Raramente le elezioni del presidente della Repubblica italiana e quelle del presidente della Repubblica tedesca cadono nello stesso anno: è accaduto solo due volte, nel 1964 (Giuseppe Saragat e Heinrich Lübke) e nel 1999 (Carlo Azeglio Ciampi e Johannes Rau). In questo 2022 non solo entrambe le Repubbliche eleggono il loro capo dello Stato, ma lo fanno nel giro di poche settimane l’una dall’altra. I grandi elettori italiani, a Montecitorio, hanno appena rieletto Sergio Mattarella, e il 13 febbraio sarà la volta dei grandi elettori tedeschi, chiamati a confermare Frank-Walter Steinmeier, sul quale non solo i partiti della Coalizione Semaforo, ma anche la Cdu si sono accordati.
Inevitabile una riflessione su questo parallelismo, dato che le due Costituzioni, quella italiana e la Grundgesetz delineano in termini assai simili il ruolo e la figura del presidente della Repubblica, eppure nel corso dei decenni tale ruolo, interno e in proiezione estera, si è differenziato in Italia e nella Germania allontanando l’architettura costituzionale dei due Paesi che inizialmente era molto simile.
In una illuminante sentenza del 10 giugno 2014, la Corte costituzionale tedesca, il Verfassungsgericht, affermava:
I costituenti hanno concepito l’ufficio del presidente della Repubblica sulla base delle esperienze della Costituzione di Weimar. Secondo l’organizzazione del suo ufficio, egli non è classificabile in uno dei tre classici poteri. Egli incarna l’unità dello Stato. L’autorità e la dignità della sua carica si esprimono proprio nel fatto che esso è destinato soprattutto ad avere un effetto spirituale-morale.
Queste parole fanno venire in mente quelle con cui Meuccio Ruini, in un famoso discorso nella seduta dell’Assemblea costituente del 22 dicembre 1947, definiva l’ufficio del presidente della Repubblica: “il grande moderatore e regolatore dei poteri dello Stato, il capo spirituale più che materiale della vita comune”.

In effetti la nostra Carta e la Grundgesetz hanno concepito in maniera analoga questa figura, più come un organo di garanzia, una figura terza rispetto al capo del governo, una personalità che rappresenti l’unità della nazione e quindi sia in grado di far proprio il “sentiment” dei cittadini e di portarlo nei Palazzi. Di qui anche la scelta delle due Costituzioni di prevedere l’elezione indiretta del Presidente ad opera del Parlamento e di grandi elettori espressione di Regioni e Lãnder. Va aggiunto che con l’approssimarsi della nascita della moneta unica, l’Euro, primo passo verso una irreversibile integrazione anche politica, si è andato intensificando anche il rapporto tra i presidenti della Repubblica dei due Paesi, con Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, che hanno cercato e stretto con i diversi presidenti federali, dei legami dal forte valore simbolico, proprio per rendere visibile nelle loro strette di mano e nella loro cordialità reciproca, un destino che lega i due Paesi, soprattutto per quello che riguarda l’integrazione europea. In diverse occasioni i presidenti dei due Paesi sono intervenuti congiuntamente per sollecitare un passo avanti per l’integrazione europea (Ciampi e Rau, Napolitano e Köhler, Gauck sia con Napolitano che con Mattarella e da ultimo ancora Mattarella e Steinmeier).

Fin qui il parallelismo regge, ma nelle ultime decadi, appunto dal 1999 da Carlo Azeglio Ciampi in poi, il presidente della Repubblica Italiana ha assunto un ruolo che al Bundespräsident non è richiesto: quello di garante verso i partner europei degli impegni dell’Italia come membro dell’Unione, e anche come garante della scelta Atlantica rispetto ai partner Nato. Ciampi, ex governatore della Banca d’Italia, poi ministro del Tesoro che insieme al presidente del Consiglio Prodi aveva fatto convergere la Finanza pubblica italiana sui parametri di Maastricht, è stato apprezzato in Germania e nelle altre cancellerie durante il suo settennato al Quirinale, proprio come garante del perseguimento di questi obiettivi di convergenza, anche con i governi di centrodestra a guida Berlusconi-Tremonti. Non a caso la Commissione europea aprì una procedura di infrazione nel 2006 contro l’Italia per l’extra-deficit creato dal governo Berlusconi-Tremonti proprio in coincidenza della scadenza del mandato di Ciampi, quasi a dare un messaggio all’Italia perché eleggesse un’altra figura di garanzia verso Bruxelles e gli altri partner. E così avvenne con l’elezione nella primavera del 2006 di Giorgio Napolitano, già presidente della Commissione Affari istituzionali del parlamento europeo. Fu lui, quando nella primavera del 2011 l’Italia precipitò nella crisi dello spread e del debito sovrano, a diventare il reale interlocutore delle Cancellerie europee e delle istituzioni dell’Unione, che avevano perso fiducia nella volontà del governo Berlusconi-Tremonti di mettere in campo delle politiche in grado di evitare il default alla terza economia dell’Unione. Tutti ricordiamo come andarono quelle vicende.

