Il compleanno del Serpente

Ricorrono 50 anni dall’Accordo monetario stipulato nel 1972 che dà (breve) vita allo Sme. Altro anniversario delicato per la storia monetaria d’Europa è il 1992, quando per la seconda volta pare spezzarsi il filo di un nuovo tentativo di stabilizzazione valutaria. E il primo gennaio 2002 entra ufficialmente in circolazione l’euro.
FRANCESCO MOROSINI
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Platone, interpretando nel Cratilo sinteticamente il pensiero di Eraclito, così lo presenta: “non potresti entrare due volte nello stesso fiume”. In sostanza, il tempo degli umani scorre senza ripetersi; nondimeno, pur nel mutare dei contesti, analogie emergono costantemente e dovrebbero far riflettere. La Storia, allora, è solo imperfettamente quella maestra di vita spesso attribuitele; ma coglierne indizi per rifletterci può essere utile. In fondo, gli anniversari servono a questo.

L’occasione per ragionare, la offrono tre eventi. Uno di questi, l’atto politico che legittimamente può essere considerato il primo antesignano dell’euro e precorritore della seguente storia valutaria del Vecchio continente, fu l’Accordo monetario stipulato nel 1972, appunto un cinquantennio fa, che diede vita al Serpente monetario europeo. Sua caratteristica era di vincolare le valute europee a bande di oscillazione reciproche contenute entro una fascia limitata al 1,125 per cento sopra e sotto le reciproche parità e, al contempo, potendo fluttuare verso il dollaro degli USA (accordi di Washington del 1971) secondo un ambito pari al 4,5 per cento. Sopravvisse poco e malamente. L’Italia ne uscì nel 1973.

Altro anniversario delicato per la storia monetaria d’Europa è il 1992, quando per la seconda volta parve spezzarsi il filo di un nuovo tentativo di sua stabilizzazione valutaria. Possibilità riemersa, dopo lo shock del 1972, nel 1979 con la decisione che i paesi membri della Comunità europea aderissero al Sistema monetario europeo (SME), come il precedente archetipo ideale del percorso politico verso l’euro. Ma l’esperimento fallì e nel 1992 lo SME ebbe il suo mercoledì nero: era il 16 settembre (pochi mesi dopo la firma del Trattato di Maastricht il 6 febbraio 1992). Accadde, infatti, che la lira italiana e la sterlina inglese, preso atto della realtà preannunciata dalla speculazione, l’abbandonarono.

Nondimeno, il 2022 segna pure un’altra importante ricorrenza visto che il primo gennaio 2002 entrava ufficialmente in circolazione l’euro (peraltro nato il 1999 però funzionando per i suoi primi tre anni solo come moneta scritturale). Si arrivò così all’Unione monetaria europea (UME). La questione è: le crisi di cinquanta (il Serpente) e di trenta (lo SME) anni fa sono vicende ormai chiuse? Oppure, sono tuttora in grado di minacciare, rivelandone le debolezze, l’Unione monetaria europea (UME)? Certo, paiono eventi lontani; nondimeno il 1972 e il 1992, che furono anni “duri” per la tenuta monetaria del Belpaese, ci portano a ragionare sul fatto che molte delle dinamiche politico-economiche che allora resero la vita difficile prima al Serpente e poi allo SME permangono tuttora, sebbene latenti. 

Da un punto di vista politologico si tratta di problematiche di diplomazia monetaria emergenti in presenza di accordi valutari tra soggetti politicamente disuniti, gli europei, dinnanzi alla crisi di Bretton Woods, l’architettura dell’ordine monetario post Seconda guerra mondiale gerarchizzato (sul ruolo delle gerarchie nei sistemi di relazioni internazionali cfr. Alessandro Colombo, Tempi decisivi, Feltrinelli, 2014) sulla valuta degli States, il dollaro. Infatti, l’idea e le relative esperienze di coordinarsi valutariamente da parte europea (dall’Unione europea dei pagamenti al Serpente, allo SME per finire all’attuale UME) sono da intendersi come risposte di diplomazia politico/monetaria al collasso e seguente balcanizzazione del sistema monetario internazionale che, dopo lo shock della Grande crisi degli anni Trenta del Novecento, è riemerso, prodromo di una grande crisi petrolifera, negli anni Settanta del XX° secolo.

