Macron, da Icaro a Giove. Nonostante un quinquennio horribilis

Il presidente francese conclude il primo mandato forte del suo ruolo di leader in un’Europa sconvolta dalla guerra. Il conflitto però eclissa la campagna elettorale, ponendo un’ipoteca sulla legittimità del prossimo inquilino dell’Eliseo.
MATTEO ANGELI
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Sarebbe forse stato meglio posticipare il voto? La domanda riecheggia a vuoto il giorno dopo che il presidente in carica ha gettato il suo nome nella contesa elettorale. La sua volontà di fare un secondo mandato era un segreto di Pulcinella. La scelta di attendere fino alla scadenza per presentare le candidature resta, però, un atto deliberato per anestetizzare il più a lungo possibile il dibattito politico transalpino. Per restarne fuori, mentre i suoi avversari, a destra e a sinistra, si facevano la guerra tra loro, privati del contraddittorio col pezzo da novanta. 

Al di sopra di tutti, Macron oggi è quel Giove, il più grande di tutti gli dei, che aveva sperato di essere a inizio mandato. 

L’incipit, però, per dirla tutta, è stato piuttosto quello di un Icaro. 

Nel maggio 2017, a trentanove anni, il fenomeno Macron diventa il più giovane presidente nella storia della Repubblica francese. Rompe con la tradizione: rispetto ai suoi predecessori, non ha mai ricoperto prima una carica elettiva. Per mantenere le sue promesse rivoluzionarie, gli serve la maggioranza all’Assemblea nazionale, che ottiene facilmente. Non contento di aver saccheggiato il bacino elettorale e vari quadri del Partito socialista, che con François Hollande e Manuel Valls lo aveva portato nella stanza dei bottoni fino a nominarlo ministro, Macron fa infatti campagna acquisti anche a destra, scegliendo come primo ministro Édouard Philippe, braccio destro di Alain Juppé, peso massimo della destra gollista. Questa strategia gli garantisce il controllo del ramo basso del parlamento francese. 

Per un anno e mezzo, il giovane presidente fa quello che vuole. Riforma del lavoro, riforma della SNCF – la compagnia ferroviaria francese, la graduale soppressione della tassa di abitazione, la riforma dell’imposta sulle grandi fortune, una misura, quest’ultima, che gli vale il nomignolo di “presidente dei ricchi”. L’opposizione resta a bocca aperta, soprattutto a destra, dove si assiste impotenti a un presidente che mette in atto le misure che l’ex UMP diventato ora Républicains non era riuscito a prendere quando era al potere. 

Il ritratto ufficiale di Emmanuel Macron, venticinquesimo presidente della Repubblica francese.

Tuttavia, la luna di miele coi francesi s’interrompe bruscamente. La discesa agli inferi comincia col cosiddetto “affaire Benalla”, dal nome di Alexandre Benalla, una delle guardie del corpo di Macron. Benalla è stato ripreso il 1° maggio 2018 vestito senza autorizzazione da poliziotto, mentre malmenava due manifestanti di sinistra. Lo scandalo scoppia in luglio e getta un’ombra sulla credibilità del presidente. 

Qualche mese dopo, in autunno, è già la volta dei gilet gialli. La scintilla che fa scoppiare proteste di massa, in tutta la Francia, ogni sabato, è l’aumento del prezzo del carburante. Un pretesto per scagliarsi contro Macron e tutto quello che è supposto rappresentare. 

Per spegnere l’incendio, il presidente che si voleva Giove è obbligato a scendere rapidamente coi piedi per terra, e organizzare quello che chiama “il gran dibattito nazionale”. Si confronta con la gente negli auditori, incontra migliaia di sindaci, una centinaia di ore di discussione sono ritrasmesse alla televisione.

Macron-Icaro non si schianta al suolo, ma rinasce giusto in tempo per le elezioni europee, vero test sulla sua popolarità. Nel maggio 2019 il suo schieramento, la liste Renaissance (blocco centrista che mette insieme La République en marche, Modem, Mouvement radical e Agir) arriva secondo col 22,42 per cento dietro l’estrema destra di Marine Le Pen, che centra il 23,34 per cento. Una delusione, ma poteva andare peggio. Destra e sinistra tradizionali restano sotto il 10 per cento, segno che la ricomposizione del paesaggio politico profetizzata e poi attuata da Macron tiene. 

Il presidente riprende la sua corsa, con la riforma delle pensioni. L’obiettivo di Macron è di arrivare a un sistema universale, uniformando i quarantadue regimi pensionistici esistenti, frutto di concessioni clientelari che si sono accumulate negli anni. La risposta della piazza è durissima, parte una nuova ondata di scioperi, interrotti, insieme alla riforma, dallo scoppio della pandemia di coronavirus. 

