Il voto autonomico di domenica in Castilla y León è stato importante non solo per le sorti del governo della comunità autonoma più vasta di Spagna ma perché inserito direttamente in dinamiche politiche nazionali. Le urne hanno dato molte indicazioni sul ciclo politico spagnolo che, passando da importanti appuntamenti locali, vedrà nelle elezioni generali del dicembre 2023 il suo punto d’arrivo – e su quello successivo. Soprattutto, hanno gelato le speranze di Pp e Psoe circa la rinascita del bipartitismo: la ricomposizione dello scenario politico spagnolo è ancora in atto e ha ampie strade da percorrere.
Il presidente della Giunta, Alfonso Fernández Mañueco, ha sciolto anticipatamente le Cortes di Valladolid su mandato di Madrid, del presidente nazionale del Pp Pablo Casado. Lo scopo era duplice. Interno, vincere in Castilla y León sarebbe stata una risposta all’attacco della presidente della Comunità di Madrid, Isabel Díaz Ayuso, che vuole un congresso anticipato per impossessarsi del partito; Casado e il segretario generale del Pp Teodoro García Egea ritenevano così di consolidare la direzione del Pp, certi di raccogliere un buon risultato incassando il voto in libera uscita di Ciudadanos, magari ottenendo la maggioranza assoluta che gli consentisse di rendersi autonomi dall’ingombrante Vox. Poi, motivazione esterna, si trattava di erodere il governo Sánchez, in una strategia di attacco che prevedeva anche un “colpo grosso a Madrid”, la bocciatura della Reforma laboral, per affrontare i prossimi appuntamenti elettorali in crescendo verso il voto nazionale. Quasi nulla, nella genesi del voto e nelle argomentazioni della campagna elettorale, ha riguardato la Castilla y León. Quasi nulla è andato come la direzione del Pp e i suoi consulenti elettorali pensavano.

Un voto che disegna un nuovo scenario politico nazionale
Partiamo dal voto. La partecipazione è stata la più bassa della storia, il 63,44% (-7 rispetto al 2019). Il Partido popular (Pp) diventa primo partito, guadagna due seggi (31) ma perde qualche decimo percentuale restando lontanissimo dalla maggioranza assoluta (41). Diventa chiave del governo, e canta vittoria, Vox che balza da uno a 13 deputati, triplicando voti e percentuale. Ciudadanos (C’s) crolla da 13 a un deputato. Va male al Psoe (30,05% e 28 seggi; -3,79%, -3) che era primo partito e ora è dietro al Pp, e male a Unidas Podemos (Up) (5,08%, 1 seggio), che assieme a Izquierda unida prende poco più del 2019, quando erano divisi.
La sorpresa del voto è il risultato delle liste locali. Come il 42,5% di Soria ¡Ya! (SY, Soria adesso!) nella provincia di Soria (50,3% in città) che vale 3 seggi a Valladolid; Juntos por Ávila (16,6% nella provincia, 1 seggio); La Unión del Pueblo Leonés, storica formazione regionalista nata con l’ostilità all’unificazione con la Castilla nel 1978, che è balzata al 21,3% nella provincia di León (3 seggi) e altre formazioni minori che hanno raccolto nelle diverse province e città tra il 3 e il 6% dei voti (Burgos, Valladolid, Salamanca, Palencia Zamora). Cosa sono e da dove vengono?
Sono le liste della España vacía. Le zone interne, come vengono chiamate in Italia, spopolate dall’emigrazione e prive di servizi e collegamenti, sono da tempo culla di movimenti locali in lotta contro l’abbandono da parte delle comunità autonome e dei governi nazionali. Da alcuni anni sono riuscite a imporre il tema nel dibattito pubblico nazionale e in quello politico, sino all’esordio elettorale nelle elezioni generali del 2019 di Teruel Existe!. La lista ha ottenuto un deputato e due senatori nazionali e ha appoggiato l’investitura di Pedro Sánchez in cambio di impegni nella lotta allo spopolamento e interventi nelle aree interne, anche nell’ambito dei fondi del Next generation Ue.
