[PARIGI]
Per la prima volta dal 1997 la gauche si presenterà unita alla competizione per le legislative. Questa volta però la leadership della sinistra non sarà di un partito “di governo”, il ruolo storicamente assunto dal Parti Socialiste (PS). A guidare la sinistra francese sarà La France Insoumise (LFI), il partito populista di sinistra di Jean-Luc Mélenchon.
Nonostante il fallimento delle “primarie popolari” di gennaio, che cercavano di trovare una candidatura comune della sinistra per le elezioni presidenziali, il risultato di Mélenchon al primo turno (21,95 per cento) ha costretto i vari partiti della sinistra a una riflessione. In dieci giorni sono stati quindi siglati diversi accordi elettorali bilaterali: tra La France Insoumise e i verdi di Europe Écologie Les Verts (EELV) il 2 maggio; con il Partito Comunista Francese (PCF) il giorno successivo; e due giorni dopo con il PS.
La nuova alleanza, ribattezzata Nupes ovvero Nuova Unione Popolare Ecologica e Sociale, ha indicato come “primo ministro”, in caso di vittoria, lo stesso Mélenchon – che non sarà candidato all’Assemblée Nationale -, una candidatura atipica in un paese dove il potere di nomina del primo ministro spetta al presidente della repubblica.
A quasi una settimana dal primo turno delle elezioni legislative, secondo Ifop, la coalizione di Emmanuel Macron sarebbe al 27 per cento, davanti alla Nupes (25 per cento) e al Rassemblement National di Marine Le Pen (21 per cento). Al secondo turno, la coalizione di Macron dovrebbe ottenere tra i 275 e i 310 deputati, un numero più basso rispetto ai sondaggi di qualche giorno fa e a rischio di non avere una maggioranza assoluta (289 seggi). La coalizione della sinistra è un po’ in risalita e il sondaggio Ifop le attribuisce tra i 170 e i 205 seggi.
Che il presidente riesca a ottenere una maggioranza o meno, sembra tuttavia difficile che Mélenchon realizzi il suo obiettivo apparente: imporre una coabitazione a Emmanuel Macron.
Tuttavia, non è detto che la strategia de La France Insoumise delle legislative sia volta soltanto alla conquista dell’Assemblé Nationale. Quello che è infatti riuscito a fare Mélenchon in questi mesi è quello di riunire la gauche attorno al programma elettorale de La France Insoumise, obbligando partiti storicamente più moderati come i socialisti e, in parte, i verdi, ad accettare posizioni più radicali su tematiche europee, economiche e anche sociali. Una “vittoria” ideologica per l’ex deputato socialista che potrebbe rivelarsi utile per le elezioni presidenziali del 2027, anche decidesse di non ripresentare la propria candidatura.
Il programma della Nupes sposta infatti l’asse della gauche radicalmente a sinistra. Il segretario dei verdi Julien Bayou l’ha definito come una sorta un’operazione “Robin Hood legalizzata”. Questo programma comune prevede 650 misure e tra le più emblematiche vi sono un salario minimo di 1.500 euro netti, il pensionamento a 60 anni, il blocco dei prezzi, la creazione di una Sesta Repubblica, un referendum sull’iniziativa popolare e la disobbedienza alle regole europee. Per finanziare questa vasta gamma di misure, la Nupes prevede 250 miliardi di spese e 267 miliardi di entrate. Si prevede di raccogliere 163 miliardi di euro attraverso “tasse più eque”, 52 miliardi di euro dalla lotta all’evasione e alla frode fiscale e altri 52 miliardi di euro “dalla creazione di posti di lavoro e dall’aumento dei consumi”.
Mélenchon ha spiegato che il programma fa parte di “una rottura controllata, ragionata, ma decisa”, per abbattere “il sistema in cui viviamo, un sistema di indifferenza e irresponsabilità ecologica, di predazione in campo economico e capitalistico, e di negazione della democrazia”. Mélenchon ha comunque ammorbidito alcune delle sue posizioni. Per esempio sul suo desiderio di far uscire la Francia dalla Nato, ha dichiarato che non prenderà alcuna decisione sull’argomento che impedisca “la realizzazione dell’unione delle sinistre”. Anche sulla questione nucleare, il programma della Nupes non esprime una posizione definitiva, ma si limita ad auspicare il raggiungimento del 100 per cento di energia rinnovabile entro il 2050. Una posizione che va incontro al PCF che si oppone all’abbandono del nucleare.
Tuttavia i problemi programmatici rimangono. L’adesione degli altri partiti di sinistra al programma presidenziale di Mélenchon non ha fatto venir meno le fratture esistenti tra i vari partiti della sinistra francese.

Dietro questi accordi bilaterali rimangono infatti molti punti di divergenza. Sull’invasione russa dell’Ucraina, ad esempio. Verdi e socialisti sostengono l’invio di armi all’Ucraina, Mélenchon si è detto favorevole ai tentativi di de-escalation del conflitto, senza specificare precisamente che cosa intenda. Sebbene Mélenchon sia stato criticato per le sue posizioni filorusse in passato, per il suo non allineamento e per il suo desiderio di lasciare il comando integrato della NATO, tuttavia oggi sembra aver attenuato questa posizione e ha infatti dichiarato di essere
di fronte a una guerra di aggressione scatenata dal governo di Putin contro l’Ucraina con atti di totale barbarie che ora si accompagnano a minacce nucleari.
