Qualche giorno fa in Ohio, dove vivono circa 80.000 ucraino-americani, il senatore repubblicano in carica Rob Portman stava facendo campagna elettorale in vista delle elezioni di metà mandato. Portman non sarà candidato alla propria successione ma sostiene la repubblicana Jane Timken. Nel tentativo di esprimere la propria posizione rispetto alla crisi, Portman aveva definito le (allora) provocazioni del presidente russo Vladimir Putin come una “chiara violazione del diritto internazionale”.
Portman aveva quindi esortato l’amministrazione Biden a lavorare con gli alleati per “assicurare una risposta coordinata a questa continua incursione ingiustificata sul territorio sovrano dell’Ucraina”. Alla voce di Portman si era unita quella di Timken che chiedeva sanzioni più dure, dicendo che “America First significa pace attraverso la forza“, come “il presidente Trump ha dimostrato per quattro anni”.
Alle parole di Portman e Timken, impegnata per le primarie, si sono però opposti i suoi avversari alle primarie repubblicane, Josh Mandel e J. D. Vance. “Devo essere onesto con voi”, ha detto Vance in un’intervista su un podcast,
non mi interessa molto cosa succede all’Ucraina in un modo o nell’altro, sono stufo che Joe Biden si concentri sul confine di un paese di cui non mi importa, mentre lascia che il confine del suo stesso paese diventi una zona di guerra totale.
A molti Vance non dirà nulla. Però in realtà si tratta di una personalità di rilievo. È infatti l’autore del fortunato e pluripremiato best seller Hillbilly Elegy: A Memoir of a Family and Culture in Crisis, da cui è stato poi anche tratto un film con Glenn Close. Il libro era stato anche citato nel 2016 da Hillary Clinton e dal mondo liberal americano, perché la diagnosi di Vance sulla disillusione dei bianchi rurali americani – nei confronti del governo e della società che li aveva lasciati indietro – sembrava in qualche modo spiegare il successo di Donald Trump.
Un racconto che forse piaceva anche per il carattere auto-consolatorio che Vance offriva ai dem. Perché, scriveva,
la politica pubblica può aiutare ma non c’è nessun governo che possa risolvere questi problemi per noi, dobbiamo smettere di incolpare Obama o Bush o aziende senza volto e chiediamoci cosa possiamo fare per migliorare le cose.
Ne concludeva che ciò che gli hillbillies – i montanari – dovevano fare, era lavorare sodo e magari fare un periodo nell’esercito. E magari sarebbero finiti come Vance, cresciuto in queste regioni, alla Yale Law School. Vance è stato per lungo tempo “coccolato” da media e dem. Nel 2016, in un’intervista con Charlie Rose, si dichiarò un “Never Trump”. Molti si ricordano un suo tweet dell’ottobre 2016, nel quale riferendosi a Trump scrisse ”Mio Dio che idiota”.
Vance ha poi cambiato idea, si è buttato in politica ed è diventato uno strenuo difensore di Trump.
Quello che accade però in Ohio è indicativo delle divisioni in generale che vi sono nel Partito repubblicano sulla politica estera. Tra il “vecchio” Partito repubblicano e il “nuovo” Partito repubblicano trumpiano. Tra il vecchio partito che mette in guardia dall’aggressione russa e la generazione nuova dei conservatori che mette in discussione la presenza internazionale degli Stati Uniti. E soprattutto l’atteggiamento da falchi neocon che ha caratterizzato il partito nel passato. Una cacofonia che si era già presentata durante il caotico ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan e durante l’invasione della Crimea da parte di Putin quando Barack Obama era presidente nel 2014.
Mentre il vecchio partito si oppone duramente alla Russia, il nuovo la pensa diversamente. Il primo è il partito che ha conservato la memoria dell’opposizione reaganiana all’Unione sovietica. È il partito che nel 2012, con Mitt Romney, dichiarava che la Russia era il principale nemico geopolitico degli Stati Uniti. Sono quelli che sostengono le basi americane all’estero, i programmi di assistenza all’estero, un forte esercito americano e l’idea che gli Stati Uniti siano a capo di un ordine di partnership all’estero guidato dagli americani.
Anche se nel vecchio partito c’è una componente libertaria che è non interventista, è la componente non interventista di carattere populista – con un certo fascino per l’autoritarismo – che sta diventando preponderante. Come sempre nella storia recente del Partito repubblicano, si tratta di tendenze che sono sempre esistite. Ma non hanno mai assunto posizioni di rilievo. Poi è arrivato Trump.

Molti repubblicani si sono in effetti opposti alle azioni di Putin in Ucraina e hanno chiesto sanzioni rapide e severe. Il senatore dell’Arkansas Tom Cotton, che ambisce a essere il candidato repubblicano nel 2024, ha criticato l’amministrazione Biden per aver aspettato troppo a imporre sanzioni. Anche il leader della maggioranza al Senato Mitch McConnell ha chiesto sanzioni più rapide e più ampie e ha sollecitato l’arresto della costruzione del gasdotto Nord Stream 2 tra la Russia e la Germania. Il potente senatore del South Carolina, Lindsey Graham, ha indicato inoltre che la stragrande maggioranza del partito sostiene questa linea dura nei confronti di Putin. Per il senatore del South Dakota Mike Rounds, membro della commissione esteri del Senato, “la Russia è l’aggressore e l’Ucraina ha tutto il diritto, come nazione sovrana, di far rispettare i propri confini.”