Se questa è la premessa, allora

la questione delle aree valutarie si lega strettamente al problema della difficile conciliabilità tra sovranità nazionale e le necessità di un economia industriale avanzata, problema già emerso nel XIX secolo ed a cui si è tentato di dare una soluzione in passato con la creazione di imperi che fossero anche aree economiche e valutarie e, più recentemente, attraverso accordi che permettano l’integrazione economica internazionale salvaguardando però la sovranità nazionale (Roberto Di Quirico, L’euro, ma non l’Europa, Il Mulino, 2007, p.43).

Tuttavia, la spinta a questa diplomazia valutaria europea la diede quel che accadeva (Nixon presidente) al dollaro.

Fu allora, era l’agosto del 1971, che la Casa Bianca sprangò la cosiddetta “finestra dell’oro” impedendo alle banche centrali straniere (BC) di poter scambiare dollari con l’oro di Fort Knox. Il punto è che Bretton Woods aveva un peccato originale, l’ancoraggio del dollaro al metallo giallo e delle altre valute al primo a cambi fissi (non a caso il problema era già emerso nel 1961 quando la quantità di crediti in dollari in sospeso cominciò a superare lo stock d’oro del governo degli Stati Uniti). Un difetto destinato ad emergere con la rinascita industriale europea e con la riluttanza degli alleati occidentali a partecipare agli oneri della difesa comune, come accusava già allora Nixon e dopo di lui molti degli inquilini della Casa Bianca. Se a ciò si aggiunge che gli USA crearono massicce riserve in dollari all’estero (via basi militari, investimenti diretti e la guerra del Vietnam, poi premessa, come sua retrovia, del boom asiatico post-bellico), le cause per la crisi di Bretton Woods c’erano già tutte.

Nel senso che il timore di una svalutazione del dollaro, ovvero che Washington potesse incorrere in gravi difficoltà nel rispettare l’impegno a convertire il dollaro al prezzo convenuto di 35$ all’oncia (anche perché gli States disponevano nel 1960 di 15.800 tonnellate d’oro e alla fine del 1971 solo di 8.600 tonnellate) si faceva sempre più forte; di qui la pressante richiesta, con la Francia il prima fila, di avere oro al posto di dollari. Pertanto, come detto, Washington unilateralmente “mise in soffitta” gli accordi di Bretton Woods. Fu uno scossone durissimo per l’economia-mondo di mercato; comunque gli States, liberatisi dal vincolo aureo, riuscirono a restare monetariamente egemoni, evitando la detronizzazione del dollaro; anzi, riuscendo a riaffermarla (Duccio Basosi, Il governo del dollaro, Edizioni Polistampa, 2006), ma con le mani libere dal vincolo aureo.

Viceversa, in Europa si pose il problema di come rispondere a questo shock: di qui la nascita cinquant’anni fa del Serpente monetario europeo e, permanendo il confronto col dollaro, prima dello SME, poi dell’UME e, infine, dell’euro. Politicamente significava e significa reagire alla marginalità valutaria dell’Europa nei confronti del biglietto verde. Premessa al Serpente fu lo Smithsonian Agreement voluto dal G10 (gruppo fondato nel 1962 dalle maggiori potenze capitaliste del tempo – Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia, Stati Uniti, -; poi, nel 1964 vi si aggiunse la Svizzera, però senza alterarne la denominazione).

