Qualcosa si muove in Europa e ha un segno laburista. Dopo trent’anni di regressione dei diritti dei lavoratori una legge inverte la marcia e lo fa applicando le strategie dell’Unione sul lavoro. Accade in Spagna, dove il governo Psoe – Unidas podemos ha varato, non senza affanno, una nuova regolamentazione del mercato del lavoro. La Reforma laboral, senza eccedere nell’enfasi, rappresenta un punto di svolta: per la Spagna, che prova a affrontare il grave problema sociale in cui si è convertito il suo mercato del lavoro, e ritrova la concertazione e il dialogo sociale; per i paesi Ue, che possono guardare alla penisola come a un utile laboratorio; per sinistre e sindacati europei, per i quali è un utile riferimento nel contrasto alla precarizzazione e all’impoverimento salariale.
Sicurezza del lavoro e esigenze produttive: l’Ue cerca l’uovo di Colombo
Coniugare le mutate esigenze della produzione con la sicurezza del lavoro fa parte delle linee guida europee, in un processo, in atto anche nel Fondo monetario internazionale, di parziale revisione del mantra del rigore delle misure contro la crisi finanziaria del 2008 – un’Europa non più solo matrigna, che si confronta coi guasti della socializzazione delle perdite finanziarie e della spinta alle privatizzazioni. In Spagna, quella del lavoro è un’emergenza nazionale. La pandemia ha drammaticamente acuito i mali di un mercato già socialmente insostenibile. Sin dagli anni Ottanta, infatti, la penisola è stata un laboratorio europeo della precarizzazione; dalla regolazione del 2012 il tasso di lavoro precario è schizzato sino raddoppiare la media Ue. Le basse retribuzioni e la mancanza di sicurezza lavorativa provocano il costante aumento costante della popolazione occupata ma a rischio povertà, senza capitalizzazione pensionistica, copertura assicurativa e accesso al credito, impossibilitata a programmare percorsi di vita: milioni di persone che lavorano con contratti che durano anche solo una giornata lavorativa, un paese fragile.
La deroga della riforma del mercato del lavoro fatta dal governo monocolore del Pp guidato da Mariano Rajoy nel 2012 – varata senza consultare le parti sociali, suscitando ben due scioperi generali – faceva parte dei programmi elettorali di Psoe e Up, inserita esplicitamente nell’accordo di governo. Ma il cammino non è stato facile. Tensioni nella maggioranza e scelte dei partiti, privilegiando la manovra politica sull’oggetto dell’intervento legislativo, ne hanno messo a rischio il percorso; sino alla fine, quando, maturato il voto contrario di alcuni dei gruppi parlamentari che pure consentirono il varo del governo delle sinistre, la cosiddetta “maggioranza dell’investitura”, un tentato blitz del Partido popular è quasi riuscito a far bocciare la riforma in aula, passata solo per l’errore di voto di un deputato Pp, con l’iniziale dichiarazione di respingimento da parte della presidenza, il ricalcolo e la smentita, le dure proteste delle destre – non un risultato lusinghiero per una riforma-simbolo del governo delle sinistre. Pedro Sánchez e Yolanda Díaz hanno tirato un sospiro di sollievo – come pure alcuni partiti che l’hanno bocciata, che si son visti per un istante scoppiare in faccia l’eterogenesi dei fini. Vedremo adesso l’applicazione delle nuove norme cosa ci dirà dei suoi effetti – posto che non ci siano problemi giudiziari avendo il Pp contestato la “frode democratica” e presentato ricorso al Tribunale costituzionale –; secondo il governo, i dati dei primi mesi di applicazione del decreto danno indicazioni positive.

Prima di tutto il metodo: concertazione e accordo tra le parti sociali
Nocchiera della riforma è stata la ministra del Lavoro Yolanda Díaz. Ha condotto la nave nelle difficili acque guardando alle stelle delle nuove strategie europee in materia di produzione e lavoro, seguendo la mappa dei richiami dell’Ue nei confronti della Spagna. Le strategie Ue cercano di combinare sicurezza per i lavoratori e esigenze di flessibilità e competitività, con al centro il metodo: la concertazione e l’accordo tra le parti sociali. La Spagna era stata oggetto più volti di richiami espliciti di Bruxelles, per la smisurata precarietà contrattuale (attualmente il doppio della media Ue), per la dualità (diverse garanzie e salari per le stesse mansioni), per la disoccupazione giovanile, per la diseguaglianza salariale e di carriera uomo/donna. Su queste assi è stata costruita l’interlocuzione con le parti sociali, mirando soprattutto alla lotta alla precarietà e all’aumento delle retribuzioni. Un giro in direzione contraria.
