C’erano una volta le colonie estive

Che resta delle decine di edifici disseminati lungo le coste del mare Tirreno e del Mare Adriatico che ospitarono milioni di bambini e ragazzi? Lo racconta un libro con immagini del fotografo Franco Mapelli e con testi di Milena Farina e Francesca Lembo Fazio.
BARBARA MARENGO
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Oltre due milioni di metri cubi, decine di edifici disseminati lungo le coste del mare Tirreno e del Mare Adriatico: a tanto ammonta il volume degli edifici delle ex colonie marine che soprattutto nel secolo scorso hanno ospitato milioni di piccoli turisti estivi. Colonie estive su due mari. Rovine, progetto e restauro del moderno è il libro fotografico frutto di un viaggio-indagine lungo le coste eseguita da Franco Mapelli attraverso le sue foto e i testi di Milena Farina e Francesca Lembo Fazio: due sezioni distinte che fanno sì che immagini e redazione rappresentino due storie diverse che si integrano e si completano, spiegando passato e presente.

Colonia Montecatini, Milano Marittima

Mapelli, fotografo architetto con alle spalle una lunga carriera legata alla ricerca di “paesaggi storicamente determinati”, completa con questo lavoro di grande nitidezza i due precedenti studi su “Terre di riforma” e “Scene di superficie” ambientati in Basilicata e in Sardegna. Filo conduttore è la rappresentazione di “strutture permanenti” che dopo lunghi periodi di non uso sarebbero destinate a diventare rovine connotate da un’identità temporale ben precisa. Pubblicato con il contributo del Dipartimento di Architettura dell’Università Roma tre, il libro offre una lettura sociologica e un itinerario estetico sulla presenza di tali strutture che nel secolo scorso sono state edificate da monarchia, regime fascista e grandi società che offrivano ai figli dei dipendenti soggiorni estivi salutari ed economici.

Con l’introduzione di Paolo Desideri, docente presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Roma Tre e di Luciano Scuderi, dottore di ricerca in Storia di Disegno e Restauro dell’Architettura (La Sapienza), Colonie estive su due mari vuole non tanto documentare lo stato di degrado dei luoghi, quanto soffermarsi e fare il punto sul rapporto tra strutture e paesaggio assieme alle modificazioni che la natura ha compiuto con la crescita di alberi e verde in zone abbandonate da decenni. 

Le rive dei nostri mari, con tanti grandi edifici costruiti quasi sulla sabbia, conservano testimonianze di un passato non lontanissimo, quando una dimensione sociale in differenti epoche fece sì che fossero costruite con particolare attenzione strutture studiate per ospitare, soprattutto nei periodi estivi, bambini e ragazzi affetti da rachitismo, tisi o poliomielite, ma anche squadre di piccoli figli di italiani per ragioni di propaganda durante il ventennio fascista. “Una concezione del riposo e del divertimento collettivo ormai perduto” che nasce nella seconda metà del XIX secolo e nel XX si sviluppa unendo lo scopo sociale a una nuova forma di architettura, che vede grandi nomi di tecnici cimentarsi con progetti all’avanguardia per forme e materiali, tra ardite concezioni di villaggi vacanza precursori di quelli del XXI secolo e metafisiche forme rotondeggianti e di grande impatto, come ad esempio la colonia progettata a Cattolica da Busiri Vici tra il 1934 e il 1936. O il modernissimo edificio a Cesenatico realizzato da Giuseppe Vaccaro tra il 1936 ed il 1938. O la torre allungata di Chiavari disegnata da Camillo Nardi Greco nello stesso periodo, come documentato da Farina e Lembo Fazio, architette e docenti presso le Università di Roma Tre e la Sapienza che hanno curato la sezione relativa a “Colonie marine. Rovine, progetto e restauro del moderno”.

Le fotografie dai colori vividi rappresentano le grandi strutture abbandonate come sono oggi, tra la rada vegetazione e le spiagge frequentate dai bagnanti, architetture che fanno ormai parte del paesaggio quasi come reperti archeologici. Fa un certo effetto pensare a quando, fino a pochi decenni fa, queste colonie erano vivaci luoghi di incontro che, oltre a offrire salutari soggiorni estivi, davano da lavorare a migliaia di persone, educatori, sorveglianti, cuochi e amministratori, costituendo anche spicchi di scuola di vita per chi, vivendo lontano dal mare, usufruiva di vacanze a prezzi abbordabili. Tali grandi strutture sono oggi per la maggior parte abbandonate quando non pericolanti e pericolose, ma potrebbero essere riutilizzate a scopi sociali come da loro vocazione primaria? Questo e altro si chiedono Mapelli, Farina e Lembo Fazio, ripercorrendo una storia che ancora oggi potrebbe avere un seguito e un fine: certo ci vorrebbero investimenti per riconvertire gli edifici, in un momento storico e sociale difficile e pieno di emergenze, sia abitative sia di accoglienza, o di assistenza per gli anziani sempre più numerosi. 

Colonia Firenze. Calambrone [Pisa]

Tra la sabbia e la vegetazione, lambite dalle onde e affacciate su spiagge di vacanze affollate, le ex colonie marine, recintate in molti casi alla bell’e meglio, sono lì con porte e finestre spalancate, grandi vetrate divelte, ampi terrazzi ingombri di immondizie, molte volte rifugio di persone senza casa o malviventi. 

Inserite a pieno titolo tra le testimonianze più originali della moderna architettura, anche le colonie marine del Tirreno e dell’Adriatico entrano a far parte del patrimonio nazionale derelitto e non valorizzato, aggiungendosi per esempio alle chiese chiuse delle nostre antiche città, e alla moltitudine di luoghi abbandonati sotto i nostri occhi oramai assuefatti alla trascuratezza che impera nel paese più bello del mondo.

Immagine di copertina: Colonia Torino, Marina di Massa.

Le fotografie sono di Franco Mapelli e tratte da Colonie estive su due mari.

C’erano una volta le colonie estive ultima modifica: 2022-02-01T15:29:54+01:00 da BARBARA MARENGO
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