La speranza era di far sopravvivere, aggiustandolo, il sistema di tassi di cambio fissi di Bretton Woods, ormai in via di disintegrazione. A tal fine presso lo Smithsonian Institute di Washington la Casa Bianca si impegnò sia ad abrogare la soprattassa, annunciata assieme all’abbandono di Bretton Woods, del dieci per cento sulle importazioni che a svalutare il dollaro rispetto all’oro di circa l’8,5 per cento (da $35 a $38 l’oncia). Conseguentemente, ma era pure l’esito di uno scambio politico, le altre monete delle economie di mercato si rivalutarono sia nei confronti del dollaro che dell’oro; o di entrambi. Comunque, lo Smithsonian Agreement ebbe una vita fugace e nel febbraio 1973 una nuova svalutazione del dieci per cento rispetto all’oro del dollaro porto a marzo alla fine dell’accordo smithsoniano. È in questo contesto che i paesi europei iniziano a cercare risposte al nuovo “mondo monetario” del dopo Bretton Wood.

Il Serpente, difatti, prese corpo a Basilea quando si assunse il principio politico che il dollaro, invece che punto di riferimento, dovesse essere posto sullo stesso piano delle valute comunitarie. L’analogia con un rettile, più esattamente quella di un “serpente nel tunnel”, era la raffigurazione visiva delle monete europee fluttuanti entro il margine del 2,25 per cento (il serpente) e del 4,50 per cento nei confronti del dollaro e delle valute non-europee (il tunnel). Comunque le differenze tra le economie europee e la ripresa delle fluttuazioni del biglietto verde spinsero l’Italia ad uscirvi nel 1973; la Francia invece vi uscì nel gennaio del 1974, vi rientrò a luglio e ne uscì ancora nel marzo 1976; al contempo il marco diveniva la valuta regina su cui si assestavano le valute di Benelux, Olanda, Danimarca e Austria. Insomma, il Serpente fu un’illusione caduta perché fondata su di un miraggio.

Ovvero, a parte l’idea di porre sullo stesso piano le valute delle CEE quasi vi fosse già tra di esse una sorta di convergenza operativa, il sottostimare la forza e il peso del dollaro; un ideologismo, anche considerando il peso degli USA come garante sia militare che economico delle economie/democrazie occidentali. Tant’è che l’economista Masera poteva dire che

l’origine del serpente comunitario, al pari di quella del serpente biblico si è associata ad un’illusione e ad un peccato di orgoglio (Francesco Masera, L’Italia e l’economia internazionale, Sociologi ed economisti, UTET,1979, p. 711).

Analogo discorso può valere anche per lo SME e, in fondo, pure per l’UME, pur tenendo conto che sì, già ai tempi di Nixon la “fatica imperiale” iniziava a farsi sentire (poi esplosa col duo Obama/Trump), ma senza toccare i rapporti di forza monetari/militari. Sotto questo aspetto, che va ben oltre l’ambito valutario, è tuttora significativa la frase pronunciata proprio nel 1971 dal segretario al Tesoro USA Connally: “Il dollaro è la nostra moneta e il vostro problema”. Difatti, aiuta a capire l’atmosfera politica e l’approccio di diplomazia monetaria che, nonostante il fallimento del Serpente, portò prima allo SME e dopo, col salto logico da accordi di cambio a moneta comune, all’UME.

Come il suo predecessore, lo SME rappresentò – in un’epoca travagliata da tempeste monetarie e shock petroliferi (il secondo collegato alla rivoluzione iraniana komeinista del 1979 e alla guerra Iran/Irak del 1980) come gli anni Settanta del Novecento – la volontà di creare almeno in Europa una zona di stabilità monetaria.

Ma cos’era lo SME? Era, da un punto di vista istituzionale, un accordo politico centrato su quattro elementi:

  • 1) condivisione del venti per cento delle riserve auree e valutarie da parte dei paesi partecipanti;
  • 2) il paniere (ECU) delle valute considerate, vincolate a tassi di cambio bilaterali (correggibili);
  • 3) un meccanismo di facilitazioni creditizie a diversa scadenza; infine, ma decisivo, il meccanismo dei tassi di cambio. Inizialmente, una banda di oscillazioni bilaterale del (+-) 2,25 per cento con l’eccezione dell’Italia che fino al 1990 usufruì di una banda di oscillazione del (+-) sei per cento.
  • Infine, nel 1987, lo SME si trasformò in un sistema a cambi fissi.

