Nell’aula magna dell’Ateneo Veneto si è svolto venerdì scorso, 21 gennaio, un incontro di riflessione e di dibattito sugli istituti di ricerca a Venezia (Biblioteche, Archivi, Fondazioni), con l’intento di rilanciare la funzione di questi luoghi di accesso e produzione culturale e insieme ripensare alla vocazione di Venezia come centro di produzione culturale internazionale, nella convinzione che anche questa sia una delle vie da percorrere per consentire alla città di uscire dalla monocultura turistica che l’ha caratterizzata negli ultimi anni. Dopo il saluto di Antonella Magaraggia, presidente dell’Ateneo Veneto, la discussione è stata introdotta da una relazione di Tiziana Plebani, Mario Infelise e Valentina Sapienza – che qui di seguito pubblichiamo per gentile concessione degli autori. L’incontro, in presenza, è stato moderato da Gian Antonio Stella, del Corriere della Sera, ed è stato trasmesso in streaming sul canale youtube dell’Ateneo. Il video è disponibile al termine di questo testo.

Abbiamo voluto intensamente questo incontro e l’abbiamo proposto all’Ateneo Veneto – luogo storico del dibattito cittadino, che ha aderito prontamente e l’ha fatto proprio – perché crediamo negli obiettivi che si propone e nel percorso che vuole attivare. Perché è chiaro che si tratta solo di un primo passo, e speriamo pertanto di creare le condizioni che ci consentano di lavorare insieme in una prospettiva comune che oggi desideriamo proporre all’attenzione di tutti.
Abbiamo inoltre voluto che questo incontro si svolgesse in presenza perché riteniamo fondamentali il ritrovarsi tra persone reali e lo scambio diretto di esperienze diverse. Solo così crediamo che si possa operare concretamente per modificare la situazione. Perché, negli ultimi tempi, causa anche la pandemia, ciascuno ha avuto la tentazione di rinchiudersi nel proprio campo specialistico, nella dimensione della sopravvivenza rispetto alla difficoltà, e nell’assenza di riflessione comune e di prospettive.

Quali sono le ragioni che ci hanno spinto a organizzare questa occasione?
Come cittadini veneziani siamo molto preoccupati per la debolezza delle grandi istituzioni culturali della città che si è rivelata nella sua gravità durante la pandemia. È una debolezza che proviene da lontano, ma sono stati proprio questi due anni a farla emergere in modo così palese.
È bene partire da una constatazione banale, ma spesso dimenticata. Poche città in Europa dispongono di così tante istituzioni – diverse per storia e appartenenza (di stato, comunali, ecclesiastiche, privati od organizzate in fondazioni) – dotate di un simile patrimonio culturale accumulato nel tempo, da un passato lontano ma anche molto recente, spesso unico per caratteristiche e ricchezza. Se l’importanza dei musei è nota al grande pubblico, meno nota, ma non meno rilevante, è quella del materiale documentario che archivi e biblioteche hanno il compito non solo di conservare e preservare ma di far conoscere, valorizzare con studi e appositi strumenti, agevolando la ricerca. Queste istituzioni sono dunque un punto di riferimento essenziale, tanto più nel caos odierno della circolazione delle informazioni e di erosione di saperi consolidati. Hanno dunque un fondamentale ruolo civile, complemento naturale di un sistema educativo che funzioni.
Le biblioteche, grandi e libere, accoglienti, generose, – ha scritto Alfredo Serrai – rimangono le uniche fonti per l’autoeducazione delle coscienze dal punto di vista intellettuale e morale ed è questo un modo insurrogabile di formazione degli uomini, quando li si voglia personali contributori di creatività e non meri riproduttori d’influenze e di condizionamenti culturali. Il pericolo più insidioso di disumanizzazione è oggi, infatti, nell’uso incontrollato e interessato dei mezzi di comunicazione di massa che concepiscono l’uomo come ‘contenitore’ passivo di conoscenze, già confezionate e prestabilite.