Compiti di tenuta degli impegni europei e internazionali sono toccati anche a Sergio Mattarella dal 2018, quando in Italia si è formata la maggioranza giallo-verde, a forte connotazione euroscettica. Il 27 maggio Mattarella non esitò a respingere il nome dell’euroscettico Paolo Savona come ministro dell’Economia, aprendo un contenzioso con Lega e M5s (che allora minacciarono di aprire la procedura di impeachment contro il capo dello Stato), ottenendo che la scelta cadesse su Giovanni Tria. Trascorsi pochi mesi, il 5 febbraio 2019, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista volarono a Parigi a incontrare i gilet gialli, per altro dopo una serie di dichiarazioni provocatorie di Di Maio contro la Francia e non solo contro il suo presidente Macron; episodi che portarono a una crisi diplomatica tra i due Paesi, con Parigi che richiamò in patria per consultazioni l’ambasciatore a Roma; ebbene in quel frangente fu la linea telefonica diretta tra l’Eliseo e il Quirinale a tenere in piedi le relazioni tra i due Paesi, evitando il naufragio di una serie di dossier economici e politici caldissimi. Senza quel ruolo svolto da Mattarella per diversi mesi, fino alla nascita del governo giallo-rosso nel settembre 2019, il Trattato bilaterale del Quirinale siglato nel 2021 starebbe ancora “in mente Dei”.
Se facciamo mente locale alla storia recente tedesca e anche alla cronaca, al Bundespräsident non è mai toccato un ruolo in politica estera così determinante, un ruolo di supplenza per certi versi rispetto alla credibilità degli esecutivi. Insomma la prassi costituzionale tedesca non si è eccessivamente discostata per quel che riguarda l’ufficio del Presidente dall’entrata in vigore della Grundgesetz fino a oggi, mentre se noi oggi riflettiamo sulla sfera di intervento di Mattarella confrontandola con quella di Luigi Einaudi, osserveremmo che si è enormemente ampliata. Questo spiega le fibrillazioni e le difficoltà che nei giorni scorsi le forze politiche nostrane hanno vissuto per eleggere un successore di Mattarella, tanto che i parlamentari, con una inedita iniziativa politica trasversale ai gruppi, hanno imposto la conferma al Quirinale dello sperimentato inquilino.

Naturalmente la chiosa di questo ragionamento è che il dilatamento del ruolo di garante internazionale del nostro capo dello Stato dipende da due elementi sconosciuti in Germania: la fragilità della Finanza pubblica e la forza elettorale dei partiti populisti ed euroscettici ampiamente maggioritari nel Paese (nei sondaggi Fdi, Lega e M5s raccolgono insieme almeno il cinquanta per cento dei consensi). Certo, Oltralpe esiste Afd, che in alcuni Länder orientali è il primo partito oltre il venti per cento e a livello federale viaggia oltre il dieci per cento, ma è un partito emarginato le cui proposte di alleanza sono sempre state respinte dalla Cdu-Csu, a livello sia di Länder (si ricordi quanto avvenuto in Turingia) sia federale.
Per i prossimi cinque anni la conferma dell’affiatata coppia Frank-Walter Steinmeier – Sergio Mattarella potrebbe non solo rafforzare i legami tra i due Paesi, magari verso un trattato bilaterale analogo a quello del Quirinale, ma anche dare un contributo importante nell’ulteriore integrazione europea. Dopo la pandemia e il Recovery Fund sarà difficile tornare indietro, ma sarà facile fermarsi se tutte le cancellerie europee non saranno stimolate da lungimiranti interventi come quelli del Bundespräsident e del presidente della Repubblica.

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