Visse più a lungo del suo predecessore, il Serpente del 1972. Fu possibile grazie a due fattori evidenziati dall’economista Larry Neal (Larry Neal, Storia della finanza mondiale, Il Mulino, 2015, pp. 337). Il primo fu la decisione politica del Presidente della FED Volker (maggio 1980) di riprendere il controllo sul dollaro e stroncare l’inflazione che, rivalutando il biglietto verde, creò margini di competitività per le economie dello SME senza mettere sotto pressione i loro rapporti di cambio. Poi, analogamente agì il contro-shock petrolifero degli anni 1985/1986 che, facendo calare il prezzo dell’oro nero in dollari, analogamente evitò tensioni che avrebbero anch’esse alterato l’equilibrio tra valute dello SME. 

Quale fu nel ’92 la causa del suo collasso? Di certo vi contribuì la riunificazione tedesca. Più precisamente la volontà dell’allora Cancelliere tedesco Kohl di cambiare l’Ostmark della DDR col marco della RFT uno a uno per il salario base e due a uno oltre questo limite. Nel senso che questo produsse una rivalutazione dell’Ostmark, così creando quel potere d’acquisto fondativo del consenso dei cittadini dell’ex DDR all’immediata riunificazione. Ma fu un guaio per lo SME visto che la politica di Kohl creò agli occhi della Bundesbank (la Banca centrale tedesca) un problema di stabilità monetaria che, a sua volta, sia per il suo istinto “antinflattivo” che per finanziarie la riunificazione, la spinse ad un aumento dei tassi d’interesse. Diversamente volevano Italia e Francia, viceversa orientate a scelte monetarie congiunturali espansive.

L’effetto, portando a forti pressioni sulle riserve d’Italia e Regno Unito (che aveva appena aderito allo SME nell’ottobre del 1990), fu il crollo, anticipato dalla spinta dei mercati, dello SME medesimo. Tutto ciò ci porta all’ultimo anniversario: il gennaio 2002, quando l’euro entrò ufficialmente nei portafogli di gran parte dei cittadini dell’Euroarea. Riprendendo il quesito già posto, i precedenti fallimenti dei tentativi di ordine monetario europeo potrebbero ancora riemergere e minacciare l’euro (sui rischi di un’uscita Carlo Stagnaro, Che succede se usciamo dall’euro? Quanto costerà e chi ne pagherà il prezzo, IBL editore, 2019). Le condizioni dell’UME sono diverse e fare analogie è azzardato. Nondimeno, divergenze nell’economia reale tra i big dell’Euroarea come il fatto che l’Autorità monetaria sia priva di controparte fiscale (difetti rilevati da Ashoka Mody, Euro, Una tragedia in nove atti, Castelvecchi, 2020) sono ombre che permangono rischiose.

Perché in Europa, nonostante i fallimenti, dal 1972 al 2002 si insistette prima a costruire rapporti di ambio stabili per poi giungere, però con la politica solidamente ancorata agli Stati nazionali, addirittura ad un’unione monetaria? La politologia (Hans J. Morgenthau, Politica tra le nazioni, il Mulino, 1997; Kenneth Waltz, Teoria della politica internazionale, il Mulino, 1987) suggerisce che ciò risponda alla tutela degli equilibri di potere dell’area, anche per evitare i drammi bellici passati. L’idea è che ciò si possa perseguire (Di Quirico, L’euro, cit), dal Serpente all’euro, senza per questo mettere in discussione la sovranità politica dei partecipanti ad essa. Altri due aspetti possono essere considerati per dar conto della diplomazia monetaria europea. Il primo è la volontà di politica commerciale di mettere in campo una “diga monetaria” capace di tutelare il mercato comunitario dagli scossoni internazionali; il secondo, correlato all’altro, è di evitare di essere puri soggetti passivi delle decisione monetarie d’oltreoceano.

