La prima battaglia del Piave ebbe luogo nel novembre del 1917, dopo la disfatta di Caporetto. Da qui partì il riscatto dell’esercito italiano che ci condusse alla vittoria della Prima Guerra mondiale. Centocinque anni dopo non si tratta più di difendere i confini nazionali bensì la sopravvivenza di questo grande habitat fluviale. Fiaccato dalle derivazioni irrigue e per la produzione idroelettrica, devastato da prelievi monster di ghiaia, minacciato da inquinamento e cambiamento climatico. Il fiume rappresenta non solo la storia ma un tesoro ambientale nazionale.
Come ricorda bene Francesca Bastianon ne il BO Live, l’edizione web del giornale universitario di Padova:
Il/la Piave ha due identità. Proprio come il suo nome. Fino all’Ottocento era conosciuta come la Piave, molto più di un corso d’acqua per le popolazioni aggrappate alle sue rive, per poi adottare l’articolo maschile, indispensabile per sottolineare quello che sarà poi il suo tratto distintivo, cioè essere il “Fiume sacro alla Patria”. Il Piave ha veramente due lati: uno, più docile, in cui si è sviluppato un notevole benessere economico, mentre il secondo, quello più buio, è costellato di conflitti, guerre mondiali, disastri ambientali e sfruttamenti.
Dalla sorgente alla foce: gli interventi sul percorso del Piave sono stati numerosi nel corso degli anni. Questo corso d’acqua è uno dei fiumi più sfruttati e artificializzati d’Europa, e se da un lato il grado di rischio idrogeologico per alluvioni, frane e cedimenti non accenna a diminuire sotto la spinta acutizzata dal moltiplicarsi dei fenomeni estremi dovuti al cambiamento climatico in atto, dall’altro continuiamo a vedere autorizzati interventi che superano sia il buon senso che la storica resilienza di questo fiume.

E quanto le questioni dell’ambiente e della messa in sicurezza del Piave siano sentite da cittadini, associazioni ambientaliste e amministrazioni comunali “rivierasche” lo dimostra la grande partecipazione al flashmob promosso da Legambiente Piavenire e Treviso il 13 febbraio a Candelù di Maserada, per porre l’accento sulla tutela e la valorizzazione del fiume, dei suoi boschi e del reticolo idrico a esso collegato.
Per quanto complessi siano questi temi, proprio per i noti interessi economici, ambientali e di sicurezza pubblica, è ancora possibile individuare una soluzione nuova che non metta certo in contrapposizione le comunità dei territori bagnati dal fiume, ma al contrario promuova più interventi di valore eco-sistemico lungo tutto il suo corso al fine di ottenere presto una scelta davvero sostenibile e condivisa per la salute del fiume più importante del Veneto che rischia oggi di scomparire.
Di più, non considerare – al contempo e insieme – gli aspetti economici, ambientali e infrastrutturali della messa in sicurezza del Piave, dalla sorgente fino al Golfo di Venezia, è sbagliato, non risolutivo e, anche luce della recente riforma dei Principi fondamentali approvata dal Parlamento, anticostituzionale.
Le risorse europee del Next Generation EU, rese operative con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sono perciò un’opportunità di riscatto per il Piave, solo a patto che si punti sulla qualità dei progetti, mettendo al centro della strategia regionale progetti integrati di adattamento e riduzione del rischio idrogeologico, per contrastare il dissesto idrogeologico e rendere il territorio più resiliente alla crisi climatica in atto. Il Partito democratico del Veneto è al lavoro per questo.

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1 commento
interessante ma poco approfondito sul piano delle specifiche possibilità di intervento..a salvaguardia…