La Biennale fuori della Biennale

“Out of Stage”, della compositrice Lucia Ronchetti, si riferisce a lavori concepiti per luoghi e situazioni diversi da quelli offerti dal palcoscenico tradizionale. E ci ricorda che la cifra del successo della Biennale è stata ed è la compenetrazione tra attività artistiche e luoghi. Tra storia e presente. Tra palcoscenici e persone, senza le quali i palcoscenici perdono utilità e senso.
SANDRA GASTALDO
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Fuori dal palcoscenico. Lucia Ronchetti, la compositrice romana prima donna a dirigere il settore Musica della Biennale di Venezia, ha chiamato così il suo secondo Festival in programma dal 14 al 25 settembre prossimi: Out of Stage. Un titolo che se che tratteggia una prospettiva determinata da multimedialità, realtà virtuale e realtà aumentata applicate al suono. 

Un cartellone denso che traccia intelligentemente anche ponti con la storia dei teatri veneziani non più esistenti, come il San Cassiano e il teatro dei Santi Giovanni e Paolo di calle della Testa, e con la grande e lunga tradizione musicale della città, dai madrigali a Monteverdi, soffermandosi su manoscritti musicali della Biblioteca di Santa Maria della Fava utilizzati come riferimento per una nuova composizione in forma di sacra rappresentazione contemporanea.

La sala dell’auditorio, sull’isola di San Giorgio, affacciata sulla laguna

Presentato, insieme ai programmi dei festival dedicati al teatro (24 giugno-3 luglio) e alla danza (22-31 luglio), a pochi giorni dall’apertura del Latte dei Sogni (la 59ma Esposizione Internazionale di Arte), quello di Ronchetti è un progetto che sollecita una riflessione sul rapporto tra la Biennale, il tessuto urbano e umano di Venezia, le istituzioni che vi operano. Un rapporto mai scontato in una città- palcoscenico che incoraggia i protagonismi piuttosto che le cooperazioni. 

Decisamente più della Danza e del Teatro di quest’anno, Out of Stage pare, invece, concretizzare l’intenzione di intrecciare e infittire una trama di collaborazioni nel solco di una tradizione, sia pur discontinua, delle arti dal vivo della Biennale. Sono infatti numerosi gli appuntamenti previsti fuori dall’Arsenale che, negli ultimi vent’anni, è stata la “casa” principale di concerti e rappresentazioni.

E, dunque, la Biennale ritorna a San Marco con Visions, della compositrice estone Helena Tulve, basato sui Manoscritti rinvenuti alla Fava  dal musicologo Giulio Cattin nel 1994, anno in cui la Biennale Musica, diretta da Mario Messinis, celebrò il ritrovamento con un concerto proprio in Basilica. 

Le porte di San Marco si erano spalancate anche lo scorso anno nel 50mo anniversario della morte di Igor Stravinskij per l’esecuzione del Canticum Sacrum ad honorem Sancti Marci nominis, scritto nel 1955 – proprio per essere ascoltato sotto le cupole rivestite di mosaico – dallo stesso Stravinskij che si augurava l’apertura dello spazio sacro marciano per concerti di musica contemporanea, auspicio accolto nel 1956 dall’allora patriarca Angelo Roncalli.

E in Basilica – dove la contemporaneità mancava da tempo – hanno avuto luogo nel 2021  anche due dei concerti del festival Choruses pensato da Ronchetti per la voce umana. 


La Basilica di San Marco, poco prima di un concerto della Biennale ( 2021)

Il Festival di quest’anno, il 66mo dedicato alla Musica, tornerà anche alla Fenice; a Palazzo Pisani, a Santo Stefano, sede del conservatorio Benedetto Marcello, il più vasto edificio privato di Venezia; al Teatro del Parco Albanese, a Mestre. Nella mappa di Out of Stage  ci saranno pure nuove tappe: al Goldoni e alla Fondazione Levi;  nella Libreria sansoviniana della Marciana; nella sala dell’Albergo della scuola Grande di San Rocco, dominata dalla potenza del Cristo in Croce di Tintoretto; allo “Squero”, l’auditorio della Fondazione Cini sull’isola di San Giorgio di sorprendente acustica e dallo stupefacente fondale: un parete di cristallo come unico diaframma con la laguna.