Teruel, Soria, non sono realtà improvvisate. Nascono attorno a esperienze locali ventennali, movimenti, comitati di base, gruppi di iniziativa su singole tematiche territoriali, si muovono nel solco dei forti regionalismi spagnoli, nella pratica delle esperienze militanti delle sinistre, assemblee, collettivi, associazioni. Si sono coordinate, alcune hanno guidato il processo, altri hanno provato a saltare sul carro, nelle tante piccole liste entro il 6 per cento l’opportunismo ma anche l’embrione di nuove aggregazioni locali che potrebbero in futuro erodere il resto dello spettro politico, mentre per ora mangiano voti soprattutto a sinistra, come Psoe e Up hanno constatato.
Il colpo al sistema bipartitico rappresentato dalla rivolta degli Indignados non si sanerà in questa né nella prossima fase politica, è un cambiamento di questa fase storica, sembra dire il voto. Quello che molti ancora vedono solo come un “fenomeno giovanile” era lo scoppio della crisi (irreversibile?) della Spagna delle Autonomie, delle sue istituzioni, a partire dalla monarchia, e dei suoi partiti; determinava un cambio di scenario dalla stabilità dell’alternanza alla frammentazione dello scenario politico; una frammentazione che si sviluppa nel tempo seguendo più assi – politiche “ideali”, nazionali, regionaliste, rivendicative – anche intrecciate fra loro.

La España vacía, gigante geografico e nano demografico
Restiamo qui, nella España vacía di Castilla y León, comunità autonoma più grande di Spagna. Ricopre il 20% della superficie spagnola (oltre 94 mila km²) ma rappresenta solo il 5% della popolazione (2.383.139 abitanti), il 5% della forza lavoro impiegata e il 5% della ricchezza del paese. Dal 2001 l’86% dei municipi ha perso abitanti, i più piccoli si sono spopolati quasi totalmente, l’emigrazione di giovani formati è oggi la più alta d’Europa – persistono istituzioni universitarie e di formazione, manca il tessuto socio-economico in grado di assorbire le persone che ne escono. Lo spopolamento ha toccato tali livelli che influisce positivamente sul tasso di occupazione, che risulta in crescita per la riduzione della platea della popolazione in età da lavoro dovuta all’emigrazione. La densità abitativa nel 70% della sua superficie e dei suoi municipi è ormai inferiore ai dieci abitanti per km² (quello che tecnicamente si definisce un “deserto demografico”, dove vive il 12% della popolazione).
Questa frattura tra Spagna dell’interno e delle coste o delle grandi città era finora imbrigliata nel sistema delle circoscrizioni provinciali che modellano la rappresentanza, costruita su misura per favorire la Ucd di Alfonso Suárez (zone rurali strutturalmente conservatrici dove il singolo voto “pesa” più che nei grandi insediamenti urbani e industriali) e che premia le forze territorialmente localizzate, come i partiti nazionalisti baschi e catalani. La rottura del bipartitismo arriva anche qui, a aprire e ampliare altre faglie. Indebolisce il Psoe nel suo recupero a sinistra e al centro; si infila nello spazio creato da Podemos, riaggrega nello spazio locale le esperienze che i viola hanno prima illuso e poi scacciato (avvitati nelle espulsioni e frazionismi che hanno caratterizzato il ciclo politico 2014-2019); propone nuovi interlocutori per la centralità di Sánchez, potendo giungere, potenzialmente, a incrinarne la solidità. Nella destra, dominata dalla gara tra Pp e Vox, non ha ancora agito le sue potenzialità ma non è detto che il localismo non si manifesti presto anche qui.