I protagonisti del ritorno della concertazione in Spagna sono quattro. La ministra Yolanda Díaz, 51 anni, galiziana, giuslavorista formata negli studi, nella professione e nella politica a Santiago di Campostela, in rappresentanza del governo Sánchez, è riuscita a mettere allo stesso tavolo: il basco di Biscaglia Antonio Garamendi, 62 anni, presidente dal 2018 della Confindustria spagnola (Ceoe, Confederación española de organizaciones empresariales), erede tutt’altro che decaduto di illustre dinastia industriale, imprenditore nei settori metallurgico, immobiliare, assicurativo e alberghiero, fondatore dei giovani imprenditori baschi e poi guida di quelli nazionali, dell’associzione della piccola e media impresa, membro di diversi Cda e consulente di grandi imprese spagnole e internazionali; l’altro biscaglino Unai Sordo Calvo, 49 anni, segretario generale di Comisiones obrerars (CC.OO.), il sindacato di matrice comunista che diresse da trentenne nel Paese basco per poi divenire nel 2017 segretario nazionale; Pepe Álvarez, 64 anni, segretario generale della socialista Unión General de Trabajadores (Ugt), asturiano emigrato non ancora ventenne a Barcellona, diventato presto segretario dei metalmeccanici catalani dell’Unione e poi leader nazionale dal 2016.
Díaz, giuslavorista comunista di alta tradizione sindacale, diventata vicepresidente dell’esecutivo dopo il ritiro di Pablo Iglesias, si è dedicata all’impresa dall’inizio del suo mandato. Innanzitutto la concertazione come metodo. In due anni ha promosso e ottenuto la firma di ben sei accordi di settore e su questa interlocuzione ha costruito il tavolo esecutivo-parti sociali per la riforma che in nove mesi ha prodotto il testo, fatto proprio dal governo in un decreto varato alla fine di dicembre e convertito in legge dal Parlamento a metà febbraio.
Sindacati e padronale, con fratture in entrambi i campi, hanno voluto cogliere il ritorno della concertazione, essere nuovamente protagonisti di un processo da cui erano esclusi, gli interventi precedenti erano decisioni di esecutivi che legiferavano dopo consultazioni arbitrarie e non metodiche con le parti sociali: niente concertazione. Per i sindacati era l’opportunità di invertire una rotta ultradecennale e migliorare le condizioni del lavoro; per la padronale c’era l’esigenza di rimettere ordine in una regolazione che favoriva la concorrenza sleale e rendite di posizione a scapito di un’innovazione necessaria per competere nel mercato comune e su quelli globali; in entrambi i campi, come in quello politico e spesso per dinamiche parallele, si sono registrate divisioni e differenziazioni. Il percorso è stato complicato anche fra i soci del governo. La comunicazione diretta con Bruxelles, aggiornata per tutte le fasi dei lavori, è risultata fondamentale quando il Psoe ha tentato di sottrarre la pratica al ministero del Lavoro per metterla nelle mani dell’altra vicepresidente, la ministra dell’Economia Nadia Calviño. La Commissione europea è stata coinvolta in tutte le fasi di avanzamento del tavolo, affinché potesse verificarne i punti alla luce delle strategie economiche e occupazionali comunitarie e di obblighi e obiettivi dei finanziamenti. Il risultato è che la riforma “vale” dieci miliardi di rimesse Ue del Piano di resilienza spagnolo, che sarebbero saltati in caso di bocciatura. Diamo ora un’occhiata al testo, che può essere consultato in spagnolo qui, provando a farne una sommaria valutazione.

Le cose cambiano davvero (ma licenziare resta facile)
Il testo deroga solo in parte la riforma Rajoy. Un punto delle critiche “da sinistra” è fondato. Licenziare resta “facile”, ed economico. La contraddizione insita nel fatto che essere licenziati si possa presentare come un diritto, che questa legge recupera, spiega alcune differenza fra le sinistre e nei sindacati – da segnalare comunque che le sigle firmatarie rappresentano oltre il 70 per cento dei lavoratori del paese (l’80 in Catalogna) – anche se altre dinamiche, nazionaliste nel caso basco e catalano, spiegano alcuni no, è indubbio che non si torna a prima del 2012, non in Spagna né in Europa.
Ma si tenta di fare qualcosa di diverso, che pare necessario: cambiare un approccio quarantennale. La Reforma laboral è la prima regolazione europea del mercato del lavoro che, nelle mutate condizioni ed esigenze della produzione, cerca di migliorare le condizioni dei lavoratori, la sostenibilità sociale, assieme alla competitività del sistema produttivo, attraverso un accordo tra produttori, lavoratori e impresa.
