacoli all’aperto, mentre nelle discoteche le piste sono chiuse, non si balla, solo servizio ai tavoli o al bar, con la riduzione delle capienze e fino alle 24.30.

Un cartello riepilogativo delle misure di prevenzione in atto in Catalogna

Non va così a Madrid, dove le discoteche sono aperte ed è permesso ballare, con mascherina e mantenendo un metro e mezzo di distanza, niente più lenti né balli figurati, ed è tassativamente vietato bere in pista. Nella capitale gli orari sono quelli abituali e tutto funziona regolarmente, a parte la riduzione degli accessi al chiuso al 75 per cento della capienza. Ultima misura straordinaria del Comune la revoca della concessione per cinque grandi feste di Capodanno organizzate da privati. Confermate le tradizionali Campanadas de Nochevieja, i dodici rintocchi alla Puerta del Sol, con accesso limitato a settemila persone.

La campagna della Comunità di Madrid per la prevenzione della diffusione della Covid-19 durante le feste natalizie

Eppure i numeri sono preoccupanti. L’incidenza nazionale è in rapida crescita, ha superato per la prima volta i 1.200 casi ogni centomila abitanti, per due settimane di seguito, nella capitale supera i 1.700. Secondo i dati del report epidemiologico quotidiano della Comunità di Madrid, lunedì 27 dicembre c’erano 6.189 nuovi casi, rispetto ai 2.645 della settimana precedente, dei quali oltre 5.400 diagnosticati nelle ultime 24 ore. Isabel Díaz Ayuso, la presidente della Comunità ha dichiarato:

Siamo consapevoli che questa sesta ondata è molto esplosiva nei contagi ma lo siamo anche della caduta degli stessi. Quindi è questione di giorni che incominci a rientrare.

Gli esperti però fanno notare come, stanti i dati immediatamente precedenti al Natale in progressione continua, lo stop dei test durante Natale e Santo Stefano, lo schizzare dei positivi nei test delle ultime 24 ore, le cifre reali siano probabilmente di molto superiori e la tendenza sia comunque espansiva.

Un pronto soccorso della Comunità di Madrid chiuso per mancanza di personale, spostato nei reparti Covid e non sostituito

A Madrid, Omicron era oltre il 60 per cento dei nuovi casi già al 17 dicembre. La sanità è gravemente colpita, ridotte o cancellate le prestazioni ordinarie, chiusi gli appuntamenti per la diagnostica, impossibili le attività ambulatoriali per lo spostamento del personale nei reparti Covid e le quarantene, come segnalano allarmati gli operatori sanitari, mentre le terapie intensive sono prossime alla saturazione. Alcune importanti strutture sanitarie, come l’Hospital de la Paz, importante centro sanitario di riferimento spagnolo e internazionale, sono al collasso, i centralini non riescono a smistare il traffico telefonico, i servizi di base sono sospesi. Isabel Diaz Ayuso ha risposto alle critiche incolpando i sanitari.

In alcuni centri di salute improvvisamente non ci sono medici, non tutti vogliono rimboccarsi le maniche, non rispondono al telefono, interrompono la comunicazione,

ha detto in un’intervista radiofonica lo scorso 21 dicembre, preannunciando una commissione d’indagine sui disservizi.

Mentre la sanità madrilena arranca continuano i licenziamenti e la riduzione di servizi; il 31 dicembre 81 operatori sanitari in forze all’Hospital de la Princesa perderanno il lavoro

Gli operatori dei servizi sanitari denunciano da tempo le condizioni drammatiche in cui lavorano, i turni massacranti, la mancanza di personale che costringe a non garantire le prestazioni in tempi utili. I contratti temporanei fatti per l’emergenza sono in scadenza e non vengono rinnovati malgrado le carenze, l’ondata di ricoveri da Covid sta così piegando un sistema sanitario madrileno già in grande sofferenza in cui quaranta servizi sanitari pubblici sono stati chiusi nell’ultimo biennio. Le code alle farmacie per fare i test hanno raggiunto dimensioni epiche, rivaleggiando con le file per l’acquisto dei biglietti delle lotterie delle feste e con quelle per entrare negli affollatissimi negozi e ristoranti.

