Per chi hanno votato i musulmani di Francia al primo turno delle elezioni presidenziali? È la domanda che si è posta il giornale cattolico francese La Croix. Secondo la ricerca condotta per il quotidiano dall’Ifop sul voto “confessionale” in occasione del primo turno, il “voto dei musulmani” è quello che si è indirizzato in maniera netta e rilevante verso il leader della sinistra populista Jean-Luc Mélenchon. Sarebbe quasi il 69 per cento degli elettori che si definiscono musulmani ad avere scelto il leader de La France Insoumise. Molto distante il secondo nelle loro preferenze – Emmanuel Macron – che ottiene il 14 per cento dei voti (dieci punti in meno rispetto al 2017). Marine Le Pen il 7 per cento.

Non si tratta di una dinamica completamente nuova. Nel passato, fin dagli anni Settanta, il Partito socialista e il Partito comunista francese hanno cercato di conquistare il voto musulmano. Se consideriamo gli ultimi vent’anni di elezioni presidenziali il quadro appare anche più chiaro.
Ricerche elettorali hanno messo in evidenza che almeno dal 2002 il “voto musulmano” è essenzialmente un voto alla gauche francese. Anche se con notevoli differenze. Nell’anno dello scontro al secondo turno tra Jacques Chirac e Jean-Marie Le Pen, il 60 per cento degli elettori di fede islamica aveva preferito al primo turno i partiti della sinistra moderata (i Socialisti e i loro alleati, come i Verdi). Il 19 per cento aveva invece scelto un partito della sinistra radicale. Soltanto il 17 per cento aveva votato per il partito di Chirac. Un risultato quello della destra che rimarrà comunque il più alto con quest’elettorato negli ultimi ventidue anni: nel 2007 la candidatura di Nicolas Sarkozy dimezza il già basso numero di elettori musulmani.
Il voto musulmano alla sinistra moderata rimane pressoché costante alle elezioni del 2007 e a quelle del 2012. Nel 2012 François Hollande, il candidato socialista, ottiene lo stesso risultato di Ségolène Royal nel 2007 in termini di preferenza dell’elettorato musulmano (il 59 per cento contro il 61 per cento), in linea con le elezioni del 2002. La differenza però in quell’anno la fa il candidato del Front de Gauche, Jean-Luc Mélenchon. Il leader della sinistra populista diventa la scelta per il 20 per cento dell’elettorato musulmano. Anche se un laicista intransigente e ostile all’eccessiva visibilità della religione nello spazio pubblico, la durissima opposizione di Mélenchon al Front National consente al candidato della sinistra di diventare un punto di riferimento per una parte, ancora minoritaria, dell’elettorato musulmano.
Questo primato della sinistra moderata e radicale nella rappresentanza del voto musulmano si esprime anche al secondo turno, quando l’84 per cento di questi elettori vota in maniera massiccia per il socialista Hollande, contribuendo alla sconfitta di Nicolas Sarkozy. In quell’occasione, nessun’altra categoria della popolazione ha votato così massicciamente per il candidato socialista e contro Nicolas Sarkozy.
È però il 2017 che segna la svolta, con l’inversione dei rapporti di forza tra socialisti e sinistra radicale. Anche se il 17 per cento dei voti musulmani va a sostenere il candidato socialista Benoît Hamon, il favorito diventa Jean-Luc Mélenchon che ottiene il 37 per cento. Macron il 24 per cento.
Alcuni considerano la formula “elettori di fede musulmana” ambigua. Come aveva sottolineato nel passato il politologo Haoues Seniguer, docente a Sciences-Po Lione, in questo modo
[…] si tende a dare l’impressione che gli elettori musulmani votino in maniera uniforme a causa della loro religione.
Tuttavia, continua, Seniguer, non c’è nessun “fattore determinante islamico” nel voto:
Certo, gli elettori musulmani che vanno alle urne sono musulmani… ma non sono solo questo. Quando si tratta di votare, le loro considerazioni sono molteplici: entrano in gioco le contingenze legate al background di ogni persona e la variabile della classe sociale. Alcuni musulmani saranno sensibili alla questione dell’islamofobia, altri saranno determinati dalla questione palestinese, mentre altri decideranno principalmente su questioni socio-economiche. Al momento del voto, non è chiaro quale variabile abbia la precedenza, ma la fede non sovrasta tutte le altre opzioni degli individui.