Altri come il senatore repubblicano Ted Cruz avevano qualche settimana fa tentato di forzare un voto al Senato per sanzionare il gasdotto Nord Stream 2, dopo che l’anno scorso Biden aveva deciso di rinunciare alle sanzioni sul gasdotto, come parte di un tentativo di riparare le relazioni con la Germania che si erano erose sotto la presidenza Trump. La proposta di Cruz però non è andata a buon fine perché non è riuscita a superare la soglia dei 60 voti richiesta al Senato per aggirare l’ostruzionismo.
Altri repubblicani hanno avuto invece posizioni più ambigue, più interessati ad attaccare Biden in un campo quello della politica estera che è sempre meno bipartisan. Altri allineati con Trump hanno adottato invece una visione molto meno ostile nei confronti del leader russo e sono stati più cauti su qualsiasi azione militare degli Stati Uniti in Europa.
Tra gli ambigui, ad esempio, c’è Mike Pompeo, l’ex segretario di stato ed ex direttore della CIA nell’amministrazione Trump. E con uno sguardo al 2024. Pompeo ha detto a Fox News Sunday il mese scorso che Putin è uno “statista di grande talento”, “ha un sacco di doni”, “sa come usare il potere, “dovremmo rispettarlo”. Qualche giorno fa invece ha cambiato idea. In un tweet, l’ex segretario di stato ha dichiarato che “Vladimir Putin è l’aggressore, gli ucraini sono le vittime”. In breve la responsabilità è dell’amministrazione Biden, perché l’approccio di Trump alla Russia ha sostanzialmente funzionato.
Anche l’ex ambasciatrice alle Nazioni Unite Nikki Haley, una possibile concorrente presidenziale del 2024, ha attaccato l’amministrazione Biden, criticando l’aggressione russa, ma senza alcun cenno a Trump. Kevin McCarthy , il leader invece della minoranza repubblicana alla Camera – e probabile prossimo Speaker della Camera, se i repubblicani dovessero vincere le elezioni di metà mandato – ha criticato la “triste” scelta di Biden per “la pacificazione” con la Russia, a scapito di “un’azione forte”.
E poi ci sono quei repubblicani che si oppongono attivamente a qualsiasi coinvolgimento degli Stati Uniti nella regione, mentre attaccano Biden. Questi sostengono che l’espansione della Nato sia un errore e che il presidente dovrebbe invece concentrarsi sul contrasto alla Cina e sulla sicurezza del confine meridionale dell’America. Uno di questi è il senatore del Missouri Josh Hawley, lo stesso che si oppose alla certificazione del voto del collegio elettorale che “incoronava” Biden. Hawley era anche tra la dozzina di repubblicani del Senato che non hanno firmato la dichiarazione rilasciata la scorsa settimana che delineava la posizione del Partito repubblicano su ciò che sarebbe dovuto accadere qualora Putin avesse invaso l’Ucraina.
Considerazioni quelle di Hawley condivise dall’ex consigliere di Trump Steve Bannon. Per Bannon il trumpismo deve concentrarsi sulla difesa del confine meridionale dall’immigrazione e sul contrasto della Cina. Bannon ha soprattutto chiarito che la sua posizione
“[…] non è una scissione a destra. Vi mostra che cosa è la nuova destra, o il nuovo partito repubblicano, contro i neocon che sono ancora lì. Non abbiamo alcun interesse, nessuno nel movimento di Trump ha alcun interesse nelle province russofone dell’Ucraina orientale. Zero.”
Candace Owens, una commentatrice conservatrice molto importante del mondo trumpiano, è andata anche oltre:
Suggerisco ad ogni americano che vuole sapere cosa sta realmente succedendo in Russia e Ucraina, di leggere la trascrizione del discorso di Putin. Come ho detto per un mese – la Nato (sotto la direzione degli Stati Uniti) sta violando gli accordi precedenti e si sta espandendo verso est. Noi siamo in difetto.
Poi è arrivato Tucker Carlson, figura di punta di Fox News. Il suo show riunisce milioni di ascoltatori. E il suo messaggio è particolarmente forte con la base repubblicana, in particolare quella trumpiana. Carlson in prima serata ha giustificato l’aggressione russa all’Ucraina, minimizzando la rilevanza per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Carlson ha anche difeso l’aumento delle truppe di Mosca lungo il confine con l’Ucraina, ritenedola una misura sensata di Putin. Ha anche attaccato i repubblicani che stanno spingendo per una risposta più forte all’aggressione di Mosca – come la senatrice Joni Ernst dell’Iowa e il senatore Jim Risch dell’Idaho – definiti “ignoranti”, “idioti mascherati da senatori” e “pomposi buffoni neocon”.