Per poter partecipare a queste decisioni, dal Serpente 1972 all’euro, la cultura economica italiana fu sottoposta a forti torsioni (facilitate dai forti tsunami inflattivi subiti nel recente passato) dovendo tra mille resistenze smettere di anteporre il consenso socio/politico alla stabilità dei prezzi e dei cambi per privilegiare, all’opposto, scelte antinflattive e il controllo dei conti pubblici.

È un punto delicato perché, sebbene carsico, esprime approcci culturali interpreti di difficoltà oggettive, oggi latenti, ma sempre pronte a creare tensioni politiche – in Italia, ma forse pure in Francia e non solo – capaci di minare l’Eurosistema. Commentando la crisi del settembre del 1992 gli economisti Fratianni e Spinelli affermavano che per l’Italia, abituata ad aggiustare la competitività con la svalutazione del cambio, in un’regime di cambi fissi (e, fatte le debite differenze, in un regime di unità monetaria),

la situazione rimane gestibile solo se la politica fiscale consente di compensare le imprese per la perdita di competitività, se il paese non ha un grosso debito estero e se i mercati monetari internazionali sono tranquilli (Franco Fratianni, Michele Spinelli, Storia monetaria d’Italia, ETASS, 2001, p. 513).

Il guaio è che si tratta di questioni in sostanza ancora irrisolte perché, sotto questo profilo, l’euro è pure un’occasione persa di modernizzazione economico/politica (sebbene per i suoi critici sia esso la causa di ciò).

Al momento il tema è sottotraccia, anche per la sostanziale sospensione per SARS-COV2 delle regole sottostanti alla moneta europea. D’altronde, fin qui ad attutire ogni urto tra le varie parti dell’eurosistema provvede la BCE con le sue politiche monetarie non-convenzionali; ma per quanto? Anche perché, ecco il passato che si riaffaccia, l’idea di ricorrere alle svalutazioni del cambio come strumenti di politica economica, specie in un contesto di riemergente inflazione, è cosa ancora adesso diffusa, sebbene i NO-euro siano al momento un fenomeno politico in latenza. Inoltre, specularmente, se a ciò si aggiunge l’emergere politico soprattutto nel Nord-Europa degli interessi sociali dei consumatori/salariati e dei risparmiatori (la Alternative für Deutschland, in specie nelle sue fasi allo stato nascente, ne è stata un sintomo, seppure con le modalità del radicalismo di destra), allora l’effetto politico conseguente potrebbe essere quello di sottoporre nuovamente l’Euroarea a forti tensioni tra paesi partecipanti ad essa come pure a scontri interni a loro. Perfino capaci di creare crepe esistenziali all’interno dell’Euroarea stessa. Una pessima ricorrenza per il trentennale della firma, altra ricorrenza importante, del Trattato di Maastricht (gennaio 1992) e per la moneta unica.

Nulla esclude che il dopo SARS-COV2, specie se in un contesto internazionale turbolento, porti nuovamente al riemergere sotto il manto dell’euro divergenze “reali” tra le economie dell’UME; e tali da fare considerare ad alcuni Stati l’opzione exit (Albert Hirshman, Lealtà, defezione, protesta, il Mulino, 2017) dall’Eurosistema. Comunque si valuti questa possibilità, sarebbe una sfida politica estrema, esistenziale, per il futuro del Vecchio Continente. Diceva lo storico March Bloch:

Le diverse tragedie economiche che i nostri paesi hanno attraversato, nel corso degli ultimi anni, hanno ricordato a tutti che, a un tempo barometri di movimenti profondi e cause di non meno formidabili conversioni elle masse, i fenomeni monetari si collocano tra i più degni d’attenzione (Marc Bloch, Lineamenti di una storia monetaria d’Europa, PBE, Einaudi, 1981, p. 51).

Pertanto, e proprio in questo 2022, anno che si presenta complesso, gli “anniversari monetari” richiamati (1972, 1992, 2002) meritano attenzione e riflessione. Perché molto è in gioco.

Il compleanno del Serpente ultima modifica: 2022-02-16T23:32:24+01:00 da FRANCESCO MOROSINI
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