SuperSergio e SuperMario, una corsa in tandem

Con Giovanni Innamorati, giornalista parlamentare, commentiamo la recente vicenda dell’elezione del presidente della Repubblica, riavvolgendo il nastro e cercando di isolare alcuni fotogrammi cruciali che aiutano a spiegare come sono andate davvero le cose: per molti aspetti diversamente dalla narrazione dominante.
GUIDO MOLTEDO
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Con Giovanni Innamorati, giornalista parlamentare dell’Ansa, rispettatissimo cronista per l’accuratezza dei suoi resoconti e per l’acume analitico, basato su fatti e dati, che gli riconoscono colleghi e politici, commentiamo la recente vicenda dell’elezione del presidente della Repubblica, riavvolgendo il nastro e cercando di isolare alcuni fotogrammi cruciali che aiutano a spiegare come sono andate le cose: per molti aspetti diversamente dalla narrazione dominante.

Sei tra i pochi tra noi, cronisti parlamentari, che per mestiere devi tenere d’occhio i numeri reali – in aula, nelle commissioni – e quindi sei abituato a coniugare la politica con l’aritmetica, quando ci si deve misurare con fatti politici in cui la componente dei dati e delle cifre è cruciale… Mi sai dire da chi era composto il “partito” trasversale di Draghi prima della famosa conferenza della stampa parlamentare, quella che passerà alla storia come la conferenza del nonno, e poi, dopo il tramonto della candidatura di Silvio Berlusconi. Se davvero c’erano i numeri perché non è mai venuto fuori, il suo partito?
Draghi non ha mai avuto i numeri per essere eletto, neppure minimamente, non perché non fosse un candidato autorevole, bensì per i riverberi di un suo trasloco al Quirinale su Palazzo Chigi e sulla prosecuzione della legislatura. L’avrebbero votato un sette-otto deputati di Forza Italia (i tre ministri e alcuni sottosegretari), quattro o cinque del Pd (Letta, Borghi, Boccia, le due capogruppo, e un paio di altri), tre o quattro della Lega (Giorgetti e altri due o tre), ed eventualmente i parlamentari di M5S più vicini a Di Maio, se si fosse prima trovato un accordo sul governo. Poi aveva i numeri di Fratelli d’Italia nell’ottica di far cadere il governo e andare alle elezioni. Da martedì sera era chiaro che Draghi era definitivamente fuori campo e che la dinamica era per la riconferma di Mattarella. Neppure Berlusconi ha mai avuto i numeri.

Ma allora, è mai stato davvero in campo, anzi si è mai, lui, considerato un candidato? Te lo chiedo – numeri a parte – perché tra le altre cose quello che più mi ha colpito – anche perché è un dato politico totalmente negletto – è l’incrollabile silenzio di Draghi, ancora più interessante in un ambiente che mai è stato così chiassoso e cacofonico come nei giorni del voto per il presidente. Non c’è mezza parola – non dico dichiarazione – ascrivibile direttamente a lui, non un virgolettato giornalistico attendibile che testimoni della sua intenzione di candidarsi. Rischiando di fare la parte di Biancaneve – ma lo scrissi anche a proposito della conferenza del nonno – io non l’ho mai considerato un candidato e men che meno un auto-candidato. Al massimo ho visto un suo adoperarsi – ma anche questo sulla base di quanto riferito nei cosiddetti retroscena e nel talkshow – per “scegliere” lui un presidente in sintonia con lui o che almeno non gli avrebbe dato fastidio. Chi meglio di Mattarella? Questo l’ho visto fin da quella famosa conferenza stampa della sua supposta e – ripeto – mai acclarata auto-candidatura. Aggiungo che mi colpì molto il discorso di capodanno di Mattarella, il più fiacco del suo settennato, e per niente catalogabile come il discorso di addio definitivo dal Quirinale. Insomma, credo ci sia molto da lavorare per chi vorrà scrivere la storia vera di queste elezioni e tu sicuramente, se mai ti andrà, sei il più qualificato a farlo.
Secondo me hai colto nel segno. Draghi era il candidato di Mattarella, il quale si è speso molto per lui. Nella conferenza stampa del 22 dicembre, Draghi ha fatto capire che era disponibile, direi addirittura che l’avrebbe fatto volentieri. Tra il 22 e il 31 dicembre si è capito che i numeri non ci sarebbero mai stati, con il rischio di bruciare Draghi anche come presidente del Consiglio se fosse finito nel tritacarne. Il discorso che definisci fiacco di Mattarella del 31 va letto così: aveva capito che al novanta per cento sarebbe stato rieletto. Anche quando il 20 gennaio è andato al Consiglio superiore della magistratura ha fatto un saluto rituale, che ci aveva colpito molto: non era un addio. Comunque, su richiesta di Mattarella, Letta ha provato a sondare il campo lunedì e martedì mattina, ma a quel punto la partita era chiusa. Personalmente lo preferisco a Chigi e al Consiglio Europeo.

In questa logica anche la candidatura di Elisabetta Belloni – sulla carta inappuntabile – era d’ingombro lungo un percorso diretto alla conferma di un quadro di stabilità e di sintonia Quirinale-Chigi.
Beh, noi sappiamo che Draghi ha perorato la causa dell’elezione di un presidente della Repubblica, che confermasse la formula attuale. Il governo Draghi è il classico governo del Presidente, che nasce cioè da un’iniziativa del presidente della Repubblica, a fronte di partiti che non riescono a trovare un accordo per dare vita a un governo; un’iniziativa a cui gli stessi partiti e i gruppi parlamentari rispondono positivamente. Replicare l’attuale formula significava o la conferma di Mattarella o l’elezione di un altro Presidente che avesse un grandissimo prestigio, confermato con i consensi in parlamento. Noi abbiamo scritto che Draghi oltre a Mattarella aveva suggerito il nome di Giuliano Amato.

Belloni? Ci mancava solo che si ritrovasse come suo “superiore” la numero uno degli 007, che egli stesso aveva messo in quel posto con evidenti obiettivi politici e anche geopolitici.
Su Belloni, sinceramente, non ho fonti di prima mano circa l’atteggiamento di Draghi. Non ho mai approfondito perché – a mio giudizio – il suo nome sarebbe stato fermato prima di arrivare a un tavolo di confronto tra le forze politiche, come puntualmente è accaduto. E questo non per lo spessore della persona, ma per l’inopportunità di avere il “capo dei servizi segreti” che passa direttamente al Quirinale, e di avere due tecnici a Chigi e al Quirinale.

Piuttosto, a proposito di Belloni, diversi colleghi, e l’hanno scritto anche sui social, hanno osservato che averla tirata in ballo avrebbe significato indebolire l’operatività sia della stessa Belloni sia dei nostri servizi. E visto che la proposta è arrivata da leader politici su cui pesa l’ombra di tiepidezza verso i legami Atlantici (Meloni, Salvini, Conte), puoi immaginare che tipo di supposizioni sono state fatte.

SuperSergio e SuperMario, una corsa in tandem ultima modifica: 2022-01-31T15:54:00+01:00 da GUIDO MOLTEDO
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