Per la successione a Jens Stoltenberg, alla guida della Nato, circola il nome di Elisabetta Belloni. L’attuale segretario generale, norvegese, lascerà l’incarico per diventare governatore della Norges Bank, la banca centrale della Norvegia, nel dicembre 2022, tre mesi dopo la fine del suo mandato alla Nato. Destinato a scadere nel 2020, gli era stato prolungato per un insieme di congiunture che ne consigliavano la proroga. A giugno, in occasione del vertice della Nato a Madrid, dovrebbe essere scelto il suo successore.
Ci sono diverse donne nella rosa dei nomi che si fanno, in particolare quelli dell’ex presidente estone Kersti Kaljulaid e dell’ex presidente lituana Dalia Grybauskaitė, in un’ottica di accresciuta attenzione verso l’Est e le nazioni della Nato che più recentemente sono entrate a farne parte. Al tempo stesso, tuttavia, proprio la tensione crescente in Ucraina, potrebbe sconsigliare la scelta al vertice dell’organizzazione militare di una persona troppo coinvolta nelle vicende passate e presenti nell’area post-sovietica. Altre donne sono nella rosa delle indiscrezioni, come l’ex premier britannico Theresa May, l’ex ministra degli esteri belga Sophie Wilmes, le italiane Federica Mogherini, ex Alta rappresentante della Ue, e Roberta Pinotti, ex ministra della difesa.
Una donna al vertice sembra sia l’orientamento prevalente, ma da combinare con il criterio che più di altri ha sempre dettato la nomina del numero uno dell’Alleanza atlantica, cioè quello della rotazione per nazione.
Da questo punto di vista l’Italia dovrebbe essere avvantaggiata. L’ultimo segretario italiano della Nato è stato l’ambasciatore Manlio Brosio, dal 1964 al 1971, a parte i tre brevissimi interim affidati a Sergio Balanzino, due, e ad Alessandro Minuto-Rizzo. Inoltre, a parte il periodo dello spagnolo Javier Solana (1995-1999), peraltro ormai lontano, undici segretari su tredici sono stati espressi da paesi del Nord Europa e, dunque, solo due da paesi mediterranei.
Evidente l’esigenza di far oscillare il pendolo a Sud, anche per l’indiscutibuile e accresciuta rilevanza strategica del Mediterraneo.
Oltre ai nomi di Mogherini e Pinotti, per l’Italia, si sono fatti anche quelli di Paolo Gentiloni, ora commissario della Ue, di Enrico Letta, ora segretario del Pd, di Matteo Renzi, leader di Italia Viva, e dell’attuale ministro della difesa Lorenzo Guerini. Tutti politici.
Le recenti vicende quirinalizie hanno fatto balzare in primo piano l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, dal 2021 direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, con compiti di coordinamento e vigilanza sulle attività dei servizi segreti italiani, la prima donna in Italia in questo incarico, dopo essere stata la prima donna a guidare, come segretaria generale, la complessa “macchina” del ministero degli esteri.
A favore di Belloni, oltre al suo ottimo curriculum, conta l’esigenza di “risarcirla” per essere stata gettata nel toto-Quirinale, con il rischio di sovraesporre la sua figura e la sua funzione, che non dovrebbero mai finire sotto le luci della ribalta mediatica, e con la conseguenza di rendere problematica la sua permanenza alla guida dei Servizi. Quindi il classico promoveatur ut amoveatur.
Che non sia una politica, non è detto sia un handicap, anche se sono solo due gli “indipendenti” dei tredici segretari della Nato, dal 1952 in poi (più Balanzino e Minuto-Rizzo). Infatti, potrebbe essere il modo migliore per evitare lo scontro tra i partiti per piazzare un loro nome, con il rischio di fare confusione e di vanificare lo sforzo italiano di conquistare la guida della Nato.

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