Arrestato il cardinale Zen, Hong Kong sotto il tallone di Xi

BENIAMINO NATALE
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Con l’arresto a Hong Kong, nella serata locale dell’ 11 maggio, del novantenne cardinale Joseph Zen e di altri quattro popolari esponenti del movimento democratico, la Cina del presidente Xi Jinping ha accelerato il suo cammino verso il ritorno agli anni del Grande Salto in Avanti e della Rivoluzione Culturale. A notte fonda, Zen e gli altri sono stati rilasciati su cauzione. Rimane il fatto che arrestare il cardinale Zen ad Hong Kong equivale a un sonoro schiaffo, o se preferite a uno sputo, sulla faccia dei democratici del territorio, dei loro simpatizzanti nel resto del mondo e della Santa Sede.

L’ufficio stampa del Vaticano ha affermato di aver appreso la notizia “con preoccupazione” e ha aggiunto che sta “seguendo l’evolversi della situazione”. Per la Chiesa cattolica, l’arresto di Zen potrebbe segnare la fine della politica di apertura alla Cina seguita con ostinazione da Papa Francesco nonostante non abbia finora dato alcun risultato positivo per i cattolici cinesi. Dell’accordo – il cui testo è segreto – si sa che prevede la nomina concordata dei vescovi in Cina. Raggiunto nel settembre del 2018, l’accordo è stato rinnovato per due anni nel 2020 e scadrà il prossimo ottobre, Zen ha novant’anni, il suo nome e il suo volto sono legati in modo indissolubile a tutte le battaglie per le democrazia e per i diritti umani che si sono svolte negli ultimi decenni a Hong Kong e nella Cina continentale (il cardinale è nato a Shanghai nel 1932). Il suo prestigio morale va ben oltre i confini della piccola comunità cattolica dell’ ex-colonia britannica ed è molto alto in tutto il territorio.

Con Zen sono stati arrestati un’altra popolarissima figura, l’avvocatessa ed esponente democratica Margaret Ng (74 anni), la altrettanto popolare cantante Denis Ho, il professor Huei Po-keung e l’ex-deputata Cyd Ho: per tutti, l’accusa è di “collusione con forze straniere” motivata dal fatto che sono i “garanti” del 612 Humanitarian Relief Fund, fondato nel 2019 per aiutare gli attivisti arrestati e multati per la loro partecipazione alle manifestazioni pro-democrazia.

A proposito di democrazia, ricordiamo che l’elezione del capo del governo a suffragio universale è indicata come il “fine ultimo” da perseguire dalla Costituzione di Hong Kong, un documento siglato da Margaret Thatcher per conto dell’ex-potenza coloniale, il Regno Unito, e dall’allora primo ministro cinese Zhao Ziyang nel 1997. Invece, due giorni dopo la nomina da parte di Pechino dell’ex-poliziotto John Lee a “chief executive” – cioè capo del governo – ecco una nuova ondata di arresti “eccellenti” e sicuramente provocatori. Ormai tutti o quasi gli esponenti del movimento democratico di Hong Kong – dal ventenne studente Joshua Wong all’ultrasettantenne editore Jimmy Lai passando per il giurista democratico Martin Lee (82 anni) o sono in galera o sono stati condannati a pene detentive e sono in libertà provvisoria.

Una volta considerata un’isola di libertà nella Cina autoritaria, oggi Hong Kong è governata da una spietata dittatura ligia agli ordini di Pechino.

La nuova ondata di arresti nell’ex-colonia britannica viene mentre è ancora in corso la feroce quarantena imposta da quasi due mesi ai circa 25 milioni di abitanti di Shanghai, la capitale (o ex-capitale) economica della Cina. Il lockdown imposto in nome della politica di “zero-Covid” propagandata da Xi Jinping e dai suoi sostenitori dovrebbe essere la prova della potenza e della infallibilità del Partito comunista cinese (Pcc). Gestito in modo improvvisato dalle autorità locali, il lockdown della metropoli è stato descritto da alcune delle vittime con racconti da far accapponare la pelle: razioni di cibo che non arrivano, fattorini che dovrebbero distribuirle abbandonati a se stessi, frequenti battibecchi e scambi di sberle tra cittadini esasperati e poliziotti: in una parola, un disastro.

La politica voluta da Xi Jinping e applicata a Shanghai dai suoi fedelissimi è stata criticata anche dal direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus, secondo il quale si tratta di una strategia che “non è più sostenibile”. Come da copione, Ghebreyesus è stato definito “irresponsabile” dal numero uno della “wolf diplomacy” di Pechino, Zhao Lijian. Da sottolineare è il fatto che Ghebreyesus è stato in passato un deciso sostenitore della Cina e di Xi Jinping, arrivando a presenziare alla cerimonia di apertura dei Giochi olimpici Invernali di Pechino nonostante il “boicottaggio diplomatico” decretato da Usa, Canada, Australia e da buona parte dell’Europa. La Cina di Xi assomiglia sempre di più ad un paese grande e ricco ma isolato, incattivito e in polemica costante col resto del mondo: una Corea del Nord più grande e molto più pericolosa del piccolo regno di Kim Jong-un.

Arrestato il cardinale Zen, Hong Kong sotto il tallone di Xi ultima modifica: 2022-05-12T14:58:43+02:00 da BENIAMINO NATALE
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