Vediamo le conseguenze del voto sui partiti. Il Pp di Casado non risolve i suoi problemi, anzi. Nulla è andato come il presidente e gli strateghi del Pp pensavano, Ayuso è più forte e si dipende da Vox per il governo della comunità castigliano-leonese. Inoltre si disvela una strategia di offensiva nazionale contro il Psoe e il governo Sánchez dal bilancio fallimentare. Casado aveva un’agenda occulta. Colpire il governo con un blitz per affondare la Ley laboral, riforma cruciale per le sorti dell’esecutivo Psoe-Up (tentato attraverso il tradimento dell’impegno di voto di due deputati della Union del Pueblo Navarro, fallito per l’errore di voto di un deputato Pp), incassare il buon risultato castigliano-leonese, anticipare sull’onda anche il voto andaluso, altro “campo di battaglia” con Vox, fare un congresso da vincere sulle ali dei risultati risolvendo la pratica Ayuso per arrivare alle generali con l’alleanza social-comunista in frantumi, Sánchez in affanno e lui come candidato forte alla guida del governo. L’agenda è da riscrivere, a partire dal resistere all’offensiva interna per il congresso anticipato.
Anche Sánchez non ha da gioire. C’s scompare verso altri lidi e l’astensione. Il localismo erode anche i socialisti. Sperava meglio ma c’era qualcosa di stonato già nell’approccio. Le indagini demoscopiche del Psoe ritenevano che quanto più bassa fosse stata l’affluenza tanto migliore sarebbe stato il risultato, invertendo una costante dei risultati elettorali spagnoli: quanto più alta la partecipazione, maggiori i voti a sinistra. Ma lo scenario è diverso e apre a possibilità sinora impensabili. Come un governo di minoranza del Pp varato grazie all’astensione delle sinistre. Riprende fiato un’opzione politica tante volte evocata e mai concretizzata: il “cordone sanitario” per isolare Vox dall’accesso alle istituzioni.

Recinto democratico per Vox e dialogo PP – Psoe: le cose cambiano
Collaborazioni tra Psoe e Pp sono difficili nel contrapposto panorama politico spagnolo ma il bipartitismo, appunto, non esiste più. Casado sa che il punto debole del Pp è la mancanza di appeal moderato ma non sa competere con Vox se non rincorrendo a destra. Sperava di cavalcare l’onda per poter, una volta ripresa l’egemonia, mostrare il volto moderato finora assente, con particolare cruccio dell’Europa, dove la deriva frontista dello scontro a tutti i costi col governo, anche mettendo a rischio le risorse dei fondi europei, si manifesta in un contesto per niente disposto a accogliere rese dei conti nazionali a scapito delle strategie comunitarie, con lo stesso Ppe in rotta con i colleghi spagnoli.
Ci sono altri timori nella destra europeista e atlantista, dentro e fuori alla Spagna. Non piace l’egemonia culturale di Vox, l’andare il Pp a strascico dei neofranchisti. Santiago Abascal prima di lanciarsi nella campagna elettorale ha mostrato i muscoli nella replica del Vertice di Varsavia dello scorso dicembre, riunendo le estreme destre europee. La Cumbre de Madrid ha visto la presenza del primo ministro ungherese Viktor Orbán, dell’omologo polacco Mateusz Morawiecki, di Marine Le Pen e di altri rappresentanti di destre europee, con osservatori di Bannon e filo russi, nel bel mezzo dell’escalation della crisi Ucraina. Ce n’è di che preoccupare anche a destra. Ayuso vittoriosa determinerebbe il passaggio dei popolari spagnoli a questo campo o potrebbe “sterilizzare” il prodotto-Vox, si chiedono in alcuni circoli.
Le cose cambiano e questa volta un dialogo andrebbe incontro alle esigenze di Casado, moderarsi sé malgrado, riprendere il centro dell’iniziativa a destra, ma anche a quelle del Psoe, ampliare i margini di manovra, liberarsi dall’obbligo di alleanza a sinistra, senza più la sponda di Ciudadanos. E c’è una novità questa volta: il cordone sanitario è invocato anche alla destra del Psoe.

