Quale Francia ci racconta la vittoria di Macron

Il presidente francese è stato nettamente rieletto in un’elezione con un alto livello di astensione. Il paese resta profondamente diviso e l'ostilità - a torto o a ragione - non sembra essere venuta meno nei confronti del presidente ri-eletto. Le Pen incassa il risultato più alto della storia dell'estrema destra. Ma ancora una volta fallisce. E questo sarà un problema nei prossimi anni. Nel frattempo a sinistra Mélenchon diventa il dominus.
MARCO MICHIELI
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Emmanuel Macron vince il secondo turno delle elezioni presidenziali con il 58,54 per cento, anche se con quasi otto punti – e due milioni di voti – in meno rispetto al 2017. Un risultato però netto e non scontato per un presidente in carica. È infatti la prima volta che un presidente viene rieletto senza dover passare per una coabitazione. Ed erano vent’anni che un presidente francese non era rieletto: l’ultimo fu Jacques Chirac contro Jean-Marie Le Pen. Il presidente uscente ha inoltre affrontato innumerevoli crisi, dai gilet gialli all’omicidio di Samuel Paty, dagli scioperi contro la riforma delle pensioni all’incendio di Notre Dame, fino al Covid-19 e oggi la guerra in Ucraina.

Ma l’elezione di Macron è storica anche perché c’è stata la più alta astensione dal 1969. Il tasso di astensione è stato del 28,01 per cento: dei 48,7 milioni di elettori registrati, 13,6 milioni non hanno votato. A questi si aggiungono 2,2 milioni di schede bianche (4,57 per cento degli elettori registrati) e quasi 791.000 voti non validi (1,62 per cento).

È un’elezione storica anche per Marine Le Pen che fallisce nel suo terzo tentativo ma ottiene 41,46  per cento, il livello più alto di sempre dell’estrema destra in un’elezione presidenziale. I due candidati sono così separati da quasi 5,5 milioni di voti: erano dieci nel 2017.

Nel suo discorso dopo la vittoria Macron ha cercato di mantenere un tono sobrio, certamente non trionfalista. Ha riconosciuto che molti hanno votato per lui solo per fermare Le Pen, ha ricordato il livello relativamente alto di astensione e ha sottolineato come persistano enormi divisioni sociali. Un’ostentazione di umiltà necessaria, come ha sottolineato Alexis Brézet su Le Figaro:

[…] nell’ora del suo trionfo, non è mai stato così vulnerabile. Non solo non beneficerà di alcuno stato di grazia, ma i guai non aspetteranno il giorno della sua inaugurazione per colpirlo […] la sua legittimità non è in discussione. Quando il popolo ha parlato, ha parlato. Ma si può essere legittimi e fragili allo stesso tempo. Eletto per l’effetto di un rifiuto più che per il suo progetto, vittorioso alla fine di una campagna senza slancio, Emmanuel Macron non è portato da alcun entusiasmo popolare. Non può vantare alcun sostegno della maggioranza al suo programma o alla sua persona. Al contrario: lui, il seduttore, che tanto ama piacere ed essere gradito, è oggetto di ostilità, a volte di odio, in grandi settori di opinione, la cui intensità lascia senza fiato.

Il “fronte repubblicano” – la barriera di tutti i partiti contro l’estrema destra – si è indebolito ulteriormente ma per ora sopravvive. Secondo le prime indagini di Ipsos, il 42 per cento degli elettori di Jean-Luc Mélenchon al primo turno ha votato per Macron al secondo, 10 punti in meno rispetto al 2017. E il 17 per cento di loro ha votato Le Pen, 10 punti in più rispetto al 2017. Una stanchezza rispetto al fronte repubblicano che ne fa venir meno l’automatismo che l’aveva caratterizzato in passato.

Per Macron si aprono oggi una serie di tappe che lo porteranno alla inaugurazione e poi alle legislative. Dovrà in particolare decidere se continuare con l’attuale primo ministro Jean Castex oppure trovare una figura nuova, per includere quegli elettori che non lo hanno votato o lo hanno votato forzatamente. Un’impresa non facile poiché il primo ministro potrebbe trovarsi a dover passare la mano alle elezioni legislative di giugno, se la coalizione presidenziale non dovesse vincere le elezioni legislative. Sono tutti passi molto complessi perché saranno un’indicazione di come Macron intende cominciare il suo nuovo mandato. Ma sarà importante anche per capire chi potrebbe essere a succedergli della sua maggioranza, quando nel 2027 dovrà lasciare la presidenza (non sono possibili che due mandati consecutivi). Si porrà in questa legislatura il problema del macronismo senza Macron.