Se licenziare è ancora facile e le indennità di prima non sono state recuperate, l’obiettivo di rendere il contratto di riferimento quello a tempo indeterminato (che nell’ultimo decennio è stato in media appena il dieci per cento dei nuovi contratti annui) e diminuire la precarietà è stato ricercato con impegno, anche in maniera innovativa. Ci sono avanzamenti che si traducono in immediati miglioramenti materiali salariali e contrattuali, strumenti per conciliare stagionalità e sicurezza dei lavoratori, regolazione del lavoro in appalto, drastica riduzione dei contratti precari, eliminati praticamente dalla pubblica amministrazione attraverso una legge “collaterale” alla Reforma che ha recentemente regolamentato il lavoro temporale nella PA.
Punto fondamentale è il ritorno della preminenza del contratto di settore in materia salariale. Le tante tipologie contrattuali vengono falciate e quello a tempo indeterminato diviene il contratto di riferimento. Quelli temporanei vengono limitati nel tempo e convertiti automaticamente in stabili dopo diciotto mesi. Si eliminano una gamma vastissima di contratti temporanei, nei quali si annidavano frodi e sfruttamento, e si limita la temporalità a circostanze produttive codificate e per sostituzioni temporanee con l’innesto di nuove tutele. Si penalizzano economicamente i contratti brevi e brevissimi, si mette ordine nel sistema del lavoro in appalto e interinale, agganciandolo al contratto di settore finale della prestazione d’opera. In concreto, chi riordina le camere degli alberghi dovrà avere tutele e remunerazioni del contratto di settore di riferimento, turismo alberghiero, non di altro tipo, misura che si dovrebbe tradurre in aumenti annui immediati in busta paga che variano dal 20 per cento, nel settore delle pulizie, al 60 per cento, in quelli metalmeccanico e dei trasporti.
Nel lavoro stagionale è stato tipizzando il “lavoro fisso-discontinuo”, un contratto per cui l’impresa si impegna a richiamare la stessa persona nella stagione successiva. I contratti temporanei sono consentiti anche per coprire assenze per malattia.

Governo scosso, coalizione incrinata, destre in guerra: l’orizzonte è stabile
Le traversie del testo lasciano il governo con l’agognato risultato in mano ma col trauma di essere arrivato a un passo dalla caduta. Una bocciatura avrebbe determinato le dimissioni di Díaz, minando la stabilità dell’esecutivo. La fiducia nella coalizione dell’investitura – i partiti che con voti favorevoli e astensioni consentirono il varo del governo social-comunista di minoranza – è a pezzi e, malgrado le rassicurazioni sul prosieguo della collaborazione parlamentare, la divisione su un provvedimento tanto importante per il governo lascerà degli strascichi e molti sono i temi aperti, a cominciare dal tavolo catalano. Chi si è differenziato col no, in particolare le sinistre nazionaliste basche e catalane, dovrà convincere i suoi elettori, magari iscritti ai sindacati firmatari, che dire sì a questi miglioramenti materiali e accettare il metodo della concertazione avrebbe significato rinunciare a ottenere di più in futuro. Ma per ora, tranne che alle destre, che hanno fallito nel tentativo e sono ora impegnate in uno scontro senza precedenti nel Partido popular, a nessuno conviene far cadere il governo. Il traguardo di fine legislatura è nelle mani di Pedro Sánchez e del suo impegno ad arrivare alla scadenza naturale del maggio 2023. Certo, il Psoe ha tentato di sottrarre la riforma a Díaz e poi continuato a frenare, anche limitando lo spazio di manovra della ministra nella ricerca di un’intesa nella maggioranza dell’investitura, mettendone a rischio l’approvazione e blindandolo solo quando si temeva il fallimento. Ma a tutti conviene continuare l’esistenza dell’esecutivo, almeno per ora.
C’è in gioco la riforma fiscale, provvedimento cruciale strettamente legato ai finanziamenti europei, e il tavolo catalano, che dovrà portare risultati da valutare anche nelle urne delle generali, alle quali si arriverà con importanti passaggi elettorali. Su tutti il rinnovo della Comunità dell’Andalusia, ex feudo socialista conquistato clamorosamente dalle destre e ora snodo critico, e cruciale, delle complicate relazioni tra Pp e Vox, come delle difficoltà a sinistra. I socialisti andalusi affrontano il passaggio incerto della desusanizzazione (il post-Susana Díaz, ex dominus del partito e pluri presidente della Comunità, prima mentore di Sánchez, “creato” come segretario di transizione, poi avversaria feroce, duramente sconfitta, quando questi decise di ribellarsi e di non togliersi di mezzo). La scissione degli Anticapitalistas andalusi, guidati da Teresa Rodríguez, ha frantumato Podemos. Mentre i pochi storici bastioni comunisti rimasti si riducono ulteriormente. E divisioni e difficoltà nel campo largo, anche nei contesti locali, si ripercuotono sul piano nazionale e diventano ostacoli per gli impegni del governo nazionale, nel tentativo di riconquistare alle sinistre l’Andalusia, e sul cammino di Yolanda Díaz.
