La questione del burden-sharing – cioè il problema della condivisione degli oneri militari e delle spese legate a questi oneri all’interno della Nato – è querelle antica. La fine della Guerra Fredda, il progressivo disimpegno delle forze armate statunitensi in Europa e il nuovo ruolo della Nato hanno poi per decenni contribuito ad alimentare la discussione tra alleati.
L’invasione russa dell’Ucraina ha però riportato con forza la questione al centro dei dibattiti nazionali. E in alcuni casi accelerato le scelte politiche. Infatti, alcuni paesi hanno già promesso un aumento del bilancio destinato alla difesa, come reazione all’aggressione russa. È il caso della Germania che, quattro giorni dopo l’inizio dell’invasione, ha annunciato che avrebbe aumentato la spesa per la difesa nel 2022 di 100 miliardi di euro, portando la spesa per la difesa dall’1,53 per cento del PIL a oltre il 2 per cento. Anche il Belgio ha annunciato l’aumento del bilancio della difesa dallo 0,9 per cento del PIL all’1,54 per cento entro il 2030. L’Italia ha seguito questi paesi votando per aumentare la spesa per la difesa al 2 per cento dall’attuale 1,41 per cento, senza però specificare una scadenza.
La storia del 2 per cento
Mentre negli anni precedenti il criterio del 2 per cento del PIL destinato alla difesa era passato nel dimenticatoio, l’invasione russa dell’Ucraina ha impresso una drammatica svolta. L’obiettivo infatti del 2 per cento non è recente. È nel 2006, al vertice Nato di Riga, che furono formalizzate delle linee guida che dovevano servire come “indicatore della volontà politica di un paese di contribuire agli sforzi di difesa comune”, per continuare a garantire la credibilità dell’Alleanza come organizzazione politico-militare. In quella sede i paesi membri avevano concordato sull’obiettivo di raggiungere un minimo del 2 per cento del PIL per le spese di difesa. Si trattava ovviamente di linee guida non vincolanti ma che indicavano un obiettivo di lunga durata in termini non solo militari ma politici. E in effetti quell’obiettivo rimase per lo più inatteso. Soprattutto perché la crisi finanziaria del 2007 e poi la crisi del debito sovrano di alcuni paesi europei avevano contribuito a indirizzare le risorse verso altre urgenze.
Le cose sono cambiate nel 2014. E in relazione, come oggi, alle azioni della Russia del presidente Vladimir Putin. In risposta infatti all’annessione illegale della Crimea da parte della Russia, al vertice Nato in Galles i paesi membri stabilirono una data per l’aumento delle spese per la difesa al 2 per cento del PIL: il 2024. Anche se fu definito un termine temporale, il mancato rispetto dell’obiettivo non avrebbe comportato sanzioni o penalità. Si trattava, ancora una volta, di obiettivi simbolicamente e politicamente importanti per dimostrare l’impegno tra gli alleati della Nato per la loro difesa comune.
I limiti del criterio infatti esistono e sono stati dibattuti anche in sede Nato. Il rapporto tra la spesa per la difesa e il PIL di una nazione dice poco sugli effettivi sforzi di difesa come membro della Nato. Il caso della Grecia è quello più citato. Anche se il paese ha ridotto il suo budget per la difesa un certo numero di volte negli ultimi anni, tuttavia soddisfa ancora l’obiettivo del due per cento, semplicemente perché il PIL greco è continuamente diminuito.
Per questa ragione, secondo Derek Chollet, Steven Keil, e Christopher Skaluba, il criterio del 2 per cento è uno strumento arbitrario e inefficiente per la pianificazione della difesa:
Affidarsi alla metrica del due per cento per misurare la salute della Nato equivale a mangiare una mela al giorno per tenere lontano il medico – non è una cattiva idea, ma non è un buon indicatore per una salute duratura.
Il vantaggio dell’obiettivo del due per cento è che è facilmente comprensibile ma
[…] oscura i progressi significativi che i membri dell’Alleanza hanno fatto per migliorare e modernizzare le loro forze.
Molti hanno proposto alternative. Per esempio, Garrett Martin e Balazs Martonffy sostengono l’idea di utilizzare un sistema in qualche modo analogo a quello delle agenzie di rating, attribuendo a tre differenti funzioni fondamentali della Nato valutazione differenti. Altri sostengono che l’obiettivo del 20 per cento della spesa per la difesa dedicata all’equipaggiamento – l’altro criterio delle linee guida, spesso poco citato – sia più significativo dell’obiettivo del 2 per cento del PIL.
Come ha spiegato Olivier de France, la ragione dell’obiettivo del 2 per cento è quindi più politica che “metrica”. Quando viene preso l’impegno nel 2014, c’è la convinzione che non solo sia molto difficile per alcuni paesi raggiungere quell’obiettivo ma che non sia nemmeno una misura di efficienza della spesa:
[…] il semplice obiettivo serve come standard per misurare il valore militare degli alleati europei della Nato, in particolare per l’amministrazione statunitense.
Il criterio del 2 per cento è stato quindi utilizzato come indicatore “di chi è e chi non è politicamente impegnato nel compito principale della Nato: la sicurezza dell’Europa”, come ha indicato Jan Techau, ed evitare fenomeni di free-riding, traendo dei vantaggi in termini di sicurezza, senza pagarne i costi.
E in questa veste è stato oggetto di polemiche tra alleati. Soprattutto durante la presidenza di Donald Trump.
Le polemiche di Donald Trump con gli alleati europei
Se gli Stati Uniti hanno costantemente considerato la linea guida del 2 per cento quasi come un accordo vincolante, è con il presidente Trump che diventa una sorta di arma politica. Durante il suo mandato, il presidente repubblicano infatti utilizzò il criterio per denunciare i governi europei, l’efficacia della Nato e l’interesse stesso degli Stati Uniti per l’Alleanza Atlantica. Nell’ottica di Trump, l’aumento della spesa per la difesa al 2 per cento del PIL coincideva quasi con “quota” di partecipazione alla Nato stessa, puntando sui “danni finanziari” degli Stati Uniti, “sfruttati“ dagli alleati europei.
Anche se si tratta di una narrazione del tutto particolare, che danneggia in effetti la Nato, l’allora presidente ha reso fruibile all’opinione pubblica americana una questione – quella della presenza internazionale degli Stati Uniti e delle sue alleanze – spesso mal compresa o per la quale vi era scarso interesse negli Stati Uniti. Il problema è che Trump ha presentato la vicenda per vittimizzare gli Stati Uniti rispetto agli alleati europei.
Gli europei dal canto loro hanno comunque sottovalutato la questione dell’impegno politico-militare in Europa degli Stati Uniti. La disparità tra i livelli di spesa degli Stati Uniti e quelli degli europei è in effetti un problema per gli Stati Uniti, alle prese con nuove sfide strategiche – il confronto con la Cina – e i problemi interni. Se i paesi europei hanno potuto utilizzare parte dei loro bilanci durate la Guerra Fredda per indirizzarli verso spese socialmente più rilevanti, è accaduto anche perché gli Stati Uniti provvedevano alla difesa e alla sicurezza del continente. Nella “rabbiosa“ posizione di Trump rispetto agli europei c’era anche la convinzione di una sorta di ingratitudine europea verso gli Stati Uniti. Anche per una scarsa comprensione del presidente di quello che è uno dei principali vantaggi degli Stati Uniti rispetto a paesi concorrenti come la Cina: il sistema delle alleanze.
Al di là comunque delle polemiche tra alleati, è interessante considerare quali siano attualmente i paesi che rispettano l’impegno del 2 per cento e come siano utilizzati bilanci della difesa dai membri della Nato. La Nato raccoglie i dati sulle spese per la difesa dagli alleati e li pubblica regolarmente.
Chi rispetta il 2%?
Secondo i dati raccolti dalla Nato nel 2021, sono dieci gli stati membri che rispettano il criterio del 2 per cento: Grecia, Stati Uniti, Croazia, Regno Unito, Estonia, Lettonia, Polonia, Lituania, Romania e Francia. L’Italia fa parte del gruppo di coda, sotto l’1,5 per cento, assieme a Olanda, Canada, Spagna e Belgio.