E poi c’è l’ex presidente Donald Trump che ha vinto nel 2016 anche con il suo appello contro le “guerre eterne” in Iraq e Afghanistan, sostenendo che il paese aveva guadagnato poco dall’interventismo e dal nation-building dell’era dei neocon di George W. Bush. Allo stesso tempo, ha però avuto sempre parole di lode per Putin e denigrato la Nato. In un’intervista radiofonica al The Clay Travis & Buck Sexton Show, dopo il discorso di Putin che esponeva la sua “giustificazione” della guerra, Trump ha lodato il presidente russo definendolo come “astuto” e “intelligente”:
Ho detto: ‘Questo è geniale’. Putin dichiara una grande porzione dell’Ucraina. Putin la dichiara indipendente. Oh, questo è meraviglioso. Così Putin ora sta dicendo che è indipendente, una grande sezione dell’Ucraina. Ho detto, ‘Quanto è intelligente? E ci entra come peacekeeper. […] Putin vede questa opportunità. Sapevo che ha sempre voluto l’Ucraina. Ne parlavo con lui. Gli dicevo: ‘Non puoi farlo, non lo farai’. Ma potevo vedere che lo voleva. … Dicono, ‘Oh, Trump è stato gentile con la Russia’. Non sono stato gentile con la Russia.
Su Politico sono state riportate le dichiarazioni che Trump avrebbe fatto a un proprio consigliere. Secondo Trump, Putin dovrebbe essere in grado di prendere l’Ucraina e che vede le attuali azioni del leader russo come un tentativo di schiacciare Biden. In particolare Trump ha detto che Putin ha valutato Biden e ha deciso che non era abbastanza forte per fermare la Russia, aggiungendo che soltanto lui è in grado di trovare la soluzione.
Trump è noto per non essere un sostenitore della Nato. Durante la sua prima campagna presidenziale e la sua presidenza, Trump ha criticato l’alleanza e i paesi alleati perché, diceva, non pagavano la “giusta” quota quando si trattava di difesa comune. Ma la sua relazione con l’Ucraina è anche più ambigua.
Nel rapporto di Robert Mueller sull’indagine sull’interferenza russa nelle elezioni presidenziali americane del 2016, si parla chiaramente del ruolo di Paul Manafort, il manager della campagna elettorale di Trump, nel far passare all’interno del Partito repubblicano una posizione più morbida verso la Russia in relazione all’Ucraina. Secondo l’indagine, nel 2016
[…] Paul Manafort ha incontrato a New York City il suo socio d’affari di lunga data Konstantin Kilimnik, che l’FBI ritiene abbia legami con l’intelligence russa. Kilimnik ha richiesto l’incontro per consegnare di persona un piano di pace per l’Ucraina che Manafort ha riconosciuto essere una “backdoor” per la Russia per controllare parte dell’Ucraina orientale.
L’indagine non è riuscita a stabilire se gli sforzi di Manafort – che aveva precedentemente lavorato per un oligarca russo e per il Partito delle regioni ucraino, partito politico filorusso – per diluire la piattaforma del Partito repubblicano sulla fornitura di assistenza all’Ucraina siano stati intrapresi per volere del candidato Trump. Sta di fatto però che funzionari della campagna di Trump hanno incontrato l’ambasciatore russo Sergey Kislyak durante la settimana della Convention nazionale repubblicana e che, durante le riunioni del comitato che si occupava del programma repubblicano, J.D. Gordon, un consigliere senior della campagna di Trump, ha diluito una proposta di emendamento che esprimeva il sostegno alla fornitura di assistenza “letale” all’Ucraina in risposta all’aggressione russa. Gordon aveva richiesto di rivedere l’emendamento proposto per dichiarare che solo l’assistenza “appropriata” dovesse essere fornita all’Ucraina, a causa della posizione di Trump secondo il quale erano gli europei a doversi assumere la responsabilità primaria per qualsiasi assistenza all’Ucraina.
L’Ucraina ritorna poi nel mirino di Trump nel 2019. Attraverso il suo avvocato personale – l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani – e il ministro della giustizia – William Barr – furono esercitate pressioni per sostenere alcune teorie del complotto riguardanti Joe Biden, allora potenziale candidato presidenziale del Partito democratico. In particolare fu bloccato il pagamento di un pacchetto di aiuti militari da 400 milioni di dollari all’Ucraina. Trump sbloccò gli aiuti solo dopo essere venuto a conoscenza di una denuncia di un whistleblower sulle sue attività. Nella trascrizione non verbale della telefonata tra Trump e il presidente ucraino Vladimir Zelensky, Trump aveva richiesto indagini su Joe Biden e suo figlio Hunter Biden e sostegno nella confermare la teoria trumpiana che dietro le interferenze elettorali della Russia del 2016 c’erano in realtà gli ucraini che avevano incastrato la Russia. In quest’ultimo caso vale la pena ricordare che nel tentativo di screditare il Russiagate, il ministro della giustizia Barr incontrò in maniera del tutto inusuale i capi dei servizi segreti italiani, con l’autorizzazione dell’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte.
Sull’abuso di potere di Trump e di ostruzione al Congresso, è stata poi avviata la prima procedura d’impeachment di Trump.


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