A Sánchez, ormai padrone del partito, serve stabilità per muovere il paese nello scenario internazionale in una fase cruciale. La questione energetica, con la crisi algerina e un progetto strategico: la trasformazione della Spagna in hub europeo del gas – che spiega anche l’avvicinamento agli Usa di Biden, nell’incertezza europea sulla crisi ucraina, col simbolico impegno militare di Madrid al fianco degli Usa. L’America latina, con l’evoluzione del quadro politico in atto nelle democrazie continentali, la sempiterna crisi venezuelana e Cuba, su cui Biden vuole aprire e Sánchez approfittare delle possibilità potenziali, oltre all’apertura di un possibile fronte messicano, con dure dichiarazioni del presidente López Obrador sugli investimenti spagnoli nella federazione che fanno presagire una crisi nelle relazioni economiche tra i due paesi.
Yolanda Díaz, donna emergente della politica spagnola – a destra un’altra donna, Isabel Ayuso, cerca una leadership che determina una brutale lotta di potere nel Pp – deve ora lavorare all’applicazione della riforma, mentre porta avanti il suo progetto di ricomposizione della sinistra a sinistra del Psoe. Per la giuslavorista comunista sarà una missione quasi impossibile ma non una camminata nel deserto. Come con la Ley laboral, qualcosa si muove nella socialdemocrazia europea. E fa politiche laburiste.

SCHEDA LEY LABORAL
MAI PIÙ OBRA Y SERVIZIO
Viene eliminato il principale contratto temporale, per obra y servicio, formula che legava l’assunzione a un compito o servizio concreto nell’impresa senza specificarne la durata temporale. Un tempo indeterminato surrettizio, economico per l’impresa che risparmiava costi di licenziamento e spese previdenziali, la tipologia contrattuale che nascondeva il maggior numero di frodi secondo i risultati dei controlli dell’ispettorato del lavoro – impegnato in successive campagne di verifica che hanno fornito anche conoscenza di meccanismi reali e dati, applicati nella scrittura del testo della riforma.
ABBATTERE LA GIUNGLA CONTRATTUALE
Le categorie sono ridotte a due: strutturali e temporanei di formazione, che possono essere di alternanza, con lavoro o formazione, o di apprendistato e formazione professionale in azienda e sono rigidamente definiti (vedi sotto). I contratti temporanei strutturali sono utilizzabili solo in settori e casi determinati, come picchi imprevisti della domanda, per un tempo massimo definito nel contratto di settore; riguardano prevedibili e limitati incrementi del lavoro, come il periodo natalizio e le campagne di raccolta agricole, per un massimo di 90 giorni non consecutivi. I rapporti di lavoro non potranno durare più di sei mesi. Nel settore specifico della costruzione, terminata l’opera l’impresa deve offrire una ricollocazione al lavoratore oppure cessare il contratto con un indennizzo del 7% calcolato sul contratto nazionale.
CONTRATTI TEMPORANEI (QUASI) SOLO PER PICCHI IMPREVISTI O SOSTITUZIONI MALATTIA
Sono possibili contratti temporanei solo per situazioni impreviste, come sostituzioni per malattia o temporanei squilibri del mercato del lavoro (mancanza di personale qualificato momentaneamente sostituito da non specializzato), per non più di sei mesi rinnovabili solo una volta. In situazioni definite “prevedibili e delimitate”, cioè nella corrente gestione dei flussi commerciali o produttivi, possono essere utilizzati dalle imprese solo per un massimo di novanta giorni non continuativi all’anno.
CONVERSIONE AUTOMATICA DA PRECARI A STABILI
I contratti considerati fraudolenti, per denuncia del lavoratore o per verifica dell’ispettorato del lavoro, e tutti quelli che si protraggono oltre i 18 mesi anche non continuativi in due anni (numerosissimi contratti in essere al momento della riforma) vengono automaticamente convertiti in contratti a tempo indeterminato, anche con l’offerta di un posto di lavoro differente nella stessa impresa o gruppo.