È altrettanto ovvio che gli archivi svolgono un ruolo altrettanto importante. Vale la pena ricordare che gli archivi italiani sono i più antichi e consistenti del mondo e conservano le testimonianze di ciò che siamo e che siamo stati. Non dimentichiamo inoltre che la piena accessibilità a questi luoghi è un diritto dei cittadini, tutelato dalla legge.
Il senso del servizio pubblico e la consapevolezza di fornire non tanto un orario di apertura, bensì l’accesso al patrimonio culturale sedimentato e di proprietà collettiva sono però attraversati da un grande momento di incertezza, dovuto al generale arretramento culturale del paese, alla spinta alla privatizzazione e alle forme di spettacolarizzazione della cultura, assai lontana dalla crescita del senso critico e da una lettura non superficiale delle fonti.
Se questo è il panorama generale, nel caso specifico della nostra città parlare di archivi e biblioteche vuol dire richiamare immediatamente un aspetto essenziale della sua identità, la sua vocazione non in senso meramente passatista e di custode di memoria, spesso tra l’altro travisata e usata per eventi effimeri che tendono a svuotarla di senso e ridurla a mera vetrina. Significa invece rilanciare l’idea di Venezia come città dell’innovazione e della cultura, stringendo un forte legame con la formazione, la ricerca, e pertanto con le università e le numerose istituzioni che ospita e che potrebbero incrementarsi, se si percorresse con determinazione questa strada. Ne deriverebbe un impulso alla rivitalizzazione della popolazione e a un ampliamento della residenza stabile, un incremento dell’occupazione giovanile – si pensi solo al settore cruciale del restauro, richiamando persone e investimenti anche privati ed internazionali. Ma per far ciò è indispensabile che si scelga di promuovere concretamente politiche culturali creative e intelligenti e di investire adeguate risorse.
Venezia gode ancora nell’immagine pubblica nazionale e internazionale di grande richiamo: detto in altre parole vive di rendita rispetto a un passato ormai lontano, quando era effettivamente un laboratorio di cultura, di produzioni nate dal basso e dall’alto, quando esisteva un’effervescenza e una diversificazione culturale a più livelli, grandi Istituzioni e realtà minori ma attive, che operavano anche in sintonia con l’amministrazione comunale e l’Assessorato alla Cultura. Ora però ciascuno di questi attori, anche per le difficoltà del momento, cerca di andare avanti come può e si sono creati forti squilibri tra le capacità di risposta e di azione delle diverse situazioni in campo. Così la Biennale, che noi tutti ammiriamo, rischia di rimanere l’unica forza capace di agire sul territorio, però a discapito della ricchezza e della diversità culturale che prima esistevano. Vediamo quindi erodere quell’immagine di creatività e di effervescenza culturale che ha fatto di Venezia nel passato una capitale della cultura.
È facile smarrire del resto il senso del proprio operato perché la povertà del dibattito e dell’orientamento politico sulla cultura non è in grado di restituire a tutti noi il valore e il significato di questi luoghi, bensì tende a consegnarci un’immagine e una dimensione di superfluità, di marginalità. Un circuito di disvalore e disattenzione che ha relegato la cultura in un’area che viene considerata non produttiva o che la guarda solo nella finalità dello sfruttamento turistico. È inevitabile confrontarsi con l’industria culturale, ma come per le amministrazioni locali è indispensabile governarne la direzione e arginarne le storture, così è cruciale per gli istituti culturali non mirare solo a rispondere al ribasso, tanto più che c’è turismo e turismo e quel che investe oggi i centri storici è un fenomeno che li svuota, li assimila e banalizza ogni contenuto.
Bisogna pertanto decidere di rimboccarsi le maniche e mettersi davvero al lavoro per operare una svolta.