“Siamo in guerra”, tuona allora Macron, che sceglie di ridurre ancora una volta la distanza che lo separa dai cittadini. La crisi sanitaria è scandita da nove allocuzioni solenni del presidente, che con fare parternalistico accompagna i francesi fuori dal lockdown e lancia una strategia vaccinale a tappeto. Macron s’impegna poi a garantirne la nuova libertà conquistata, con l’introduzione del pass sanitario e poi vaccinale. È conscio che la maggior parte della popolazione è favorevole al vaccino, al punto che questo gennaio si spinge fino a dire di voler “emmerder les non-vaccinés”, “far arrabbiare i non vaccinati”, limitandone fortemente le possibilità di uscire e spostarsi. 

Nei due anni di pandemia, si tengono due tornate elettorali disastrose per il partito del presidente: le municipali nel 2020 e le regionali del 2021. La République en marche perde praticamente dappertutto, a riprova di un radicamento territoriale inesistente. Una disfatta per i candidati “marcheurs”, che si schiantano contro quello che sembra un ritorno del “vecchio mondo”, con le vittorie de Les Républicains, del Parti Socialiste, e la novità dei successi ecologisti in molti importanti comuni: Lione, Strasburgo, Bordeaux, Tours, Annecy, Besançon e Grenoble. 

La popolarità del presidente in realtà non ne esce davvero scalfita. A fine 2021 e inizio 2022, mentre gli avversari scaldano i motori e preparano l’assalto all’Eliseo, emerge una situazione in cui destra e sinistra sono entrambe in preda a una lotta intestina, che vede prevalere gli elementi più radicali. Il presidente resta a guardare, con la promessa che entrerà in campagna solo quando avrà chiuso il capitolo della crisi sanitaria. In febbraio, i casi precipitano e, simbolicamente, le discoteche riaprono. A partire dal 14 marzo, portare la mascherina non sarà più obbligatorio – salvo nei trasporti pubblici – e nella maggior parte dei luoghi non verrà più richiesto il pass vaccinale.

Prima ancora che Macron dichiarasse la sua candidatura, Les jeunes avec Macron, gruppo di giovani che lo sostiene, ha diffuso questo poster, che dice: “Abbiamo molta voglia di … Lei”, con riferimento a un secondo mandato del presidente.

Una crisi inaspettata, forse la peggiore, sconvolge però i piani del presidente e dei suoi avversari. Giovedì 24 febbraio, la Russia invade l’Ucraina e riporta la guerra nel cuore dell’Europa. L’ora è grave, gli sforzi diplomatici di Macron per dissuadere Putin dall’attacco si sono dimostrati vani. Il popolo però si riunisce intorno al suo presidente, che è ormai un collaudato gestore di crisi impegnato – lui grande appassionato di teatro – a impersonare il ruolo che gli è più congeniale, quello di padre della patria. Diventa il Giove che avrebbe voluto essere fin dall’inizio del suo mandato. Vola nei sondaggi, dov’è primo con il 29 per cento nelle intenzioni di voto. Al secondo posto, lontanissima, Marine Le Pen, ferma al 17 per cento. 

L’unità nazionale va tutta a suo favore, in un allineamento di pianeti che rende il suo progetto verso una sovranità europea – per molti versi solo abbozzato in questi cinque anni – una realtà sempre più inevitabile. L’Europa è infatti obbligata a serrare i ranghi di fronte a questa tremenda crisi.  

Ecco un messaggio all’altezza di un nuovo mandato, che può permettere al presidente di riprovarci senza fare troppa autocritica su quello che è in realtà stato un quinquennio horribilis. Macron sarà probabilmente un candidato part-time, in una campagna blitz, eclissata dall’escalation in Ucraina. Per quanto questo possa, da un punto di vista prettamente elettorale, giocare a favore del presidente, si corre un grave pericolo a non mettere al centro del dibattito le varie visioni per il futuro del paese. Ciò al momento è semplicemente impossibile, perché la crisi ucraina ingoia tutto. 

Senza un confronto franco coi cittadini, c’è però il rischio concreto che l’elezione si trasformi in un malinteso. Un voto foriero di delusioni, col malcontento pronto di nuovo a esplodere. Macron-Giove deve tornare a terra, è nel suo interesse. Non è detto che la situazione internazionale gli consenta di farlo. 

Macron, da Icaro a Giove. Nonostante un quinquennio horribilis ultima modifica: 2022-03-04T20:26:39+01:00 da MATTEO ANGELI
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