Qui sotto invece si può vedere l’evoluzione storica della percentuale di PIL dedicata alla spesa per la difesa tra il 2014 e le stime per il 2021.

L’altro criterio è quello del 20 per cento del bilancio della difesa per l’equipaggiamento militare, comprese le spese per la ricerca e lo sviluppo dedicate alle attrezzature militari. Se si prende in considerazione questo criterio la situazione è diversa. Praticamente tutti i paesi soddisfano il criterio e l’Italia è uno di quelli che ha incrementato maggiormente la componente di spesa dedicata al settore rispetto al 2014.

Come è utilizzato il budget della difesa?
Al di là del raggiungimento del criterio del 2 per cento, è interessante anche vedere come la spesa militare è suddivisa tra differenti settori nei vari paesi membri. È in effetti la ragione per la quale molti criticano il criterio del 2 per cento come misura dell’efficienza delle forze militari di un paese. In generale, infatti, il settore che riceve la maggioranza relativa della spesa per la difesa è quella del “personale”. Qui rientrano tutte le spese relative al personale delle forze armate dei vari paesi, tra cui ovviamente stipendi e pensioni. L’Italia fa parte del gruppo di paesi che dedica più del 60 per cento della spesa per la difesa proprio a questa categoria. Gli altri sono: Montenegro, Portogallo, Slovenia, Spagna. Sotto il 60 per cento, ma sopra il 50 per cento, vi sono poi Albania, Belgio, Bulgaria, Grecia, Romania e Turchia.
Per gli altri settori la situazione è variabile. Molto bassa è in generale la percentuale di spese per le infrastrutture, che comprendono le infrastrutture comuni della Nato e le costruzioni militari nazionali. Abbiamo già visto la differenza in termini di spesa per equipaggiamento militare e ricerca e sviluppo dedicate alle attrezzature militari (il criterio del 20 per cento). “Operations” comprende invece le spese per operazioni di peacekeeping, di gestione e manutenzione, le altre spese di R&S e le spese non assegnate.

Se prendiamo in considerazione l’evoluzione storica della spesa per il settore “Personale”, si possono notare aspetti interessanti. Tra il 2014 e le stime del 2021, si assiste a un vero e proprio calo delle spese dedicate al settore in alcuni stati. Per esempio, la Grecia passa dal 77 per cento della propria spesa per la difesa dedicata al “Personale” del 2014 alla stima del 55 per cento per il 2021. L’Italia dal 76 per cento del 2014 al 60 per cento del 2021.


Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!