Una ricerca della Ohio State University, pubblicata da poco su Nature, ha riscontrato la diffusione dell’infezione da Covid-19 nei cervi dalla coda bianca. Tra gennaio e marzo del 2021 i ricercatori hanno sottoposto a tampone 350 esemplari di nove diverse aree del nord-est dello stato riscontrando infezioni in 129 soggetti, oltre il 35 per cento del campione.
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Sono stati trovati tre ceppi diversi del virus, di derivazione umana. Non ci sono però motivi immediati di preoccupazione, in quanto non esistono casi conosciuti di trasmissione della Covid-19 dal cervo all’uomo, lo studio però conferma altre ricerche svoltesi in Iowa, Illinois, Michigan, New York e Pennsylvania sulle popolazioni locali del cervo dalla coda bianca.
L’origine dell’infezione non è conosciuta, i ricercatori ipotizzano che sia avvenuta attraverso la contaminazione delle acque reflue, attraverso le feci umane contaminate.

I cervi non sono i primi animali a infettati dall’uomo. Anche con gli animali domestici son stati segnalati casi di infezione.
Sin dall’inizio dell’epidemia ci si è chiesti se gli animali, in particolari quelli domestici e d’allevamento, potessero essere veicoli dell’infezione. Allo stato della conoscenza si ritiene che gli animali domestici non siano un veicolo d’infezione per l’uomo ma che possano essere infettati da noi. Secondo un repertorio di domande e risposte sull’epidemia della Direzione generale salute e sicurezza alimentare della Commissione europea, Covid-19 e animali domestici e d’allevamento. Gestione delle crisi nei settori alimentare, degli animali e delle piante, “Non esistono prove secondo le quali i cani o i gatti concorrano alla trasmissione del virus SARS-CoV-2 all’uomo. Inoltre, nonostante casi isolati di infezione riportati in cani e gatti, al momento nessuna prova suggerisce che gli animali infettati dall’uomo stiano svolgendo un ruolo significativo nell’epidemiologia dell’attuale pandemia di Covid-19. I focolai nell’uomo si diffondono mediante trasmissione da persona a persona”. Secondo le ricerche il rischio di infezione è basso per i gatti, i furetti e i criceti, molto basso per i cani e trascurabile per gli uccelli e i rettili.
Se per gli animali domestici la situazione è rimasta la stessa dal giugno 2020, data di emissione del repertorio, diversa è la situazione negli allevamenti. Sin dall’inizio, naturalmente, sono stati tenuti strettamente sotto controllo, sia quelli per alimentazione che per pellami e pellicce. Ovini, bovini, pesce non hanno mostrato criticità, non così il settore dell’allevamento per pellicceria. Negli allevamenti di visoni in Europa e Stati uniti sono scoppiati numerosi focolai e, soprattutto, si è verificato nuovamente il passaggio di specie, il salto del virus dall’animale all’uomo, con una mutazione avvenuta nei visoni, infettati da varianti umane, che ha colpito decine di lavoratori in Danimarca e Olanda. Alcuni paesi hanno già sospeso l’attività, vietando la riproduzione – come ha fatto l’Italia dal 2020, decidendo definitivamente, con l’ultima legge di Bilancio, la chiusura e lo smantellamento entro il 30 giugno 2022 – e il futuro del settore sembra segnato.
Deve preoccupare la circolazione del virus tra la popolazione animale?

I dati a nostra disposizione, in particolare le sequenze genetiche, suggeriscano l’origine animale del virus SARS-CoV-2. Malgrado le ipotesi geopolitiche il dibattito scientifico tende a ritenere che il percorso di sviluppo del Sars-Cov2 sia avvenuto in una catena di trasmissione da animale a uomo, laddove a un certo punto sia avvenuto un “salto di specie”, ovverosia il passaggio del virus da un organismo animale a quello umano, a partire dal pipistrello, forse passando da un ospite intermedio – si è ipotizzato il pangolino, un mammifero conosciuto come formichiere squamoso, utilizzato in estremo oriente nell’alimentazione e in medicina. Stiamo studiando la suscettibilità delle diverse specie animali al virus per valutare la dinamica dell’infezione nelle specie sensibili ma non abbiamo prove definitive che identifichino la fonte o la via di trasmissione dal serbatoio animale di origine a un presunto ospite intermedio e poi all’uomo. Ma ora la trasmissione avviene nella catena umana. Il virus si è adattato a noi e cammina sulle nostre gambe, si diffonde da persona a persona attraverso l’emissione del respiro.
Abbiamo usato la parola “serbatoio”. E questa risponde alla domanda se dobbiamo preoccuparci. Sì, o meglio ci deve far capire quanto sia in divenire la conoscenza del virus, come tutte le decisione che dobbiamo prendere siano in funzione di quello che, di volta in volta, sappiamo. E come non di preoccuparsi si tratta ma di prevenire gli scenari, adattando di volta in volta la nostra risposta.
I visoni si sono dimostrati un serbatoio virale che accoglie il virus, gli consente di mutare e di ritornare a infettare l’uomo, in un contesto stressante ed estremo come quello dell’allevamento intensivo anche in tempi estremamente rapidi. Lo stesso potrebbe avvenire nei cervi. In tempi magari più lunghi, vivendo in condizioni di libertà o semi libertà, il virus potrebbe mutare facilitando potenzialmente la trasmissione di nuovi ceppi all’uomo.
Potrebbe, non è detto che avvenga. I ricercatori della Ohio University segnalano come da ora in poi i cervi, che dobbiamo ormai considerare come un serbatoio virale per il SARS-CoV-2, dovranno essere monitorati per seguire le sviluppo della presenza del virus e delle sue mutazioni.
[immagine di copertina di Kelley Tom, U.S. Fish and Wildlife Service (CC)]

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