Quello che però mettono in rilievo le ricerche Ifop è che nei quartieri popolari, il fatto che uno sia musulmano o meno ha un effetto molto profondo sul voto. Il fatto che gli elettori musulmani votino a sinistra non sarebbe legato infatti alla struttura demografica o sociale di questo gruppo. Se si confrontano i comportamenti elettorali relativi all’età e alla classe sociale, dice Ifop, si nota che i musulmani votano in media significativamente più a sinistra delle persone che hanno la stessa età o la stessa provenienza sociale. Il fattore religioso interviene quindi in un altro modo: è una reazione al discorso anti-islamico dell’estrema destra e della destra. Le Monde anche recentemente per esempio ha raccontato come l’islamofobia dei candidati della destra e dell’estrema destra abbiano contribuito ad aumentare il voto per Mélenchon nei quartieri popolari di Marsiglia.
Al di là di questi aspetti, il risultato di Mélenchon con questo elettorato rimane storicamente importante. E probabilmente vi hanno contribuito vari fattori. Non solo i cambiamenti nei rapporti di forza tra socialisti e sinistra radicale o l’appello al voto utile. Si deve tenere conto anche dell’evoluzione di Mélenchon stesso nel rapporto con la comunità musulmana e la loi contro le separatisme voluta dal presidente Macron.
La sinistra francese è da decenni molto divisa sull’analisi del ruolo dell’Islam nella politica francese, nel tentativo di conciliare la difesa della laicità, un principio unificante dell’area politica, e la tutela delle minoranze religiose. Mentre prima era un simbolo di identità che cementava la sinistra e in particolare il Partito socialista, sul tema oggi la sinistra non ha più il monopolio. Anzi, la laicità è diventata oggetto di forte competizione elettorale.
Agli inizi degli anni Duemila la trasformazione della laicità come idea difensiva – di origini “cristiane” – da parte dell’estrema destra per stigmatizzare l’Islam ha avuto successo. Qualche anno dopo la destra post/neogollista ha rincorso l’estrema destra su questo tema. Una rivendicazione da parte del Front National della parola laicità che ha messo però in difficoltà anche la sinistra. E soprattutto ne ha fatto esplodere le contraddizioni interne, in particolare dopo gli attentati del 2015 a Parigi, alla sede di Charli Hebdo e, poi, al Bataclan (con le controverse leggi sullo stato di emergenza e contro il terrorismo e il durissimo dibattito interno ai socialisti sulla privazione della nazionalità francese come misura di lotta al terrorismo, progetto poi naufragato).
Queste contraddizioni le ha vissute anche la sinistra radicale. In questo contesto, anche la posizione di Mélenchon è progressivamente mutata.
Come molti altri nella sinistra radicale, Mélenchon ha lungamente rifiutato l’idea della “lotta contro l’islamofobia”, per una posizione contraria a qualsiasi considerazione delle credenze religiose. Posizione che non ha mancato di esplicitare più volte. Nel 2010 in un’intervista con la rivista Marianne, il leader della sinistra radicale aveva espresso molte critiche nei confronti del partito di Olivier Besancenot, leader di una piccola formazione di estrema sinistra, perché aveva presentato un candidato velato alle elezioni regionali. In quell’occasione Mélenchon aveva parlato di una sorta di “auto-stigmatizzazione” della comunità musulmana attraverso l’uso del velo. Questa posizione classica in termini di adesione alla laicità della République resta praticamente costante. Nel 2015, una settimana dopo gli attacchi del 13 novembre a Parigi, Mélenchon contestava il termine islamofobia, per descrivere l’atmosfera di colpa e di sospetto generale nei confronti della comunità musulmana del paese:
Sono i musulmani che pensano di essere incolpati perché sono musulmani. Difendo l’idea che abbiamo il diritto di non amare l’Islam, abbiamo il diritto di non amare la religione cattolica e che questo fa parte della nostra libertà.
Anche quando viene chiesto al La France Insoumise di firmare un appello contro l’islamofobia, il partito di Mélenchon si rifiuta perché ritiene “difficile distinguere tra la libera critica alla religione e il razzismo”. E non vuole trovarsi a firmare un appello con “organizzazioni comunitariste o organizzazioni che hanno una visione politica dell’Islam”.