Che fare dunque?
È bene per prima cosa ripercorre e analizzare ciò che è successo al fine di creare un dialogo costruttivo con e tra le istituzioni. Capire dunque dove il sistema si è inceppato, dove la pandemia ha fatto da cassa di risonanza a un problema profondo, e in qualche caso dove provvedimenti ad hoc, talvolta singolari, hanno provocato un oscuramento delle funzioni istituzionali, ponendo in secondo piano una delle più importanti missioni degli istituti culturali che riguarda il rapporto con la città, l’offerta alla cittadinanza e più in generale a coloro che frequentano questi luoghi.
Quando è scoppiata la pandemia, all’inevitabile caos iniziale sono seguite una serie di restrizioni, necessarie per limitare i contagi. Archivi e biblioteche, musei e fondazioni sono stati fra i primi luoghi ad aver chiuso i battenti e fra gli ultimi a riaprire, secondo le disposizioni governative che hanno così ribadito l’idea del loro ruolo secondario rispetto alle cosiddette realtà produttive, considerate invece essenziali. E se la spinta a riaprire i musei c’è stata – ricordiamo tuttavia il caso significativo dei Musei Civici proprio qui a Venezia rimasti chiusi a lungo perché non c’erano più i turisti e comunque ora riaperti solo parzialmente a fronte di un bilancio in attivo – archivi e biblioteche sono caduti in una sorta di limbo.
Ora che il Paese sembra orientato verso l’obiettivo di mantenere la riapertura, pandemia permettendo, le biblioteche e gli archivi faticano a ripristinare orari e servizi abituali, talvolta persino a livelli minimi. Le ragioni indicate dalla totalità delle istituzioni risiedono nella carenza sia di personale – molti sono andati in pensione e non c’è stato un ricambio generazionale – che di finanziamenti. Gran parte del personale delle cooperative culturali di giovani è stato fortemente tagliato se non peggio.

Nell’offerta ridotta si dice che giochi un ruolo importante anche la flessione della frequentazione da parte degli studiosi, che riguarda almeno alcune di queste istituzioni, quelle per così dire più specialistiche. Certo è vero che in molte biblioteche e in qualche archivio la frequenza del pubblico è diminuita, ma non dappertutto. È facile d’altra parte allontanare il pubblico se il servizio è precario e intermittente.
Per provare a comprendere le ragioni del malessere, contestualmente all’invito a questa giornata, abbiamo inviato a tutti gli istituti di cultura della città di Venezia una scheda che potesse offrirci una panoramica delle criticità attuali, per cercare di capire cioè cos’è cambiato dal novembre del 2019 a oggi e per avere un’idea della progettualità delle differenti istituzioni.
Dalle risposte che abbiamo ricevuto, talvolta non proprio dettagliate, emergono palesemente le criticità. Le varie biblioteche che dipendono dalla Fondazione dei Musei Civici sono ad esempio aperte al pubblico per lo più solo il venerdì da mezzogiorno alle 3 del pomeriggio e mettono a disposizione due posti soltanto contro almeno una decina in tempi pre-Covid. Quella più importante e più frequentata, la biblioteca del Museo Correr solo due giorni alla settimana per una decina di studiosi appena. Arduo definire servizio pubblico questa offerta così ridotta. Gli archivi dal canto loro presentano ancora molte criticità: per quanto riguarda l’Archivio di Stato si è atteso lungamente un sistema di prenotazione efficiente e trasparente e gli orari sono ancora fortemente ridotti.
Problemi di spazio e carenza di personale sono emersi dalle risposte alle nostre schede, mentre poche informazioni si sono ricavate sulla progettualità culturale in corso e futura, se non in qualche caso e in maniera assai sommaria.
Quel che è peggio è che il panorama futuro rimane molto incerto. Non sappiamo ad esempio se il misconosciuto e straordinario archivio comunale della Celestia potrà rimanere nella sede in cui trova, magari restaurata, se la bellissima Manica Lunga (e non soltanto la sala Longhena) della Cini riaprirà, non sappiamo quando l’Archivio di Stato o la Biblioteca Marciana torneranno ai loro orari abituali, non sappiamo se la biblioteca del Correr continuerà a osservare questo orario ridotto e per quanto tempo, e potremmo citare vari altri esempi.
Come studiosi e cittadini vorremmo avere delle risposte, sapere dove si sta andando, partecipare a queste scelte perché queste istituzioni ci appartengono, appartengono alla comunità tutta.