È stato quel che resta di Ciudadanos in Castilla y León a introdurre il tema, invitando il Psoe a favorire con l’astensione un monocolore del Pp per tenere Vox fuori dalle istituzioni (treno preso tardissimo da C’s, solo di fronte alla dissoluzione, dopo aver partecipato allo sdoganamento dell’estrema destra spagnola meno presentabile, che ora impone le sue parole d’ordine). Ma la proposta ha trovato il plauso di settori di sinistra che temono il consolidarsi di una destra “trumpista” con una rete internazionale economica e politica, rappresentata da Vox e alla quale il Pp sembra subordinato in questa fase (anche la nostra testata amica, CTXT, in un editoriale ha invitato le sinistre ha prendersi questa responsabilità). Settori che vedono in atto la mutazione del quadro politico, il rafforzarsi delle destre “trumpiste”, ritengono che vada sbarrata la strada delle istituzioni all’estrema destra, che questo sia il fronte democratico da presidiare, anche con un accordo di “desistenza” delle sinistre che permetta la nascita di un monocolore Pp. Nella sessione di controllo del Congresso Sánchez si è detto disposto ma solo se il Pp romperà gli accordi con l’estrema destra in tutto il paese. “Il Pp deve chiedere aiuto, spiegare perché l’estrema destra non può entrare nei governi e dire se è per sempre e in tutti i territori”. Rivolgendosi direttamente a Casado ha detto: “È arrivata l’ora della verità: deve decidere se governa con l’estrema destra oppure no”. Il Pp ha fatto sapere di essere disposto solo se il Psoe romperà con Erc e Bildu nel Congresso. Opzione inaccettabile per Sánchez, malgrado ne farebbe volentieri a meno. Qualcosa però si muove.
La sinistra a sinistra del Psoe, intanto, è davanti a un cruciale passaggio. La fase post-Iglesias non ha finora travolto i viola perché il suo sottotesto è la costruzione attorno a Yolanda Díaz – vicepresidente del governo e ministra del Lavoro, non organica a Podemos ma iscritta al Pce – di un nuovo soggetto politico, il che determina una tenuta, anche elettorale e demoscopica. È araba fenice che ritorna, dopo diversi tentativi falliti. Questa volta però ci sono differenze. La sinistra a sinistra del Psoe continua a esprimere governo e azione politica, la rottura del 15M e del movimento degli Indignados permane, anche se incomincia a battere nuove strade. Il cosiddetto “blocco storico del cambio” dispone di una base sociale convergente, gli elettori, ma ha una militanza, dirigenza e intellettualità frammentate in partiti, gruppi, cordate e leadership personali, spesso fra loro in guerra feroce. Molte speranze suscita la figura di Yolanda Díaz, donna di grande intelligenza politica, preparazione, capacità comunicativa e notevole dote di leadership. Ma prima o poi le tensioni esploderanno, forse da subito, in merito al “cordone sanitario” a Vox.
Le elezioni locali vengono spesso presentate come di “importante valore nazionale”, misura di svolte politiche generali, ma quelle della España vacía apportavano soprattutto stabilità, ai partiti, ai loro granai elettorali. Adesso cambiano lo scenario, apportano caos. Ci sono due mesi per ricomporre un puzzle che, come abbiamo visto, unisce tessere ovunque nella penisola. Il voto in Castilla y León scompagina il quadro nazionale in profondità e vedremo da subito le conseguenze. In Spagna el cambio sigue, prosegue, profondo. Muta lo scenario della rappresentanza, la dimensione ideologica e geografica della sua definizione, si riverbera immediatamente nella politica quotidiana. Ne vedremo delle belle.

Immagine di copertina: un comizio elettorale di Santiago Abascal per di Juan García-Gallardo, candidato di Vox alla presidenza della giunta di Castilla y León

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