Alzi la mano chi, fra coloro che oggi hanno una trentina d’anni, non si è mai sentito, almeno una volta, tifoso del Parma. Era il Parma targato Calisto Tanzi, proprietario della Parmalat, il magno Parma di Buffon, Thuram e Cannavaro, l’isola felice che sfidava le corazzate storiche e spesso riusciva a batterle, uno squadrone, ben orchestrato da un allenatore sui generis come Alberto Malesani, degno successore di Nevio Scala e Carletto Ancelotti, che restituiva al calcio lo spirito delle origini. Veder giocare il Parma era una gioia per gli occhi e per il cuore, un simbolo di riscatto, la concretizzazione dell’idea che Davide possa battere Golia persino nel mondo patinato e miliardario del pallone.
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Erano gli anni del trionfo di Mosca contro l’Olympique Marsiglia (Coppa UEFA) e delle vittorie nelle coppe nazionali, al punto che tutti noi ci immaginavamo di vedere presto i ducali festeggiare uno scudetto, e sinceramente ci avrebbe fatto un gran piacere. Poi cambiarono secolo e millennio e la globalizzazione cominciò a mostrare il suo vero volto. Ci rendemmo conto, dal crac della Fiorentina di Cecchi Gori in poi, su quale montagna di debiti e di ingiustizie fossero in realtà adagiati i nostri sogni. Dopo i Viola, che dovettero ripartire addirittura dalla C2, fu infatti la volta del collasso di Cragnotti prima e di Tanzi poi, seguiti da Ferlaino a Napoli, dalla controversa partita del Genoa contro il Venezia, che costò ai rossoblu una doppia retrocessione dalla Serie A conquistata sul campo alla Serie C1, cui venne condannata per illecito sportivo, prima di assistere al fallimento del Torino di Romero e Cimminelli e, infine, all’apice del disastro con Calciopoli e dintorni.

Negli stessi cinque anni in cui l’Italia berlusconiana si disgregava, le istituzioni venivano messe a repentaglio da riforme sbagliate e pericolose e si consumava una drammatica orgia del potere dalla quale non ci saremmo più ripresi, in quegli stessi anni un capitalismo improvvisato dava il peggio di sé. Non si spiegano altrimenti determinate operazioni, determinati eccessi, determinate manie di grandezza, determinati acquisti privi di senso e ben al di sopra delle effettive possibilità economiche di club sempre più indebitati e infine destinati a esplodere, preda delle proprie contraddizioni e di un desiderio di assaltare il cielo che li ha condotti, nell’arco di un quinquennio, a sprofondare nell’abisso. Anche il Parma, sia pur molto dopo l’uscita di scena di Tanzi, è fallito ed stato costretto a ricominciare da zero. Il Napoli ce l’ha fatta grazie all’acquisizione da parte di De Laurentiis, il Torino per merito di Cairo, la Lazio per mano di Lotito e la Fiorentina oggi appartiene all’italo-americano Comisso.
Quanto alla Juve, è rimasta di proprietà della famiglia Agnelli, anche se a sua volta si vede costretta ad affrontare una situazione economica non proprio ottimale e a dover fare i conti con un ridimensionamento che solo il massiccio aumento di capitale messo in atto di recente potrebbe arrestare. Insomma, il calcio italiano negli ultimi vent’anni, tra fallimenti, implosioni, società storiche andate in fumo, televisioni a pagamento sempre più prepotenti e inclini a dettar legge e un’assenza imbarazzante e pericolosa della politica, costituisce la cartina al tornasole di una Nazione allo sbando, nella quale non esiste più quasi alcuna forma di dignità e i divari e le disuguaglianze sono cresciuti in maniera esponenziale.
Riflettere sulle stagioni iniziate dalla seconda giornata perché si era stati costretti a rinviare la prima, sulla Serie B a ventiquattro squadre per via della battaglia portata avanti dal Catania di Gaucci e sul declino costante e inarrestabile del nostro calcio, al punto he da Mecca ci siamo trasformati in un campionato oggettivamente minore fra quelli principali, è dunque un buon modo per fare i conti con la nostra realtà contemporanea. Dal 2001, anno cruciale per i destini dell’umanità, anche il pallone non si è più ripreso. Ora Tanzi se n’è andato, all’età di ottantatre anni, senza fanfare e senza elogi, nemmeno la gratitudine di chi gli doveva comunque qualcosa, e con il suo addio si chiude un’epoca. L’era delle illusioni è terminata da un pezzo. Quella del disincanto difficilmente ci abbandonerà a breve. Che almeno sia accompagnata da un po’ di consapevolezza.

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