La sconfitta di Le Pen

Nel suo discorso di sconfitta Marine Le Pen ha dichiarato che il risultato ottenuto è “una vittoria clamorosa” per il suo partito:

Nonostante due settimane di metodi ingiusti, brutali e violenti, le idee che rappresentiamo stanno raggiungendo nuove vette. […] Continuerò il mio impegno per la Francia e per il popolo francese più che mai.

Durante i mesi delle presidenziali, complice anche la candidatura di Eric Zemmour, la figura di Marine Le Pen si è “normalizzata”, grazie anche a una campagna elettorale intelligente tutta focalizzata sulla crisi del potere d’acquisto. Una normalizzazione non accettata ancora da una maggioranza, come si è visto dal voto. Secondo Ipsos, 6 francesi su 10 pensano ancora che il Rassemblement National sia un partito razzista, nazionalista e pericoloso per la democrazia. Tuttavia l’idea di una possibile vittoria dell’estrema destra ha sedotto un elettorato più ampio rispetto alla volta scorsa. 

Quello che però è il miglior risultato di sempre dell’estrema destra ne rappresenta anche i limiti attuali. Anche se il fronte repubblicano si è indebolito, il marchio “Le Pen” rimane un’opzione avversa alla mobilitazione dell’elettorato. È quello che ha sottolineato ieri Eric Zemmour, che voleva ergersi ad avversario di Marine Le Pen:

È l’ottava volta che la sconfitta cade sulla famiglia Le Pen

ha dichiarato qualche minuto dopo la presa di parola di Marine Le Pen. Una strategia quella di Zemmour – di farsi trait d’union tra estrema destra e destra repubblicana – bocciata dalle urne e dal richiamo al voto utile nelle ultime settimane di campagna. Ma che a destra si apra una fase di discussione nessuno ne dubita. Ieri uno dei sostenitori di Marine Le Pen, Robert Ménard, sindaco di Béziers e fondatore di Reporters sans frontières, ha dichiarato che quella della leader del Rassemblment National “è una sconfitta” dovuta, continua, a “una posizione sull’Europa che non ha senso” poiché Le Pen “non è capace di dire ‘sì, siamo europei, difendiamo l’Europa, ma vogliamo cambiarla dall’interno’”:

Sulle questioni economiche, nella rincorsa a Mélenchon, si finisce per dire qualsiasi cosa. Su quello che è successo in Ucraina, sì, c’è un tropismo filorusso in tutta una parte della destra.

Della discussione a destra faranno parte anche gli eredi del gollismo, quel partito Les Républicains la cui candidata – Valerie Pécresse – ha raccolto il 4,78 per cento dei voti. Il risultato più basso di sempre per la destra repubblicana, sotto la soglia del 5 per cento necessaria per ottenere i rimborsi elettorali. Lo scontro interno al partito – che conta su un folto numero di parlamentari e di amministratori locali – si è acuito in questi giorni con la posizione ufficiale del “nessun voto a Le Pen”, lasciando libertà di scelta rispetto al voto per Macron o l’astensione. Nicolas Sarkozy, che il partito l’ha fondato, ha invece deciso di appoggiare apertamente Macron, molti pensano in cambio di un accordo per le legislative. Il partito della destra si trova quindi, come ormai da anni, diviso tra coloro che vogliono unirsi a Macron o coloro che vogliono rimanere all’opposizione. Ma restare all’opposizione, se i rapporti di forza con Le Pen dovessero invertirsi alle legislative, potrebbe far saltare definitivamente il partito.

Il “terzo turno” delle Legislative

Le legislative sono “iniziate” domenica sera. Finora, i francesi hanno quasi sempre dato la maggioranza al presidente eletto o rieletto. Nel 2017 la sbornia post-elettorale ha portato al record del 50 per cento di astensione alle elezioni legislative. Oggi però potrebbe essere diverso.

