Una cosa esiste per il solo fatto di essere pensata? Consultate il primo filosofo che passa (ce ne sono tanti in libera uscita…) e vi darà i ragguagli bibliografici. Che poi quel qualcosa esista o succeda davvero, nel mondo pur sempre imprevedibile del possibile, è un altro discorso,
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Mattina del primo giorno dell’anno. Ricevo da un’amica cinéphile, Maria Teresa, via social, il manifesto di un film che non conosco. In italiano suona 2022: i sopravvissuti. Penso ad un fotomontaggio, uno scherzo cine-cinico per salutare l’anno appena arrivato, ancora pur sempre segnato dalla pandemia. Poi navigo e scopro che quel film esiste davvero: Soylent Green in originale, americano, del 1973, per la regia di Richard Fleischer, non proprio uno qualsiasi, con Charlton Heston e Edward G. Robinson nei ruoli principali, tratto dal romanzo Largo! Largo! (Make Room! Make Room!), scritto qualche anno prima da Harry Harrison e uscito anche da noi. Fantascienza, certo, di quella catastrofica che non ha mai smesso di rammentarci che prima o poi finiremo male, magari per colpa nostra. Ma la datazione specifica del 2022, poi puntualmente confermata nei titoli di testa originali del film, non può non intrigare. Ringrazio l’amica e mi fiondo a vedere il film. Lo trovo su Chili e in effetti merita. Ve ne consiglio la visione, anche se non sarà una passeggiata.

In serrato montaggio scorrono le immagini, preferibilmente in bianco e nero, di un mondo velocemente modificato e votato al peggio. Siamo in America, a New York, ma vale per qualsiasi altro posto. E nel giro di pochi secondi scorre un secolo, dall’iconografia ancora rustica e agreste di fine Ottocento alle ciminiere fumanti dei giorni nostri (mezzo secolo fa, ma non è cambiato molto). E dunque l’inquinamento, il sovrappopolamento delle città, l’inferno degli intasamenti automobilistici e altro ancora, comprese le proteste contro la guerra negli anni in cui vede la luce il racconto. Parrebbe l’incipit di un documentario militante e invece poi entriamo in una narrazione più convenzionale, preferibilmente noir, genere caro al regista, dove peraltro primeggia il disagio del contesto, una società allo sbando, uscita da qualche catastrofe: gente che dorme per strada, povertà di massa, una temperatura costante sui 30 gradi, la fame, mezzi bloccati ovunque. Si fa la fila per le gallette Soylent, praticamente l’unico alimento a disposizione. E vanno a ruba quelle verdi. Tutte, comunque, a base di plancton. Almeno così dicono.

Epperò mica sono tutti uguali, neanche lì. Charlton Heston fa il poliziotto, sbrigativo e senza troppi scrupoli. Convive con l’anziano Edward G. Robinson, un tempo professore ed oggi suo assistente, che mai smette di ricordare i bei tempi andati quando, magari, una bistecca era ancora una bistecca. Ma perché li abbiamo lasciati fare? Perché non ci siamo ribellati prima? Sono i suoi crucci quotidiani. E loro sono pur sempre “ceto medio”, sovrastati, in alto, dai nuovi padroni delle ferriere: politici, finanzieri, imprenditori, specie della Soylent, l’onnipresente produttore di gallette. Costoro vivono in case di lusso e nell’affitto è compresa la “dotazione”, una bella ragazza a completa ed esclusiva disposizione. Ed è proprio uno di questi “magnati” a lasciarci presto le penne, nella propria confortevole casa, rassegnato e ben consapevole che la morte, per mano di un sicario, busserà presto alla sua porta. Succede puntualmente e l’indagine se la intesta Charlton Heston, lesto a familiarizzare con la “dotazione” e a fare rifornimento fra le provviste del morto. Insomma, neanche lui uno stinco di santo ma, scopriremo strada facendo, ancora convinto che verità e giustizia abbiano un senso. E naturalmente ne vedremo delle belle. Spoiler vietati, anche se non è una prima visione: ci fosse qualcuno intenzionato a vederlo perché rovinargli le sorprese che lo attendono?

Letteratura distopica di genere, di cui sono zeppi libri e film, ma la confezione di 2022: i sopravvissuti è di lusso e niente è lasciato al caso. E naturalmente l’ambientazione gioca un ruolo non indifferente. Chi volesse arrampicarsi per le vie impervie delle analogie, cassandre al cinema per intenderci, sappia che il futuro del film è assai diverso dal presente: niente tecnologie e men che meno il digitale, telefoni a cornetta, stampa azzerata semplicemente perché manca la materia prima, la carta, insieme alla mille altre cose della vita quotidiana. Nel paesaggio post pandemico, se una qualche pandemia c’è stata, dittatura poliziesca e povertà assoluta, anche se le regole del profitto regnano sovrane più che mai, specie con la produzione di quelle famigerate soylent green di cui si è detto, chiave narrativa del film. A vederlo si resta spaesati e spiazzati, diciamo pure turbati. Un esempio: non ricordo che si parlasse di eutanasia in quei primi anni Settanta che per molti di noi seguivano ancora l’onda lunga e la voglia di cambiamento del Sessantotto. Ma è esattamente una “morte dolce” quella che va a cercare l’anziano Edward G. Robinson dopo aver scoperto la triste verità delle gallette. In una clinica di lusso chiamata Tempio, una bibita letale e venti minuti di progressivo addormentamento davanti ad uno schermo dove scorrono le immagini del mondo felice che fu, con l’accompagnamento delle musiche preferite. Da brividi, in effetti, ieri come oggi, e ancora più agghiacciante se pensiamo che l’attore, già bad guy tra i più rinomati del cinema americano, era malato terminale di cancro sul set, ad insaputa di tutti, trovando infine la morte una quindicina di giorni dopo la fine delle riprese. Verità e finzione, altro che F for fake, roba da far impallidire Orson Welles.
Un film è un film, diceva quel tale. E dunque meglio non arrampicarsi sugli specchi. Ma almeno un piccolo interrogativo: se già mezzo secolo fa l’inquinamento, il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici erano avvertiti così impellenti da meritarsi l’attenzione di Hollywood e una produzione Metro-Goldwyn-Mayer, mica il primo indipendente che passava, perché abbiamo perso così tanto tempo in attesa di Greta? L’abbiamo detto e già ci sentiamo meglio. In fondo il cinema la sua piccola parte l’aveva fatta.

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