Dopo essere risultati positivi al test degli antigeni occorre la conferma con la Pcr. Qui il Centro di salute Palma norte, nel popolare quartiere di Malasaña, circondato dagli utenti in coda

La sexta ola si affronta così, in affanno, come se nessuno avesse mai potuto immaginare che poteva accadere. Mentre a Madrid si balla al chiuso con la mascherina a Barcellona all’una di notte scatta il coprifuoco. Sei comunità autonome, però, hanno annunciato martedì una serie di misure coordinate. Aragona, Navarra, Paese basco, La Rioja, Cantabria e Asturie, cinque delle quali confinanti con Castilla y León che per ora non ha imposto restrizioni, hanno concordato obbligo di certificazione Covid, limitazioni di accessi, orari e capienze, in particolare nella ristorazione e nel tempo libero, per evitare di favorire la mobilità di aggiramento delle limitazioni.

Il resto del paese va a macchia di leopardo, sia per la differente incidenza territoriale dei casi che per l’approccio, più o meno “aperturista”, di governo dell’emergenza sanitaria. Anche la politica è divisa. Il sottofondo è l’attacco al governo centrale da parte del Pp, con Ayuso e la Comunità di Madrid a fare da ariete utilizzando lo slogan della Libertà contro il social-comunismo applicato alla lotta pandemica. Ma le divisioni sono anche all’interno dei partiti. Nel Pp diversi amministratori applicano misure anti contagio, alcuni hanno criticato apertamente l’azione della Comunità di Madrid e collaborato col governo centrale. Nel Psoe non tutti condividono la strategia del governo di non centralizzare alcune misure di prevenzione del contagio, altri non le ritengono necessarie.

Attesa per il test Pcr per la Covid-19 presso un centro di salute della Generalitat catalana a Barcellona

A Barcellona la situazione giustifica pienamente le restrizioni. Il 15 dicembre i nuovi casi erano 4.718, il 22 diventano 11.786. Il 18 Omicron costituiva almeno il 25 per cento dei contagi nella zona metropolitana e ormai è prevalente. La Covid è uno scenario urbano, con le code per i test diagnostici, i cartelli nelle farmacie che annunciano l’esaurimento dei kit fai-da-te; è un rumore di fondo, con le notizie dagli amici, le persone che per strada, al bar, al telefono, alla fermata del bus, parlano o apprendono di qualcuno positivo. Senti l’epidemia anche facendo la spesa, si spiega alla cassa che è tanta perché si porta da mangiare a chi è in quarantena fiduciaria, ci si chiede se lasciarla fuori alla porta o entrare con la mascherina, si dice dei tanti problemi che incominciano a sorgere. Ore di attesa per la certificazione medica, uffici, esercizi commerciali e cantieri dove inizia a mancare il personale. Chi si ammala ha paura di perdere il posto. In un mercato del lavoro così precario mettersi in isolamento fiduciario può voler dire perdere il lavoro, ottenere la documentazione medica è complesso, i medici sono oberati, e in alcuni casi non è sufficiente. Le cene in famiglia sono saltate, la mascherina è obbligatoria per strada, la festa di Capodanno è cancellata, la rilevazione di lunedì 27 è di 23.850 nuovi casi, le strutture sanitarie sono in affanno.