I tre poli usciti dalle presidenziali – centro, estrema destra, sinistra populista – si ri-affronteranno alle legislative. Ieri un sondaggio Harris dava la coalizione presidenziale tra i 328 e i 368 parlamentari (su 577). Una maggioranza ampia che lascia comunque aperti i problemi interni all’area macroniana, tra ala destra e ala sinistra del movimento e le ambizioni alla successione di Macron. Al partito di Le Pen andrebbero tra i 75 e 105 deputati – sarebbe un nuovo risultato storico – mentre Mélenchon otterrebbe tra i 25 e i 45 deputati. Les Républicains si vedrebbero ridotti di numero (tra 35 e 65 deputati), ma socialisti e conunisti riuscirebbero a mantenere una pattuglia parlamentare (25-45 il PS, 5-10 il PCF). Nell’ipotesi di Harris di alleane a destra e a sinistra, il risultato non sarebbe diverso. L’area di Macron in alleanza con Les Républicains otterrebbe tra i 326 e 366 deputati; la’lleazna tra Le Pen e Zemmour tra i 117 e 147 deputati; Mélenchon in alleanza con socialisti, verdi e comunisti otterrebbe tra i 73 e i 93 deputati. 

Si tratta ovviamente di primi sondaggi. Molto dipenderà dalla capacità di mobilitazione dei partiti che potrebbe permettere elezioni triangolari al secondo turno delle legislative. Motivo per il quale sia La France Insoumise sia il Rassemblment National devono tenere mobilitati i propri elettori.

Jean-Luc Mélenchon intende capitalizzare il voto utile ottenuto alle elezioni legislative per impedire al presidente di avere una maggioranza favorevole. Per questo li leader della sinistra populista domenica ha attaccato duramente Macron, subito dopo il risultato del voto:

Macron è il presidente più male eletto della Quinta Repubblica. La sua monarchia presidenziale sopravvive per difetto e sotto il vincolo di una scelta di parte. […] Il mio pensiero va alle future vittime di questa situazione. La gente che vive sotto la RSA […] la gente che è finanziariamente presa alla gola e che non vedrà i prezzi bloccati […] A tutti loro dico ‘non rassegnatevi’. Al contrario, agite, francamente, in modo massiccio […] La democrazia può darci il momento di cambiare rotta.

Mélenchon ha poi continuato, guardando alle elezioni legislative:

Il terzo turno inizia stasera. Il 12 e il 19 giugno iniziano le elezioni legislative. Potete battere il Macron. Un altro mondo è ancora possibile se si elegge una maggioranza di deputati dell’Unione Popolare, che deve espandersi. Il Blocco Popolare […] è il terzo potere che può cambiare tutto. Il 12 e il 18 giugno, chiedendovi di eleggermi come vostro primo ministro, vi invito a creare insieme un nuovo futuro per il nostro popolo.

Non è un percorso facile quello di Mélenchon per arrivare al ruolo di primo ministro. E non è detto che lo voglia. Ma annunciandolo cerca di strutturare il campo della sinistra , per cercare di trattenere il voto utile che lo ha premiato la sera del primo turno e affermarsi come il dominus dell’area. Un elettorato, quello del voto utile a sinistra, che lo ha messo in una posizione di forza ma che non è stabilmente parte della sua base elettorale. La scommessa di Mélenchon è però quella di presentarsi ancora come la sola scelta valida a sinistra ed evitare perdite di voti che potrebbero essere fatali nei triangolari o quadrangolari a cui potremmo assistere alle elezioni legislative. Si vota infatti in due turni e passano al secondo turno tutti i candidati deputati che hanno ottenuto più del 12,5 per cento dei voti (se nessuno ha ottenuto il 50 per cento). Mal che vada, Mélenchon potrebbe definitivamente sedersi sul trono della sinistra francese, senza più gli “odiati“ socialisti e con i verdi e i comunisti in una posizione ancillare, pronti ad accogliere tutte le richieste del leader della sinistra (programma della France Insoumise e candidature alle legislative proporzionali ai voti ottenuti alle presidenziali).