Fuori dal palcoscenico c’è però anche la dimensione creata dalla tecnologia: così, a Ca’ Giustinian – sede istituzionale della Biennale – dalla sala delle colonne col soffitto pastello di stucchi fioriti, gli specchi e i lampadari in vetro di Murano, Rai Radio 3, nei due fine settimana all’interno del Festival, trasmetterà le Lezioni di Musica, in diretta, come già avvenuto nel corso di “Choruses“. Restando in ambito tecnologico, ed è solo un esempio, per tutta la durata del Festival , la Sala d’Armi dell’Arsenale accoglierà una installazione di Paul Hauptmeier: il palcoscenico sarà immateriale, fatto da nuvole sonore, nelle quali lo spettatore entrerà. Nuvole che condenseranno insieme tecnologia e poesia.

Un concerto nella sala grande del Teatro La Fenice durante la Biennale Musica 2021

Il resto del programma sarà sempre a Castello: al Teatro Piccolo Arsenale, in campo della Tana, il primo ad essere restaurato un paio di decenni addietro, con adeguamenti strutturali che hanno preservato lacerti  verdeggianti con alberi di un vecchio scenario teatrale, affrescati sul muro di fondo. E poi le Tese, con le solide colonne in pietra d’Istria, le vicine Tese dei soppalchi che guardano il porticato sospeso sull’acqua delle Gaggiandre, le Sale d’Armi le cui vetrate dominano il bacino acqueo e la  monumentale gru idraulica installata nel 1885.

Spazi conquistati da Paolo Baratta – a lungo presidente della Biennale – poco più di vent’anni fa e che subito divennero il centro privilegiato, sebbene non esclusivo, delle performance dei settori delle arti dal vivo. La Musica, il settore con la storia più lunga, attivo dal 1930; il Teatro (1934) e la Danza, che ha un proprio Festival solo dal 1999 ma che, in precedenza, non era del tutto assente dalla Biennale, essendo inserita nel Festival della Musica.

Un concerto al Teatro alle Tese dell’Arsenale

L’occupazione dell’Arsenale da parte della Biennale è comunque storia relativamente recente. Solo nel 1980, con la prima edizione della mostra di Architettura, l’immenso salone delle corderie lungo oltre trecento metri divenne visitabile.  Il poderoso cantiere navale, per secoli la fortezza industriale della Serenissima, protetto da mura merlate a difesa dei segreti dei processi produttivi ma anche delle strutture stesse, era stato, fino ad allora, visibile solo grazie a qualche foto aerea e a una mappa datata 1500. La veduta di Venezia a volo d’uccello incisa da Jacopo de Barbari, talmente piena di dettagli anche sull’Arsenale da far sorgere il sospetto che fosse stata, all’alba del XVI secolo, parte di una campagna di “marketing”   per richiamare investitori di capitali in una città che sentiva cambiare in vento. 

Precluse alla gente comune per quasi due secoli anche dopo la caduta della Serenissima, le aree all’interno della grande cinta muraria marchiata dal leone alato di San Marco sono diventate rapidamente  patrimonio condiviso proprio grazie alla Biennale. Si è scoperto così che l’Arsenale è anche museo di se stesso. L’acquisizione di questi spazi ha permessa alla Biennale di far fiorire pure una serie di attività educative : dai progetti  per le scuole ai “college” riservati alla formazione di talenti selezionati attraverso bandi internazionali.  Contemporaneamente, ha liberato la programmazione  da uno slalom tra i paletti delle stagioni sempre più dense dei teatri cittadini.

