#Ucraina. Bagliori di Kiev su Parigi

L’invasione russa azzoppa gli avversari filo-Putin di Macron. A poco più di un mese dal voto, il presidente in carica ha i mezzi per fare una corsa in solitaria.
MATTEO ANGELI
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L’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina mette a tacere una campagna elettorale francese peraltro già afona. È la prima volta nella storia che una crisi internazionale di tale portata irrompe a poco più di un mese dal primo turno, che si terrà il 10 aprile. È un salto nel vuoto, col presidente in carica Emmanuel Macron in prima linea a gestire l’emergenza e gli sfidanti a fare da spettatori. L’inquilino dell’Eliseo non ha ancora ufficializzato la sua candidatura – ha fino al 4 marzo per farlo. In questo lasso di tempo sarà intento a gestire un conflitto che lui stesso ha definito “una svolta nella storia dell’Europa e della Francia”. 

Secondo un sondaggio pubblicato da BFMTV il giorno prima dello scoppio della guerra, Macron sarebbe ampiamente in testa nelle intenzioni di voto, con il 24,5 per cento. Seguono i leader delle due anime dell’estrema destra, Marine Le Pen, al 18 per cento, ed Éric Zemmour, al 13,5. Completano il drappello dei candidati a doppia cifra, la candidata del centro-destra, Valérie Pécresse, in caduta libera e ormai all’11,5 per cento, e Jean-Luc Mélénchon, esponente della sinistra-sinistra, all’11 per cento – unico leader di questo schieramento sopra la soglia del 10 per cento. 

Le intenzioni di voto al primo turno delle elezioni presidenziali francesi, secondo il sondaggio pubblicato da BFMTV

La guerra segna una cesura nella campagna. I temi che prima venivano sventolati in maniera scomposta, un po’ a mo’ di cataloghi – dall’innalzamento del salario minimo alla lotta contro le derive identitarie – evaporano sullo sfondo di un conflitto che distingue solo tra chi è dalla parte giusta della Storia e chi invece da quella sbagliata.

Le Pen, Zemmour, Mélenchon e Pécresse. In passato, tutti e quattro i principali inseguitori di Macron hanno adottato, in maniera diversa, posture che si potrebbero definire pro-Cremlino. È un dato politico fortissimo, che resta, scavato nella pietra, anche se ora i quattro si affannano in giravolte e capriole retoriche, che per dirla tutta, hanno più il sapore di veri testacoda. 

Questo è particolarmente flagrante nel caso di Marine Le Pen ed Éric Zemmour. I due sono noti per essere due grandi ammiratori di Vladimir Putin. Nessuno ha dimenticato, ad esempio, che in occasione delle precedenti elezioni presidenziali, nel marzo 2017, Marine Le Pen si recò a Mosca per ricevere la benedizione di Putin, vantando peraltro “un punto di vista sull’Ucraina che coincide con quello del leader russo”. E che dire di Zemmour che nel settembre 2018 “sognava un Putin francese” o che nel 2020 vedeva in Putin “un alleato più affidabile di Stati Uniti, Germania o Gran Bretagna”? 

Sono mesi che Le Pen e Zemmour minimizzano le minaccia russa nei confronti dell’Ucraina. In maniera odiosa, hanno fatto da megafono alla propaganda del Cremlino.

L’Ucraina è appartenuta alla Russia per mille anni. Se non guardi alla prospettiva storica, non capisci niente. Nel 1989 cadde il muro di Berlino, crollò l’URSS. All’epoca Gorbačëv, il primo segretario dell’Unione Sovietica, aveva ottenuto dagli americani la promessa che le truppe della NATO non sarebbero mai arrivate al confine russo. Questo è esattamente ciò che sta accadendo. Gli americani hanno infranto la parola data. Hanno inserito i paesi dell’est nella NATO e ora stanno avanzando verso il confine russo.

adduceva in dicembre Zemmour, comparando l’estensione dell’Alleanza atlantica a un’annessione territoriale. L’ex editorialista di Le Figaro, si è spinto fino a dire, nel giugno 2021, che “bisogna smettere di considerare Putin l’aggressore! È lui l’aggredito. Evidentemente lui dopo si difende”.

Il volto di “Reconquête!” ha fatto pure una scommessa: “Il problema dell’Ucraina non è la Russia che minaccia un’invasione. Non ci credo. Scommetto che la Russia non invaderà l’Ucraina”. Malafede o incapacità d’analisi, di fronte alla realtà dei fatti giovedì il candidato di estrema destra non ha potuto che unirsi al coro, unisono, di coloro che condannavano “senza riserve” l’ “ingiustificabile” intervento militare russo.

