Finlandizzazione dell’Ucraina, la sua trasformazione in stato cuscinetto, l’accettazione della sovranità limitata di una democrazia. Addirittura il sollievo per un negoziato mentre le forze armate russe sono a Kiev. Più una resa incondizionata che un negoziato. E che avrebbe un prezzo pesante in termini di libertà e d’integrità territoriale per l’Ucraina. Eppure anche a sinistra si utilizza con grande facilità il termine “finlandizzazione“, come se fosse un termine positivo. Che nasce però negli anni Sessanta nella Repubblica federale tedesca (Finnlandisierung) per riferirsi alla situazione della Finlandia. E non vuol essere un termine positivo, anche perché nasce come critica dei cristiano-democratici tedeschi verso l’Ostpolitik di Willy Brandt.
La “finlandizzazione” era semplicemente il riconoscimento di una “neutralità” condizionata dalla minaccia dell’Unione sovietica. Senza occupazione sovietica, senza colpo di stato comunista e senza abolizione delle istituzioni democratiche. A scapito di una certa dipendenza da Mosca. Una sovranità limitata che, se certamente non ha impedito lo sviluppo del paese, ha avuto qualche conseguenza. Non solo di presenza attiva dell’Unione sovietica nelle vicende di politica interna finlandese per tutto il periodo della Guerra Fredda. Ma anche di limitazione della libertà di espressione e di parola.

Negli anni immediatamente successivi alla guerra, i sovietici “richiesero” infatti che le biblioteche pubbliche finlandesi rimuovessero dalla circolazione più di 1.700 libri ritenuti anti-sovietici, e le librerie ricevettero cataloghi di libri proibiti. E dove non intervenivano i sovietici, era l’autocensura finlandese a intervenire. Un’autocensura che aveva anche una base legale poiché nel 1948 fu aggiunto un paragrafo al codice penale che introduceva il reato di denigrazione pubblica e deliberata di uno stato straniero “per mezzo di stampati, scritti, rappresentazioni pittoriche o altri mezzi di espressione”. E si poteva essere condannati a un massimo di due anni di prigione. Arcipelago Gulag del premio Nobel Alexander Solzhenitsyn dovette essere pubblicato in finlandese nel 1974 a Stoccolma. E le conseguenze della censura e dell’autocensura sono ancora presenti nella cultura del paese.
Una soluzione quella della finlandizzazione che non dispiace a molti. Articolo21 ad esempio sostiene che
[…] una soluzione politica della crisi esisterebbe: si chiama neutralità dell’Ucraina. La storia della “guerra fredda” ci offre anche un modello, quello della “finlandizzazione”. La Finlandia, una nazione dell’Europa settentrionale confinante con la Russia, un tempo parte dell’Impero zarista, all’epoca dell’Unione Sovietica era un paese indipendente anche se molto condizionato dagli interessi del potentissimo vicino.
Una soluzione di Realpolitik che evita di affrontare il problema principale. All’Ucraina, una democrazia con molti problemi da risolvere, non c’è dubbio, sarà negata la possibilità di decidere liberamente del proprio futuro. E non siamo più in un quadro da Guerra Fredda, dove la minaccia nucleare era incombente. È la nostra tranquillità di europei che è in gioco. E la nostra accessibilità alle risorse russe.
Quindi per una questione geografica e di rapporti di forza, si asseconda l’idea che l’uso della violenza contro una democrazia sia giustificabile per la tranquillità dei più. Dopo avere invaso un paese, questa potenza deciderà il destino di un altro paese che dovrebbe essere libero di fare le scelte che ritiene opportune. Anche di richiedere l’adesione alla Nato e all’Unione europea. Non spetta ad altri decidere quali richieste un paese democratico può fare. Nelle democrazie rappresentative sono gli eletti, liberamente votati e senza costrizioni, che decidono. Non un regime autoritario vicino. E poi sarebbe spettato ad altri approvare o, più probabilmente, respingere quelle richieste. Nel rispetto di procedure interne che queste organizzazioni internazionali e sovranazionali si sono date. Non sotto la minaccia dell’uso della forza.
La finlandizzazione è la negazione della democrazia. È la vittoria della ragione del più forte, che priva un paese democratico di decidere per se stesso.
Tra i sostenitori della finlandizzazione ci sono sia la destra, sia la sinistra. Stupisce soprattutto che venga dalla sinistra che ha fatto del richiamo al rispetto dei diritti umani e delle regole democratiche di base un principio cardine. Che suona però oggi più come uno slogan. Perché la sovranità limitata di un paese per ragioni di Realpolitik non rispetta alcun diritto del paese che quella scelta la subisce, soprattutto quando le forze militari di un altro paese ne occupano la capitale e altre città.
Da dove nasce però questa posizione? In certi casi vi sono posizioni coerenti e votate alla realizzazione della pace universale che meritano rispetto. In parte però queste posizioni nascono dall’anti-americanismo.
C’è di fondo una posizionamento contro gli Stati Uniti, che si è visto anche nelle prime ore dell’invasione russa dell’Ucraina, quando si evitava di citare la stessa invasione russa, preferendo lanciare appelli generali per la pace. In altri casi si faceva seguire alla condanna dell’invasione russa il “sì ma… la Nato, sì ma… l’Ucraina”. La musica di sottofondo è che i governanti ucraini – nazisti, ovviamente, a testimonianza del successo anche nei paesi occidentali della macchina da propaganda russa – se la siano cercata.