La sala concerti del Conservatorio Benedetto Marcello, all’interno di Palazzo Pisani

Out of Stage: la Biennale, e non solo per le arti dal vivo, rende pulsanti da decenni luoghi concepiti per attività diverse da spettacoli o mostre. I Giardini, dove l’Esposizione  d’Arte nacque nel 1895,  e dove sorgono oltre al  grande  padiglione centrale 29 padiglioni  nazionali, non sono più da tempo, anche dopo l’espansione nella sede dell’Arsenale, sufficienti ad accogliere le partecipazioni di artisti da tutto il mondo. Ed è per questo che oggi la città , dalla primavera fino a novembre, spalanca ai  visitatori “foresti” ma anche ai propri abitanti porte e cancelli di residenze private, giardini, istituzioni, chiese e chiostri generalmente non accessibili. Venezia diventa per metà anno una galleria estesa. E’una occasione di guadagno per alcuni, di  mero finanziamento della manutenzione degli edifici per altri. Sempre una grande chance di conoscenza per il pubblico.

La presenza diffusa della Biennale ha messo radici proprio grazie alla musica e ai suoi Festival internazionali.  Scorrendo la sequenza storica dei cartelloni, balza agli occhi come,  fino all’apertura dei teatri in Arsenale, la programmazione  abbia avuto come perno la Fenice e, negli anni successivi all’incendio del 1996, il Palafenice, il tendone eretto al Tronchetto in un luogo che, per la facile raggiungibilità, bene si sarebbe prestato a mantenere e sviluppare un vocazione teatrale. Ma, altrettanto chiaramente, si  vede come intorno alla Fenice  ci sia sempre stata una corona di altri teatri cittadini : il Malibran; Il Goldoni; il Ridotto, divenuto in anni recenti salone di un albergo; il Teatro Verde, l’anfiteatro  con 1500 posti dell’isola di San Giorgio da tempo non più utilizzato; il Teatro Fondamente Nove chiuso nel 2016.

E poi una raggiera di chiese, che funzione tanto importante ebbero nella creazione e nell’esecuzione della musica: San Lorenzo, San Giovanni Paolo, i Frari,  Santo Stefano, San Rocco, San Michele in isola, la cappella  dell’Ospedaletto. E le Scuole Grandi, nello specifico quelle di San Rocco e San Giovanni Evangelista.

E poi, ancora, Il teatrino di Palazzo Grassi e la sala concerti del Conservatorio, e Piazza San Marco, dove si esibirono grandi orchestre e grandi direttori, ma che fu anche memorabile scenario (1972) per Event di Merce Cunningham, coreografia presentata all’interno del 35mo Festival di Musica contemporanea  e che quest’anno sarà rievocata con una performance itinerante anche lungo i canali in occasione del Festival della Danza diretto da Wayne McGregor. 

Lo Squero a San Giorgio durante un concerto

I luoghi della Biennale  – tralasciando qui completamente  del sedi della Mostra del Cinema – formano da soli un percorso e una storia. All’interno della quale non un capitolo, ma un modesto paragrafo, è stato riservato alle presenza in Terraferma. Timide e sporadiche apparizioni dei vari settori in area industriale, al Teatro Toniolo, al Teatro del Parco, nel quartiere della Bussola, i cui prati si trasformarono nel 2001 in palcoscenico per una Biennale Teatro (La Pista e la Scena) di enorme successo dedicata  al Nuovo Circo. E, in anni recenti, Forte Marghera, complesso monumentale ai margini delle laguna – che meriterebbe maggiore continuità e maggior numero di attività – dove  è visitabile attualmente una installazione del regista Damiano Michieletto.

Out of Stage, di Lucia Ronchetti ci ricorda che la cifra del successo della Biennale è stata ed è la compenetrazione tra attività artistiche e luoghi. Tra storia e presente. Tra palcoscenici e persone, senza le quali i palcoscenici perdono utilità e senso.

Immagine di copertina: Il fondale di cristallo dell’Auditorium Lo Squero a San Giorgio

Servizio fotografico di Sandra Gastaldo

La Biennale fuori della Biennale ultima modifica: 2022-04-14T19:42:04+02:00 da SANDRA GASTALDO
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