Nel 2017 poi durante la trasmissione “L’Émission politique”, su France 2, la giornalista Léa Salamé ricorda a Jean-Luc Mélenchon le osservazioni che aveva fatto nel marzo 2015 sul velo come “un segno di sottomissione”. Mélenchon non solo risponde di pensarlo ancora ma aggiunge di non capire perché “Dio dovrebbe interessarsi a uno straccio in testa”. Le polemiche che ne seguono sono enormi.
Negli anni successivi però la posizione di Mélenchon cambia. Anche perché all’interno del suo partito la deputata Danièle Obono e il movimento Ensemble! di Clémentine Autain sostenevano la necessità di una linea meno inflessibile. C’era infatti la convinzione, condivisa da altre formazioni di estrema sinistra, che l’ascesa dell’Islam riflettesse una rivolta contro l’oppressione razzista.

E qui entra in gioco la capacità politica di Mélenchon, che ha una personalità complessa e contraddittoria, che lo hanno portato dal trotskismo al rocardismo, dal sovranismo socialista al mitterrandismo, all’essere un partigiano del “sì” al Trattato di Maastricht nel referendum del 1992 al leader del fronte del “no” contro il Trattato costituzionale del 2005. Un fiuto politico che porta questo membro dell’apparato socialista a diventare il tribuno del dégagismo delle élite politiche francesi, in un modo più aggressivo (e toni anche molto violenti) di Beppe Grillo. Mélenchon è l’uomo che denuncia la presidenzializzazione della Quinta Repubblica, per esempio, ma che esercita un potere pressoché incontrastato nel suo movimento politico.
È anche il leader politico che sa cogliere – e alimentare – le difficoltà degli avversari politici. Come ha fatto con il Ps e oggi con Macron. È infatti in un momento di tensioni tra il presidente centrista e la comunità musulmana francese che Mélenchon cerca di acquisire maggiore spazio politico. In un percorso completamente inverso a quello di Macron che passa da un’idea della laicità molto liberale e anglosassone di tolleranza e apertura verso la manifestazione religiosa pubblica a posizioni molto più ferme.
Macron infatti sostiene la necessità della costruzione di un “Islam dei lumi” progressista e liberale. Quest’idea trova però la sua realizzazione nella controversa legge contro il separatismo religioso che intende “rafforzare la laicità” e il rispetto degli obblighi di neutralità da parte degli organismi parapubblici o concessionari, dando ai prefetti il potere di sospendere le decisioni o le azioni di un ente locale che disattendono la neutralità dei servizi pubblici. La legge inoltre rafforza il controllo sulle associazioni, che non potrebbero “tenere discorsi contrari alla Repubblica”, e propone un contratto di impegni per il rispetto dei valori repubblicani, la cui accettazione sarebbe una condizione per ricevere aiuti pubblici.
Le critiche che la legge riceve sono moltissime, anche a livello internazionale. In particolare, mentre alcune misure vengono elogiate, come il controllo dei flussi finanziari dall’estero, varie associazioni considerano che la legge metta in discussione le libertà fondamentali democratiche. Dopo l’omicidio di Samuel Paty, insegnante di storia-geografia alla scuola secondaria di Conflans-Sainte-Honorine, Il progetto di legge viene rafforzato e arriva a coprire una vasta gamma di questioni, tra cui il controllo delle associazioni religiose, l’impegno delle associazioni alla laicità e le restrizioni all’istruzione privata domestica.
Qui arriva Mélenchon. Il leader della sinistra radicale firma un appello contro l’islamofobia, distanziandosi dalle posizioni prese in precedenza, e partecipa alla (controversa) marcia contro l’islamofobia, organizzata da alcune organizzazioni musulmane che precedentemente avrebbe definito “comunitariste”. Lo fa anche intervenendo all’Assembée Nationale, parlando dopo il voto sulla legge contro il separatismo religioso. Mélenchon dichiara la legge “contro-repubblicana, la cui vocazione anti-musulmana è abbastanza chiara”. Una legge, aggiunge, che inventa “un concetto – il separatismo religioso – che è vuoto e senza senso, senza toccare per un secondo il vero separatismo rappresentato dall’esistenza di leggi che si applicano in modo diverso”. Da allora Mélenchon continua a parlare con forza contro il trattamento riservato ai musulmani in Francia.
Un impegno che non passa inosservato al momento della scelta elettorale.


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