Anche Le Pen ha dato prova di pessime capacità di giudizio. Ancora il 7 febbraio, assicurava su Franceinfo:

Non ci credo per niente [a una possibile invasione]. Non vedo cosa farebbero i russi in Ucraina”. Anche lei ripeteva elementi propri alla retorica del Cremlino, affermando “gli Stati Uniti vogliono fare entrare a tutti costi l’Ucraina nella NATO, quindi stiamo creando un conflitto che non ha ragione d’essere. 

Dopo che Putin ha aperto il fuoco in nome della “denazificazione dell’Ucraina”, a Le Pen non è restata che l’opzione di chiedere “la cessazione immediata delle operazioni militari russe in Ucraina”. Troppo poco, troppo tardi per riconquistare anche solo un briciolo di credibilità. Ciò non le impedisce di continuare a cercare di posizionarsi, in maniera cinica, contro l’azione del presidente Macron, chiedendo un mero intervento diplomatico al posto delle sanzioni, che, a suo avviso, potrebbero comportare un calo del potere d’acquisto dei cittadini transalpini, a causa di un’eventuale esplosione di prezzi dell’energia, “che sarebbe un vero dramma per la popolazione francese”. 

Per Jean-Luc Mélénchon e Valérie Pécresse vale un discorso diverso. Il primo non ha mai applaudito Putin, ma ha comunque sempre adottato una posizione anti-NATO, che lo ha portato a dire, lunedì 21 febbraio, dopo che Putin aveva riconosciuto le due repubbliche separatiste del Donbass:

L’annessione dell’Ucraina alla NATO non tarderà… La Russia da parte sua non farà la guerra per l’Ucraina. Aspetterà che questa cada come un frutto maturo. 

Stessa griglia di lettura di Le Pen e Zemmour, che interpreta le aggressioni russe come la conseguenza di un succedersi di provocazioni da parte di Stati Uniti e Unione Europea. La guerra però ha colto di sorpresa il leader de la France Insoumise, che ora si giustifica dicendo:  “Non ho mai sostenuto Vladimir Putin, mai!”.

Resta Valérie Pécresse. Lei non ha mai flirtato con il Cremlino, ma deve fare i conti con una zavorra micidiale che infama la reputazione del suo partito, Les Républicains. Dopo esser stata nominata candidata della destra gollista, Pécresse dichiarò di aver chiamato subito due persone, l’ex presidente Nicolas Sarkozy e François Fillon, già primo ministro, che, in un mare di scandali, quattro anni fa condusse il partito alla disfatta. Fillon non ha perso il vizio per le figuracce. Membro nel consiglio d’amministrazione di due imprese petrolifere russe, Sibur et Zarubezhneft, quando la Russia ha cominciato a lanciare le bombe, il primo ministro ha sentito il bisogno di dire:

Da dieci anni, metto in guardia rispetto al rifiuto degli occidentali di prendere in conto le rivendicazioni russe sull’espansione della NATO. Questa attitudine ha condotto oggi a un confronto pericoloso che avrebbe potuto essere evitato. 

Vergogna per lui, bollato “fantoccio di Mosca”, ma anche per Pécresse e il suo partito. Di fronte alle pressioni, ieri Fillon s’è dimesso dai suoi mandati russi, ma la frittata è fatta e Pécresse dovrà sudare per recuperare il danno d’immagine. 

Il conflitto in Ucraina rimescola quindi le carte nella corsa all’Eliseo. Di fronte al ritorno della guerra in Europa, la questione della sicurezza, non solo dal punto di vista militare, ma anche economico, energetico – intesa come indipendenza dalla Russia e da altre dittature – torna prepotentemente sul tavolo.

Da questo punto di vista, Emmanuel Macron ha molte lunghezza di vantaggio su i suoi avversari. Lui per primo ha saputo costruire un progetto imperniato sulla “sovranità europea”, intesa anche come mezzo per far recuperare alla Francia l’antico splendore. L’autonomia strategica che il partito del presidente ha perseguito in Europa durante questo quinquennato è la via per rendere il nostro continente indipendente dai dittatori. Un percorso per ora solo abbozzato, ma che, in queste ore drammatiche, assume sempre più i contorni di destino, per un’Europa che ha più che mai chiaro che per sopravvivere deve restare unita. 

L’elezione presidenziale resta ciononostante piena d’incertezza. Come gli altri contendenti, anche Macron è obbligato a rivedere il proprio messaggio. Ancora non si sa quali saranno le conseguenze di questa crisi sulle aspettative della popolazione francese. Di certo, ci si attende una visione chiara per l’avvenire del paese. Per il momento, però, c’è soprattuto ancora tanta confusione. 

#Ucraina. Bagliori di Kiev su Parigi ultima modifica: 2022-02-26T20:26:26+01:00 da MATTEO ANGELI
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