Difficile vedere anche Marine Le Pen e Eric Zemmour sormontare le rispettive diffidenze. Manca il tempo per candidature congiunte. E l’interesse: il sistema di finanziamento dei partiti è legato al numero di candidati e ai punteggi del primo turno delle elezioni legislative. Più si presentano candidati e meglio è. Come per Mélenchon, anche a Le Pen non è stato dato un assegno in bianco. Dovrà fare appello anche lei ancora una volta al voto utile. Ma le legislative attraggono meno rispetto alle presidenziali. Soprattutto se consideriamo che gli anziani – che hanno votato soprattutto per Macron – votano di più.

La frattura generazionale e sociale

È infatti la frattura generazionale uno dei temi di quest’ultima elezione. Secondo una ricerca di OpinionWay, il 53 per cento degli elettori tra i 18 e i 24 anni ha votato per il candidato presidente e il 47 per cento per Le Pen. Sempre secondo OpinionWay, Marine Le Pen è in testa tra i 25-34enni con il 57 per cento dei voti, per poi scendere gradualmente a vantaggio di Emmanuel Macron tra le categorie più anziane. Quest’ultimo è quindi favorito dagli over 65 con il 69 per cento dei voti.

Bruno Jeanbart, vicepresidente di OpinionWay, ha dichiarato che questa tendenza già osservata nel 2017 si è accentuata durante questa elezione:

Spesso si fa la caricatura del basso punteggio di Emmanuel Macron tra i giovani spiegando che è a causa delle sue mancanze sulla questione ambientale. Ma se fosse davvero così, non si rivolgerebbero a Marine Le Pen. È soprattutto il risultato del sentimento di declassamento dei giovani, che sentono di non avere un posto nella società.

L’altra frattura è quella rispetto al reddito degli elettori: tra le famiglie che guadagnano meno di 1.000 euro al mese, Marine Le Pen ha ricevuto il 56 per cento dei voti. È anche leggermente in vantaggio tra coloro che guadagnano tra 1.000 e 2.000 euro al mese (51 per cento). Al di sopra di questo reddito, la tendenza si inverte. Emmanuel Macron quindi è in testa tra le categorie socio-professionali superiori, con il 67 per cento dei voti, sale al 72 per cento tra i dirigenti ed è in testa tra gli impiegati (57 per cento), in particolare tra quelli che lavorano nel settore pubblico (62 per cento). Marine Le Pen è invece in vantaggio tra i disoccupati (58 per cento) e tra i lavoratori dipendenti. Tuttavia, ha ottenuto solo il 53 per cento dei voti in questo elettorato, dove è tradizionalmente in una posizione forte.

Dati da prendere con cautela. Soprattutto quello dei giovani. Il 41 per cento dei giovani in questa fascia d’età non è andato alle urne, quasi 13 punti sopra il livello di astensione nazionale. 

L’astensione del secondo turno è infatti la più alta dal 1969. Per il politologo Bruno Cautrès, è dovuta al “dilemma morale” che molti elettori si sono trovati ad affrontare tra bloccare Le Pen e votare senza convinzione per Macron. Ha interessato più o meno tutte le tranches di popolazione ma tra i giovani tra i 18 e i 24 anni ha raggiunto risultati inquietanti su cui la politica dovrà interrogarsi.

A febbraio un’inchiesta dell’Institut Montaigne, coordinata da Olivier Galland e Marc Lazar aveva cercato di mettere in luce la scarsa partecipazione dei giovani alla politica. La ricerca sottolineava come una parte significativa dei giovani non si identificasse con nessun partito o tendenza politica, o per ignoranza o per disinteresse o per rifiuto. Ma Galland e Lazar indicavano anche il declino dell’attaccamento al principio del governo democratico derivante dalle libere elezioni: quasi la metà dei 18-24enni parte della ricerca aveva risposto di non considera “molto importante” vivere in un paese governato democraticamente. Secondo Marc Lazar:

Questa generazione è affetta da un profondo malessere democratico su cui è interesse dei leader politici aprire gli occhi. Questo avrà senza dubbio delle conseguenze alle urne in termini di assenteismo. Un quarto degli intervistati – quelli che abbiamo chiamato i “disimpegnati” – sono indifferenti alla politica, ma una percentuale significativa, quasi il 40 per cento, sta cercando una democrazia partecipativa. Questi sono potenziali voti per i candidati. La questione è come coinvolgerli.

Quale Francia ci racconta la vittoria di Macron ultima modifica: 2022-04-26T10:03:18+02:00 da MARCO MICHIELI
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