Il governo giovedì scorso ha emesso un decreto, dopo un consiglio straordinario dei ministri, incardinato su tre punti: vaccinazione, sostegno alla medicina primaria e mascherine obbligatorie all’esterno. Mai come ora la stampa è stata unanime nel criticare l’esecutivo. La mancanza di coordinazione nelle misure di prevenzione sociale è stata sottolineata da tutti. Era difficile pensare che un governo che si è visto bocciare dalla Corte costituzionale il ricorso allo stato d’emergenza, oltre un anno dopo l’emergenza pandemica, potesse fare diversamente, anche se un po’ più di coraggio era forse auspicabile davanti a uno scenario di risposta talmente frammentato. Sorprende però come la discussa deliberazione del Tribunale Costituzionale (TC) sia stata dimenticata nelle esposizione delle legittime critiche al governo. A luglio il TC dichiara incostituzionali le misure restrittive del marzo 2020, a dicembre il governo emette un decreto senza misure restrittive. Un’evidente consequenzialità, tale da essere considerata in rapporto causale.

La mancanza di prescrizioni viene esaltata dall’unica presente, la mascherina obbligatoria all’esterno, vista come una misura di carattere più propagandistico che effettivo. Si ritiene che sia utile in contesti di affollamento ma senza fondamento in situazioni normali, soprattutto se poi è possibile sedersi a un tavolo all’interno senza indossarla. Dire che indossarla all’aperto costituisce più una misura per far vedere che si fa qualcosa, che si deve fare, piuttosto che un necessario strumento di prevenzione, non costituisce nel dibattito pubblico spagnolo reato di intelligenza col nemico, almeno per ora.

Gli altri due punti, pur non sufficienti a smorzare le critiche, sono di peso. Il governo mobilita la logistica militare per la campagna vaccinale, intenzionato a recuperare il tempo perduto nella terza dose dopo le ottime performance del primo ciclo vaccinale. L’obiettivo, effettivamente ambizioso, è di vaccinare venti milioni di persone in quattro mesi e per questo è stata schierata la logistica militare, con 150 gruppi mobili dell’esercito e un totale di circa quattromila effettivi. L’altro fronte è quello delle assunzioni del personale sanitario. Le risorse impegnate per il 2022 sono di quasi 400 milioni di euro, dei quali 300 andranno alle Comunità autonome. Il governo ha giustificato la mancanza di misure prescrittive con le differenze territoriali di sviluppo dell’epidemia e sembra aver almeno in parte condiviso con alcuni presidenti autonomici – una singolare concordanza madrilena tra il presidente del governo, Pedro Sánchez e la presidente della Comunità, Isabel Ayuso – l’idea che la variante Omicron passerà presto e che è complessivamente meno pericolosa.

Se vale cercare un sentimento comune, quello che appare è una sensazione di stupore, perché non si immaginava che saremmo stati di nuovo così, ridiscutendo i tempi della quarantena, facendo saltare le feste e i progetti. Dopo tanta fatica, dopo i vaccini, con Omicron ritorna quella invasione delle nostre vite che abbiamo voluto credere fosse breve.

Un senso di dispetto che accomuna decisori e cittadinanza, mezzi di comunicazione e protagonisti del dibattito pubblico. L’impressione è che, in Spagna come in Italia e ovunque, si tenda a credere agli scenari auspicabili, meno a quelli probabili. Pensare a “salvare il Natale” non ha fatto i conti con la realtà dell’azione del virus nelle comunità umane. Oscillando tra “terribilismo” e ottimismo, tra indicazione di capri espiatori e fiducia irrazionale nella rapidità dei risultati, non ci siamo preparati al fatto che quella con la Covid è, per usare una fastidiosa ma utile metafora militare, una battaglia di lunga durata.

[immagine di copertina: il presidente del governo Pedro Sánchez assieme alla ministre Isabel Rodríguez (a sinistra, Politica territoriale e portavoce del Governo), María Jesús Montero (Finanze e Funzione pubblica) e Carolina Darias (Sanità), annuncia le misure anti Covid prese dal Consiglio straordinario dei ministri in occasione della XXV Conferencia de Presidentes, l’incontro tra il governo e i presidenti delle Comunità autonome. Fonte: Gobierno de España]

La sexta ola ultima modifica: 2021-12-30T09:11:41+01:00 da ETTORE SINISCALCHI
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