Gerusalemme. Un villaggio, una metropoli

Alla città delle tre grandi religioni monoteiste, città simbolo con tremila anni di storia e un presente dalle tante contraddizioni, Eric Salerno dedica un libro, di informazioni e di emozioni, come nel suo stile di grande reporter.
BARBARA MARENGO
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Un racconto che si snoda attraverso le pietre bianche di Gerusalemme, un racconto lungo i millenni di questa città-simbolo, un racconto scritto da chi a Gerusalemme ha abitato e attraverso le voci di testimoni ripercorre storia passata e presente della città che racchiude l’essenza delle tre religioni monoteistiche, Ebraismo, Islam, Cristianesimo: Eric Salerno, giornalista e autore di numerosi libri, di famiglia ebraica, nato a New York e cittadino del mondo, esplora il “genius loci” di questa intensa città per la collana “Le città visibili” (editore Orizzonti Geopolitici Zero).

Da villaggio a metropoli, attraverso cambiamenti urbanistici che hanno stravolto quello che era il nucleo antico della città, dove tempi, chiese e moschee intrecciano le vite degli abitanti, attori di una storia che parla di Patria sia per gli ebrei sia per i palestinesi, storia marcata da lutti e attentati, da diritti ad avere un luogo dove vivere e diritti negati, da quelle pietre bianche che Salerno descrive e osserva da vicino: città esplorata  dall’alto grazie al Timelapse di Google Earth “che consente di passare dalla visione più recente del satellite al passato”, correndo indietro nel tempo fino a mostrare com’era la Città trentasette anni fa, com’erano le sue pietre, bianche perché cosi decise, nel 1918, il responsabile del mandato britannico: pietra bianca, com’erano bianche le tavole di Mosè, chi può dirlo? Pietre usate da Davide per uccidere Golia? Pietra angolare che accompagna il cammino di Gesù in questa terra bellissima? Pietra come quella usata da Pietro per fondare la Chiesa? Pietra dalla quale il profeta Maometto è asceso al cielo?

Fragole di Gaza

“Pietre memoriali di vita” che corrono indietro nei millenni, pietra che in ebraico si dice “eben” e figlio si dice “ben”, stabilità della stirpe e della nazione. Bastano le pietre, oggi studiate dagli archeologi, per stabilire che Gerusalemme fu da sempre abitata da tribù di Israele? Dalla città di Salomone, mille anni prima di Cristo, fino all’estesa Gerusalemme di oggi, le pietre parlano del “conflitto che schiaccia la dimensione dei luoghi”, un conflitto di rivendicazioni, contese, luogo simbolo delle tre religioni monoteiste: dalla romana Aelia Capitolina al regno latino d’oriente, dai crociati a Saladino, dall’impero ottomano al mandato britannico, dalla guerra dei sei giorni all’oggi pieno di tensioni, “due rivolte palestinesi, un accordo di pace (Oslo) che non è mai andato oltre le prime fasi, ”scontri di civiltà”, come qualcuno ha definito l’ondata di terrorismo di stampo islamista e gli assalti folli dei “buoni” che hanno destabilizzato il Vicino Oriente e propaggini, hanno relegato i palestinesi nel dimenticatoio. 

La Porta d’oro

I cambiamenti urbanistici che la città ha subito in questi anni sono descritti dall’autore, fuori e dentro le mura antiche, con piani di sviluppo tesi a “emarginare” i palestinesi espulsi dalla città in una sorta di “pulizia etnica”, con occupazione da parte israeliana di villaggi palestinesi antichi trasformati in moderne  zone residenziali. 

A chi appartiene Gerusalemme? Tanti sono i testimoni sentiti dall’autore, che raccontano la “loro” Gerusalemme, arabi ed israeliani, laici e religiosi, colpiti da lutti ed incomprensioni insanabili: luoghi e persone che Eric Salerno conosce bene, luoghi che negli anni hanno cambiato identità, tanto da far dire allo scrittore Avraham che non esiste più il luogo ideale dove “la città araba incontra la città israeliana, ma regna la diffidenza e il distacco tra quartieri.

