La Storia talvolta si diverte a far cadere gli anniversari in momenti così drammatici da far tornare di attualità l’avvenimento che si ricorda. È questo il caso del 70mo anniversario della cosiddetta Nota di Stalin, inviata dal leader russo il 10 marzo 1952 a Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia, con la quale proponeva una Germania unificata ma neutrale. L’attualità del dibattito che nacque dopo l’abile mossa di Stalin sta nel fatto che il tema della neutralità, questa volta dell’Ucraina, è uno di quelli con cui Putin ha giustificato l’invasione dell’Ucraina stessa. Inoltre pochi giorni prima di questo 70mo anniversario, il 27 febbraio scorso, il cancelliere federale Olaf Scholz ha annunciato un riarmo della Germania, proprio alla luce della guerra scatenata da Putin. Un riarmo giustificato da quello che il cancelliere ha definito una Zeitenwende, una svolta epocale, definizione che ha una sua aderenza con la tragica realtà che stiamo vivendo: la guerra in Europa con una potenza nucleare in campo, nella parte dell’aggressore.
Tornando a quel 10 marzo 1952, la Nota di Stalin, avviò in Germania un profondo dibattito se accettare o meno la proposta. Nel 1949 la Germania Federale era nata ufficialmente con la sua Costituzione come Paese indipendente dalle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale e occupanti il territorio tedesco, e allo stesso modo era una realtà la DDR, la Germania dell’Est. A Ovest l’obiettivo della riunificazione era stato mantenuto, ma a patto di una unità statuale ancorata alle libertà democratiche, mentre il cancelliere Konrad Adenauer aveva inserito la Repubblica Federale sia nell’ambito Atlantico sia in quello Europeo della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio, la Ceca, primo passo verso la successiva Cee e oggi Ue.
La prospettiva di una Germania di nuovo territorialmente unita ma in una posizione neutrale, fu sostenuta non solo da ampi settori della SPD, ma anche da parte del mondo intellettuale e della società civile: la neutralità garantiva la rinuncia al riarmo da parte della stessa Germania, su cui ancora pesava moralmente la colpa di aver scatenato un conflitto mondiale spinto proprio dal suo riarmo negli anni Trenta. Adenauer spese tutta la propria forza politica, e anche morale, per ancorare la Germania all’Occidente. Per certi versi esiste un parallelismo con il dibattito avvenuto in Italia nel 1948-49, quando Alcide De Gasperi portò l’Italia a essere tra i Paesi fondatori della Nato, benché il neutralismo fosse sostenuto non solo dai partiti di sinistra, ma anche da una parte del mondo cattolico pacifista e da settori, pur minoritari, della Dc.
La Nota di Stalin non ebbe dunque un seguito concreto, e i successivi tornanti della storia tedesca, in ambito Europeo e anche Occidentale, dipesero da quel testardo ancoraggio della giovane Repubblica Federale all’Europa e alla Nato, voluto da Adenauer.
In un intelligente articolo sul blog Katercollective.com (un blog ideato e curato da italiani che vivono in Germania), Edoardo D’Alfonso Masarié ha scritto che la svolta annunciata da Scholz il 27 febbraio al Bundestag per certi versi è un ritorno a Adenauer, dopo i decenni della Ostpolitik inaugurata nel 1970 dall’altro cancelliere socialdemocratico Willy Brandt, e portata avanti anche dai governi a guida CDU, compresi quelli di Helmuth Kohl e Angela Merkel: vale a dire una politica di dialogo prima con tutto l’Est europeo legato al Patto di Varsavia e poi, dopo il tracollo del comunismo e del Muro di Berlino, con la Russia. Non è infatti un caso che sia stata indicata Angela Merkel (in Italia lo ha fatto Matteo Renzi) come possibile mediatore dell’Ue presso Putin. La cancelliera ha saputo tenere in piedi un filo diretto con il dittatore russo pur imponendo a tutti i Paesi europei (compresa una riluttante Italia) delle sanzioni contro la stessa Russia.

