Diversi che più diversi non si potrebbe, Ancelotti e Mourinho, vincitori rispettivamente della Champions League alla guida del Real Madrid e della Conference League al timone della Roma, sono accomunati da un elemento che spicca nel primo ma, a ben guardare, è presente anche nel secondo: l’umanità. Se Carletto, da sempre, è considerato un padre più che un allenatore, per la sua capacità innata di instaurare con i giocatori un rapporto di affetto e d’amicizia, Mou è sì ritenuto un sergente di ferro, e lo è, ma al tempo stesso non esiste un solo calciatore che si lamenti o parli male di lui. E se questo accade è perché anche il portoghese ha un’abilità particolare nell’entrare nella mente e nel cuore dei suoi ragazzi.
Basti citare un nome su tutti: un fenomeno come Eto’o, reduce dai fasti col Barcellona, che nell’Inter del triplete si sacrificò al punto di ricoprire spesso il ruolo di terzino, consentendo a Diego Milito di segnare una caterva di gol e di risultare decisivo nelle tre partire più importanti della stagione e, in particolare, al Bernabéu nella finale di Champions contro il Bayern Monaco. E che dire di Carletto, che a Parigi ha visto due fuoriclasse come Modrić e Benzema indossare con diligenza i panni dei gregari, sacrificandosi per tutta la gara a favore dei campioni del futuro, Valverde e Vinicius Jr., non a caso artefici dell’azione che ha regalato al Real la quattordicesima coppa dalle grandi orecchie?
Ci spiace per i cultori del “cattivismo”, per coloro che hanno sempre ritenuto Ancelotti un “bollito”, un tecnico ormai superato e dai modi troppo affabili per farsi strada nella giungla contemporanea, e Mourinho un mezzo pazzo che ha ormai perso il tocco magico, ci spiace, ma se questi due miti hanno vinto ancora è proprio perché non si sono rassegnati alla barbarie.
E no, non c’entra il gioco sparagnino, il pragmatismo e altre analisi un tantino sciatte che si leggono in giro. C’entra, semmai, la simbiosi che entrambi riescono a creare con il gruppo, il fatto che per loro ogni giocatore darebbe tutto e finisca con il dare qualcosa in più e lo spirito di sacrificio che riescono a instillare anche in coloro che si sentono primedonne e vorrebbero sempre esibirsi ritagliarsi un ruolo da protagonisti.
C’entra il rispetto che si sono guadagnati in carriere che parlano da sole, anche se qualcuno ogni tanto arriva a metterne in dubbio le qualità, a dimostrazione che il senso del ridicolo è una virtù assai meno diffusa di quanto sarebbe necessario. E c’entra, senza ombra di dubbio, il loro magnifico anacronismo, il loro essere due personaggi fuori dal tempo e oltre il tempo, la loro universalità, come se gli anni passassero per gli altri mentre loro vanno avanti per la propria strada, con convinzioni radicate e metodi che si basano sul rispetto reciproco e sul pieno coinvolgimento dei singoli nel progetto collettivo, senza cedimenti all’individualismo sfrenato che caratterizza quest’epoca “nuovista”.

Hanno sempre allenato grandi squadre, è vero, ma non è un caso che i principali club europei sognino di affidarsi a loro e siano disposti a compiere ingenti investimenti per garantirsi la loro presenza in panchina. Se succede, ormai da vent’anni e più, è perché parliamo di due garanzie, di due profili in grado di cambiare il volto a qualsiasi squadra, grazie alla calma l’emiliano e all’effervescenza, anche dialettica, il Vate di Setúbal.
Vincono e convincono perché riescono a ottenere dal prossimo ciò che solo chi ha fiducia negli altri e convinzione nei propri mezzi può ottenere. E se in Carletto tutto ciò si accompagna a una squisita umiltà, in Mou è evidente che prevalga una presunzione che, tuttavia, può ampiamente permettersi. Roma, per fortuna, costituisce una realtà a parte nel contesto di un’Italia sempre più imbarbatita. Certamente, è ridotta male, si è persa la spontaneità di un tempo e anche le atmosfere dell’era Sensi non esistono più; fatto sta che, col suo disincantato cinismo e la sua grande e inimitabile bellezza, la capitale sa regalare ancora emozioni che non si possono descrivere a parole.
Per questo, anche nei momenti più difficili, Mourinho è stato amato, coccolato, difeso, affiancato da una tifoseria esigente ma unica nel suo genere e, infine, ci si è affidati a lui come a una sorta di guida spirituale, all’insegna di un fideismo di cui, se il soggetto in questione non fosse un santone bonario, ci sarebbe quasi da aver paura. Quanto al tecnico di Reggiolo, non può eserci spazio per uno come lui in un Paese che si prende sempre troppo sul serio, in cui non esiste più il concetto di serenità e nel quale ogni forma di gentilezza è considerata alla stregua di un cedimento. Peccato che, mentre noi abbiamo la guerra dentro e una disumanità dilagante ovunque, Carletto continui a vincere altrove. Ha imparato presto a sognare e non ha alcuna intenzione di smettere. Con un sigaro in bocca e il sopracciglio alzato.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!