Scrive Salerno:

L’equilibrio, si fa per dire, o meglio lo squilibrio tra ebrei e arabi si va rafforzando non soltanto con la foresta di grattacieli per uffici e abitazioni ma anche con la demolizione di interi quartieri e di molte vecchie case…..

 Ebrei e arabi che molte volte si confondono per un aspetto fisico comune, semiti e con dna in comune, e purtroppo con lutti in comune. 

Lo Studio Libeskind ha progettato e costruirà questo grattacielo alto 105 metri, 26 piani, a forma piramidale nel centro di Gerusalemme, nei pressi del mercato Mahane Yehuda, comunmente chiamato Shuk.

Uno spazio urbano, che l’autore denuncia, stravolto dalla necessità del controllo dovuto ai flussi turistici, alla natura (creazione di parchi tematici su aree palestinesi) e all’archeologia tesa a legittimare l’appartenenza antichissima al popolo eletto della città fin dai primordi, un uso “semplicistico della religione” con un eccesso di interpretazione favolistica che molti governi hanno avallato. 

Religione usata in maniera ideologica, con una “ortodossia invasiva” in un “clima sociale soffocante” che molti israeliani abbandonano per vivere con meno tensioni a Tel Aviv.

 Muro del Pianto, spianata delle Moschee, Santo Sepolcro, intersecati in poche centinaia di metri, dove pellegrinaggi ininterrotti di credenti si mescolano ai turisti, pietre candide e assolate, punteggiate dagli abiti rituali degli ebrei, dei frati cristiani, dei pellegrini musulmani. 

La Pasqua ortodossa al Santo Sepolcro

E se all’interno del Santo Sepolcro i cattolici siriani, copti, armeni, etiopi, ortodossi, attorno alla pietra che ospitò il corpo di Cristo, si azzuffano per il controllo di poche porzioni di selciato, a volte a colpi di crocefisso brandito a mo’ di alabarda, come potrebbe esserci all’esterno un clima sociale disteso? La tensione si trasforma in progetti alquanto bizzarri, con dispute tra architetti disposti a cancellare presenze arabe o conciliare le differenti società. I nuovi quartieri fortezza, che sembrano veri e propri bunker a metà costa sulle colline fuori le mura, dividono i territori palestinesi con superstrade, in un eterno cantiere: un paesaggio stravolto, che Eric Salerno osserva dal monte Scopus, una foresta di gru che occhieggiano attorno alle mura antiche. Accanto a tante pietre che dividono, l’autore cita anche quelle che uniscono, come quelle che hanno edificato l’ospedale Hadassah, dove convivono e lavorano in un “melting-pot” incredibile popolazioni diverse e indispensabili l’una all’altra.

Mentre sempre le pietre, anzi il cemento dell’alto muro che divide i villaggi palestinesi dal territorio comunale di Gerusalemme, “trancia in due intere famiglie” per “ridurre il più possibile la continuità del mondo palestinese e l’idea che Gerusalemme Est possa un giorno diventare la capitale di uno stato palestinese indipendente” .

Tremila anni di storia di una città assediata 37 volte, conquistata e persa, oggi preda di immobilità negoziale che lascia tanti problemi irrisolti, e l’architettura assieme allo sviluppo urbanistico è uno di questi.

Pietra bianca che unisce e divide: idee fantascientifiche come quella che prevederebbe una cabinovia tra il Monte degli Ulivi ed il Santo Sepolcro con vista sulla valle della Gehenna, piloni e stazioni di salita e discesa, 73 cabine che ogni ora ondeggerebbero sulle antiche strade, porte, mura, monumenti, per alcuni “crimine contro Gerusalemme”.

Gerusalemme. Un villaggio, una metropoli ultima modifica: 2022-03-29T13:41:49+02:00 da BARBARA MARENGO
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