Ma veniamo al discorso di Scholz al Bundestag. Vale la pena riportare integralmente il passaggio politico centrale:
Chiunque legga i saggi storicizzanti di Putin, chi abbia assistito alla sua dichiarazione di guerra televisiva all’Ucraina, o chi abbia recentemente – come ho fatto io – avuto ore di colloqui diretti con lui, non può più avere alcun dubbio sul fatto che Putin voglia costruire un impero russo.
Vuole ridefinire radicalmente lo status quo all’interno dell’Europa in linea con la sua visione. E non ha scrupoli a usare la forza militare per farlo.
Lo possiamo vedere oggi in Ucraina.
Dobbiamo quindi chiederci: quali capacità possiede la Russia di Putin?
E di quali capacità abbiamo bisogno per contrastare questa minaccia, oggi e in futuro?
È chiaro che dobbiamo investire molto di più nella sicurezza del nostro Paese. Per proteggere la nostra libertà e la nostra democrazia.
Questa è una grande impresa nazionale.
L’obiettivo è una Bundeswehr potente, all’avanguardia e progressista su cui fare affidamento per proteggerci.
Alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di una settimana fa ho detto che abbiamo bisogno di aeroplani che volino, navi che possano prendere il mare e soldati perfettamente equipaggiati per le loro missioni.
Questo è ciò che è importante.
Ed è certamente qualcosa che un paese delle nostre dimensioni e della nostra importanza in Europa dovrebbe essere in grado di realizzare.
Ma non dovremmo farci illusioni. Attrezzature migliori, tecnologia moderna, più personale: tutto questo costa un sacco di soldi”.
E poi l’annuncio concreto di un “Fondo speciale per la Bundeswehr”, con un primo stanziamento una tantum per il solo 2022 di cento miliardi di Euro. (Per avere un termine di paragone basti pensare che il Bilancio statale dell’Italia si aggira sugli ottocento miliardi). Inoltre, ha aggiunto, “anno dopo anno, investiremo più del due per cento del nostro prodotto interno lordo nella nostra difesa”. Nell’ultimo decennio, dal 2012, il bilancio federale della Difesa si era sempre assestato tra l’1,1 per cento e l’1,4 per cento (nel 2020), addirittura con un lieve calo in termini assoluti negli anni precedenti all’invasione della Crimea da parte della Russia, con un successivo e progressivo incremento in termini assoluti da quel 2014 da 33,1 miliardi ai 46,9 del 2021.
Abbiamo fissato questo obiettivo – ha detto ancora Scholz – non solo perché abbiamo promesso ai nostri amici e alleati di aumentare le nostre spese per la difesa al due per cento della nostra produzione economica entro il 2024.
Lo stiamo facendo anche per noi, per la nostra sicurezza.
Nella consapevolezza che la Bundeswehr da sola non ha i mezzi per contenere tutte le future minacce.

Il cancelliere ha poi annunciato alcuni progetti ben precisi sugli investimenti sui sistemi d’arma tra cui “costruire la prossima generazione di aerei da combattimento e carri armati qui in Europa insieme ai partner europei, e in particolare alla Francia”.
I commenti e le analisi del discorso di Scholz sono stati molteplici, tanto che il termine Zeitenwende, preceduto dall’hashtag, è stato per alcuni giorni un maintrend su Twitter. C’è chi ha letto questo annuncio e il successivo voto di approvazione da parte del Bundestag come un passo verso l’auspicata nascita di una politica estera e di difesa comune dell’Unione europea. Infatti la Germania, per il suo peso politico ed economico, è il motore dei cambiamenti, insieme alla Francia, che però storicamente ha spesso frenato l’integrazione, come quando nel 1950 bloccò la nascita della Difesa comune o come quando il suo Referendum fece naufragare nel maggio 2005 la Costituzione europea. In Germania il termine Die Wende, la svolta, indica la riunificazione tedesca; quest’altra svolta annunciata da Scholz pone fine al grande tabù del Paese dopo la Seconda guerra mondiale, quello di essere non solo una potenza economica ma anche una potenza militare, obiettivo finora evitato.
Fin qui la cronaca.
I lettori di ytali.com mi consentano una considerazione personale. Il riarmo della Germania obbliga a un surplus di politica da parte della stessa Repubblica federale e soprattutto da parte degli altri grandi Paesi dell’Unione, Italia in primis. Helmut Kohl ottenne il via libera alla riunificazione della Germania da Mitterrand con la rinuncia da parte della stessa Germania al Marco e la nascita della moneta unica. Mitterrand, cioè, ancorò ancora più saldamente il potente (economicamente) vicino all’Europa, accelerando il processo unitario. Altrettanto deve avvenire oggi con il suo riarmo. Questa ingente spesa per la Difesa farà inevitabilmente aumentare il peso politico interno dell’apparato militar-industriale, a cui è indispensabile che corrisponda una forte consapevolezza politica della società civile e dei partiti tedeschi sulla prospettiva federale europea. E la consapevolezza che l’onere di spingere sull’acceleratore dell’integrazione federale deve coinvolgere anche l’Italia e gli altri Paesi europei, per tenere il loro grande partner legato al comune destino.
Altrimenti tornerebbe veritiera l’icastica affermazione di Giulio Andreotti del 1989: “Amo talmente la Germania che preferisco che siano due”.

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