Le due Tine. Quando la Memoria diventa coscienza

Tina Anselmi e Tina Merlin. Il 25 aprile è un’occasione unica per ricordare due donne straordinarie, due partigiane, due montanare, due staffette che avevano il compito di mantenere i collegamenti tra le brigate e i contatti tra i partigiani e le loro famiglie; in alcuni casi avevano anche il compito di accompagnare gli eventuali resistenti.
GIANNI DE LUIGI
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Il 25 aprile è un’occasione unica per ricordare due donne straordinarie, due partigiane, due montanare, due staffette che avevano il compito di mantenere i collegamenti tra le brigate e i contatti tra i partigiani e le loro famiglie; in alcuni casi avevano anche il compito di accompagnare gli eventuali resistenti. Le staffette non erano armate e per questo il loro compito era molto pericoloso. Una democristiana e l’altra comunista, quando fare politica era cultura, pensiero, coraggio ereditato dalla loro giovinezza di lotta per la libertà di pensiero e di critica per la dignità della persona.

Ho vissuto il dopo guerra essendo nato per fortuna nel 1946, ma i racconti di mia madre in particolare mi affascinavano e stimolavano immagini di guerra come si sa purtroppo più affascinante della pace; ma anche di ingiustizie e orrori perpetrati dai nazifascisti. Queste due donne sono Tina Anselmi e Tina Merlin. Si rende necessario far conoscere le loro storie che si potrebbero sovrapporre.

Tina Anselmi

Tina Anselmi nasce nel 1927 a Castelfranco Veneto, studia all’Istituto Magistrale a Bassano del Grappa, dove è costretta ad assistere con altri studenti, il 26 ottobre del 1944, all’impiccagione compiuta dai nazifascisti di trenta prigionieri per rappresaglia. Da quel momento in poi Tina, che fino ad allora non si era mai interessata di politica, sceglie di contribuire attivamente alla Resistenza e diventa staffetta con il nome di battaglia di “Gabriella”, poi passa al comando regionale Veneto del corpo dei volontari della Libertà. Alla fine della guerra entra nella Democrazia Cristiana, si laurea e insegna alle scuole elementari, si dedica all’attività sindacale. Nel 1963 è eletta nel direttivo europeo dell’unione femminile, nel 1968 è eletta deputata e nel 1976 diventa prima donna ministro del lavoro e della previdenza sociale. In seguito – e questo è il punto cruciale – sempre con il governo di Giulio Andreotti è ministro della Sanità, contribuendo in maniera decisiva alla formulazione della riforma che porta alla nascita del servizio sanitario nazionale. Nel 1981 è nominata presidente della commissione d’inchiesta sulla loggia massonica P2, che si conclude nel 1985.

Nel 1992 è costretta a lasciare il parlamento, dopo essere stata inserita di proposito in un seggio perdente da Arnaldo Forlani, dopo aver sbattuto il telefono in faccia a Cossiga, allora presidente del Senato, che l’invitava alla prudenza perché lui aveva ricevuto una lettera di Gelli per farsi difendere. La sua origine veneta e la sua vita mi spinsero a proporla come presidente della Regione Veneto, ma la mia proposta fu respinta, da chi allora aveva un gran consenso in città, perché troppo vecchia!

Tina Merlin

Tina Merlin, di cui vanto l’ amicizia, giudecchina acquisita, facevamo insieme lunghe passeggiate lungo la fondamenta della Giudecca parlando del suo libro Sulla pelle viva, una catastrofe annunciata, non ancora pubblicato. Era l’unica giornalista che apprezzasse il mio lavoro e il mio laboratorio con gli studenti di Ca’ Foscari su “il Mestiere dell’attore in teatro, cinema e televisione”.

Tina Merlin nasce nel 1926 a Trichiana, in provincia di Belluno, da Cesare, un muratore emigrante, e Rosa dal Magro, una contadina. La più piccola di otto fratelli, lavora a servizio e nei campi. Dopo essere stata a Milano a fare la donna di servizio e la bambinaia, torna a Trichiana. Il fratello Antonio, comandante del battaglione Manaram muore in combattimento, entra allora come l’altra Tina, come staffetta, nella Resistenza. Nel 1949 sposa il partigiano Aldo Sirena, chiamerà il figlio Antonio come il fratello. Nel 1951 comincia la sua carriera giornalistica, sarà collaboratrice dell’Unità a più riprese, sarà anche processata nel ’59 per i suoi articoli di denuncia sui lavori di costruzione della diga del Vajont.

L’accusa è di diffondere notizie FALSE e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico. Sarà assolta perché il fatto non sussiste. Cercherà in tutti i modi di impedire la costruzione in quel punto delle montagne. Il suo libro Sulla pelle viva sarà pubblicato dopo anni di tentativi nel 1983. Fu chiamata la “Cassandra del Vajont”, ma vorrei che le sue parole fossero imprese in questo 25 Aprile del 2020: “Io assolvo al compito di messaggera del dolore della gente delle mie vallate. Denunciare non basta, gridare non conta niente. Quello che conta è l’impegno di ognuno per far cambiare le cose. E l’unità di tutti quelli che credono che bisogna cambiare una politica prospettandone una diversa”.

Queste due donne erano caratterizzate da OSTINAZIONE, DETERMINAZIONE, FEDE, la convinzione di fare qualcosa di importante e di essere sempre pronti a combattere pur aspettando e progettando con pazienza. Sto lavorando da molto tempo su queste due figure parallele perché possano essere conosciute e riconosciute dalle nuove generazioni, oggi dove Pace e Resistenza devono coniugarsi.

Le due Tine. Quando la Memoria diventa coscienza ultima modifica: 2022-04-24T19:43:11+02:00 da GIANNI DE LUIGI

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