Veniamo alle proposte:
Crediamo che ci si debba muovere su più piani. Se vogliamo impegnarci perché in questa città la cultura torni a essere al centro di una prospettiva virtuosa, il primo passo è quello di intervenire sul presente, al fine di sistemare ciò che non funziona e migliorare l’esistente.
Se creare un piano comune di interventi tra tutte le istituzioni, avere soprattutto una visione comune, è uno sforzo che può apparire ora immane, si può partire intanto da alcuni interventi di prima necessità da parte dei singoli istituti, un impegno a iniziare dalle loro pratiche di comunicazione con l’utenza: indubbiamente cruciale è rendere trasparente le procedure per l’accesso, le scelte e gli obiettivi, attenzione che in alcuni è mancata durante la pandemia e che ha scatenato ad esempio nei confronti dell’Archivio di Stato una legittima protesta da parte degli studiosi. Ci sono stati e persistono comportamenti virtuosi. Ma altri lo sono assai meno.
Si possono altresì mettere a punto procedure comuni o assimilabili per l’accesso, cercare depositi da condividere (se ne parla da trent’anni) e individuare spazi, così come fare del proprio sito istituzionale un punto dinamico di informazioni e di contatti. Prevedere progetti di didattica e di apertura alle scuole e all’Università consentirebbe di mantenere vivo il rapporto con la città, vulnus cruciale (e in questo senso occorrerà rivedere convenzioni recentemente firmate, che hanno fortemente ridotto proprio queste possibilità). Siamo naturalmente consapevoli che in un quadro di scarsità di personale tutto ciò è oneroso, ma si tratta di scegliere le priorità o di cercare modi per affrontarle.
Indispensabile poi, di fronte alla città, fare chiarezza sul destino di alcuni di questi luoghi: la Biblioteca del Correr, l’Archivio Storico del Comune, la Biblioteca della Fondazione Cini, su cui ancora troppe incertezze incombono.
Il secondo piano riguarda la costruzione di un vero dialogo tra istituzioni, rappresentanti politici e cittadinanza sulle criticità e la condivisione di progetti e obiettivi, affrontando le questioni più spinose insieme o in collaborazione.
Un terzo livello riguarda la costruzione di un fronte comune verso il Ministero e l’opinione pubblica, riorientando lo sguardo su Venezia e le sue reali difficoltà. Venezia non è una città che va lasciata perire e scegliere di dare nuova linfa ai luoghi della cultura nella nostra città significa riscrivere potenzialmente una nuova prospettiva, che di certo porterà giovamento sotto tutti i punti di vista.
La questione del personale – lo sappiamo – è enorme in tutti i suoi aspetti: discutibili sono le scelte che hanno privilegiato dirigenze deboli, a tempo, gravate da altri incarichi. Inverosimile inoltre è la mancanza di un ricambio generazionale, che sta privando gli istituti anche delle competenze necessarie.
In secondo luogo: le risorse. Non si può rischiare di sprecare le possibilità di accesso ai fondi del PNRR: se da una parte è bene che le diverse istituzioni dialoghino per costruire insieme un progetto complessivo, il Ministero e le forze politiche devono impegnarsi ad ascoltare realmente la voce delle istituzioni locali e a sostenere le loro scelte.
C’è stata un’ubriacatura in anni recenti di progetti di digitalizzazione, spesso poi rimasti inaccessibili o privi del corredo di contenuti e percorsi che è indispensabile affinché divengano reali e sensati strumenti di ricerca. Se è buona cosa riversare in digitale il patrimonio, è bene chiarire che senza le competenze e la guida di personale formato, la riproduzione non garantisce la capacità di fare ricerca e di comprendere il terreno di studio. Biblioteche, archivi e istituti di ricerca offrono e devono continuare a offrire le preziose competenze dei loro specialisti per accompagnare i fruitori verso la scoperta del patrimonio documentario e librario.
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Questi ci sembrano i primi passi da compiere per costruire un indispensabile rapporto di collaborazione a partire da un’analisi adeguata ai tempi e ai problemi dell’oggi, partendo da prospettive comuni e condivisione di obiettivi, che abbandonino la rassegnazione e tendano anche a una progettualità più ambiziosa. Se queste istituzioni tornassero a riempirsi di giovani e di nuove energie, Venezia tornerebbe al centro di un vero sviluppo, sostenibile e rivitalizzante per la città e il suo futuro. E per farlo occorre mettere da parte la passiva rassegnazione di questi giorni e credere che uno sforzo comune sostenuto da un progetto creativo possa incidere e mutare davvero lo stato delle cose, come vivamente ci auguriamo.


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