SANZIONI CON DETERRENZA REALE
Le sanzioni pecuniarie per le infrazioni contrattuali da parte dell’impresa crescono, da otto a diecimila euro, ma soprattutto verranno applicate per ogni lavoratore indebitamente contrattualizzato, prima la multa era unica, indipendentemente dal numero di lavoratori coinvolti.
PENALIZZAZIONE DEI CONTRATTI-SPAZZATURA
I contratti inferiori a un mese, quindi anche i numerosi contratti-express, relativi addirittura a un unico turno di lavoro, costeranno cari all’impresa: 26 euro per ogni estinzione da versare alla previdenza sociale.
IL CONTRATTO FISSO DISCONTINUO
Un apparente ossimoro, applicato a servizi per la scuola, turismo e agricoltura. Introduce non solo l’impegno dell’azienda a riassumere nella stagione successiva, per periodi e salari certi e corrispondenti, o a licenziare indennizzando nel caso non voglia o possa farlo, soprattutto conteggia ai fini dell’anzianità lavorativa, e dei conseguenti adeguamenti di stipendio, l’intero periodo inter-stagionale, non solo il tempo di servizio effettivamente prestato.
FORMAZIONE SOLO PER DAVVERO
Due sole modalità per i contratti di formazione: quello in alternanza formativa e quello di formazione lavoro con abilitazione professionale.
Il primo è pensato soprattutto per l’alternanza scolastica, si può accedere entro i 30 anni di età ed è rigidamente regolamentato: ha una durata massima di due anni (minimo tre mesi), con giornata lavorativa di non più del 65 per cento delle ore contrattuali per il primo anno e dell’85 per il secondo e una retribuzione che non potrà essere inferiore rispettivamente del 60 per cento il primo anno e del 75 il secondo.
Il contratto di formazione professionale deve essere tenuto in azienda e può essere durare da minimo sei a massimo dodici mesi. Si può accedere solo massimo entro 3 anni dalla conclusione degli studi (5 per i diversabili), può avere un periodo di prova di massimo un mese, obbliga l’impresa alla produzione di un piano formativo individuale, che specifichi il contenuto della formazione pratica, e all’affiancamento di un tutor; sono esclusi gli straordinari salvo che in caso di sinistri o danni imprevedibili e urgenti; la retribuzione sarà calcolata sul tempo effettivo di lavoro agganciato al salario del contratto di settore e in nessun caso potrà essere inferiore al salario minimo inter-professionale (recentemente aumentato, in una altra iniziativa legislativa collaterale al dialogo sulla Reforma laboral, da 965 a 996 euro lordi per 14 mensilità, con retroattività dall’1 gennaio e programmazione di crescita nel 2023 a 1.063 euro, il 60 per cento del salario medio); allo scadere del contratto il lavoratore ha diritto a una certificazione dell’avvenuta pratica.
STATI DI CRISI E PROTEZIONE DELL’OCCUPAZIONE
Il sistema degli Erte (Expediente de regulación temporal de empleo, Piano di regolazione temporanea dell’impiego), dedicato sinora alle singole imprese, viene sistematizzato e ampliato, divenendo una “rete strutturale” attivabile anche per crisi economiche generali e di settore.
Lo strumento era già stato rivisto profondamente dal governo per l’emergenza epidemica, trasformando quello che era un meccanismo di gestione del flusso di licenziamenti, pensato dal governo Rajoy per la recessione del 2008 – 2013, in un sistema di cassa integrazione straordinaria che ha consentito il mantenimento di due milioni e mezzo di posti di lavoro e consentito a migliaia di imprese di non chiudere sotto i colpi dell’epidemia, secondo i calcoli di governo e parti sociali, garantendo il 70% della retribuzione durante i mesi dello stato d’emergenza.
Gli Erte per cause economiche, tecniche, organizzative e di produzione consentono riduzioni dei versamenti previdenziali del 20 per cento per le imprese e altre facilitazioni, condizionati alla realizzazione di procedimenti di formazione per i lavoratori.
Poi vengono introdotti gli Erte per forza maggiore, previsti per decisione delle autorità di governo che, come nel caso del coronavirus, impongano limitazioni o impedimenti alle attività, in cui oneri previdenziali sono ridotti sino al 90 per cento, e la giornata lavorativa tra il 10 e il 70 per cento.
Gli Erte divengono infine meccanismi di rete per crisi economiche o settoriali ampie. Le imprese potranno attivarli, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, per massimo un anno, con esoneri decrescenti nella contribuzione dal 60 al 20 per cento o, in caso di ristrutturazione di settore, per un lasso da sei mesi a un anno con esonero del 40 per cento.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!