Ed è qua che compare l’anti-americanismo. Che è composito e va da coloro che rifiutano la cultura di massa americana per una sorta di élitismo quasi anti-democratico, a coloro che lo sostengono per eredità culturale, leggi l’influenza del comunismo nell’Europa occidentale. Un anti-americanismo che ha il sostegno di coloro che vedono nella Russia il paese che difende la tradizione e la morale “naturale” di fronte all’espansione del progressismo sociale occidentale, come Putin stesso ha dichiarato. E c’è poi un anti-americanismo di risentimento degli europei verso il ruolo degli Stati Uniti nel mondo, al percepirsi vittime di un ordine globale economico internazionale che li danneggia. E forse sarebbe necessaria in questo caso una lettura più complessa dei processi di globalizzazione, che ne eviti la demonizzazione, e che consenta di comprendere quello che ha significato in termini di sviluppo di altri paesi. Certo a scapito della posizioni di forza dei paesi occidentali, europei in particolare, cresciuti sotto l’ombrello atomico della protezione americana.
Intendiamoci. È lecito e legittimo sostenere la necessità di rivedere l’ordine economico e politico internazionale. È lecito chiedersi se la Nato sia utile oppure no. Però davvero si vuole rispondere all’invasione di una democrazia da parte di un regime autocratico con la proposta di uno stato cuscinetto o di uno stato de-militarizzato (mentre la Russia riconosce due territori secessionisti)?
Nel tentativo di contestare l’ordine globale internazionale occidentale, non c’è alcuna considerazione relativa ai paesi che quell’ordine lo contestano: Russia e Cina. Tanto da proporre con disinvoltura la finlandizzazione di un paese. E viene da chiedersi se non lo si contesti per una convinzione nelle “magnifiche sorti e progressive” oppure per malafede. Come se chi esercitasse quella minaccia – la Russia – in fondo non fosse molto diverso dagli Stati Uniti o dagli altri paesi europei. Che i paesi occidentali siano democrazie, poco conta. Sono sempre corrotte oppure non vivono all’altezza dei valori che proclamano. Però, come sosteneva Robert Dahl, il principio democratico fondamentale è che, quando si tratta di decisioni collettive vincolanti, ogni persona in una comunità politica ha diritto a che i suoi interessi siano presi in uguale considerazione. Anche se non tutte saranno necessariamente soddisfatte dalla decisione collettiva.
Non solo quei paesi che contestano un ordine globale iniquo, soprattutto in termini di rapporti di forza, quelle decisioni collettive non le consentono. Ma qualcuno vorrebbe che, per la nostra tranquillità o per vetusto antiamericanismo, una comunità politica dove oggi tutti hanno diritto a che i loro interessi siano presi in uguale considerazione – l’Ucraina – fosse nei fatti limitata.
Quello in atto però non è il risultato di qualche atto ostile degli Stati Uniti e della Nato. È un atto di revisionismo da parte di un governo che, con altri regimi, contesta la democrazia – piena di limiti – opponendovi un modello autocratico.

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