Ha anche assicurato che se la Nupes dovesse vincere le elezioni, non vi sarà contrasto con il presidente Macron sulla politica estera, ma che “la Francia parlerà con una sola voce”. Un cambio di toni nei confronti del presidente della repubblica, col quale Mélenchon concorda che “l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea non sarebbe una buona cosa”.
Ma le fratture riguardano anche altre tematiche. Per esempio, a differenza degli accordi con gli altri partiti, l’intesa con i socialisti parla di pensionamento a 60 anni, ma con un’attenzione particolare per le carriere lunghe e i lavori difficili. Sulla questione energetica, come detto, la Nupes ha posizioni differenti, con i verdi e Mélenchon che sostengono un’uscita totale dal nucleare, mentre il PCF propone di investire maggiormente nel settore.
Ma è sull’Unione europea che le divisioni sono più profonde. Ad esempio, LFI, EELV e il PCF presuppongono la volontà di “disobbedire” alle regole europee. Per esempio l’accordo tra Mélenchon e i Verdi afferma esplicitamente che la Francia non rispetterà “alcune” regole europee, elencate tra parentesi:
(le) regole economiche e di bilancio come il Patto di stabilità e crescita, il diritto della concorrenza, gli orientamenti produttivisti e neoliberisti della Politica agricola comune, ecc.
L’accordo con il PS invece non menziona “la disobbedienza”. Con abili giochi di parole, il segretario del PS Olivier Faure si è detto contrario alla disobbedienza ma favorevole ad “obiezioni transitorie”.
Resta comunque il tema di maggiore frizione. Anche se Mélenchon oggi dice di sostenere “un anticapitalismo ragionato” ed è lontano dalle sue proposte del 2017 quando chiedeva la fine de trattati comunitari e l’uscita dalla moneta unica, il leader della gauche sostiene la possibilità di un “opt-out”, cioè la non applicazione parziale di elementi dei trattati europei. L’opt-out però non è uno strumento che consente di scegliere da un menu à la carte le norme europee da applicare. Si tratta di uno strumento negoziato con gli altri Stati membri, ed è difficile che questi ultimi accettino che la Francia si sottragga, per esempio, alle regole della concorrenza mentre loro ne subiscono le conseguenze economiche e sociali senza alcuna compensazione. Inoltre, anche se la Commissione europea e la Corte di giustizia dell’Unione europea possono impiegare mesi o addirittura anni per reagire alla “disobbedienza”, il giudice nazionale può impedire l’applicazione di un testo o di qualsiasi atto contrario al diritto europeo, in poche settimane o addirittura giorni.
Sul piano economico i dubbi della componente “socialdemocratica” della Nupes non sono comunque da meno. È quello che ha sottolineato Terra Nova, un think tank vicino al PS. Secondo Guillaume Hannezo, socialista ed ex consigliere economico di François Mitterrand, un governo guidato da Mélenchon sarebbe costretto a fare la “scelta Tsipras”:
[…] sottoporsi a un piano di austerità senza precedenti e implorare il sostegno dei nostri partner, oppure entrare nel caos dell’uscita dall’euro, che provocherebbe uno shock economico: ridenominazione di tutti i crediti e debiti, crollo delle banche, default dello Stato e fallimenti a catena nel settore privato.
Una preoccupazione condivisa anche da altri osservatori. Secondo l’Istituto Montaigne, un think tank liberale attento ai programmi economici dei partiti, se dovesse applicarsi il programma della Nupes, questo avrebbe un impatto significativo sulle finanze pubbliche. Alcune delle misure proposte dalla gauche sono infatti estremamente costose, come il diritto di andare in pensione a 60 anni (costo di circa 86 miliardi) o la garanzia di autonomia dei giovani (circa 14,8 miliardi di euro all’anno). Misure che, dicono all’Istituto Montaigne, comporterebbero un peggioramento del deficit e del debito pubblico che porrebbe la Francia in una situazione di non conformità con le regole di bilancio della zona euro, che dovrebbero riprendere nel 2023.
Il timore è che il programma ambizioso di Mélenchon faccia la stessa fine di quello di François Mitterrand del 1981, a cui molti lo paragonano. Un programma quello del 1981 che aveva portato soltanto due anni dopo alla svolta dell’austerità, a causa dei conti pubblici in rosso. Una preoccupazione che ha lanciato recentemente anche l’ex presidente socialista François Hollande, in guerra aperta contro Mélenchon:
Immaginiamo che ci sia una maggioranza Nupes: questo programma, data l’importanza delle spese che prevede, date le promesse che fa, si scontrerebbe con la realtà, e sarebbe incapace di essere eseguito,
ha dichiarato davanti alla stampa, in un incontro pubblico in compagnia dell’ex primo ministro socialista Bernard Cazeneuve, per sostenere una candidata dissidente del PS.

François Hollande non ha gradito la nuova alleanza di sinistra a guida Mélenchon. Non solo perché l’obiettivo è quello di smantellare molte delle decisioni prese durante il suo quinquennato. O per l’antica faida tra l’ex presidente e l’allora leader della sinistra interna socialista, ai tempi dei congressi del PS. Hollande non ha gradito vedere un candidato de La France Insoumise nel suo ex collegio elettorale in Correze. Tanto che ha accarezzato l’idea di candidarsi nuovamente nella circoscrizione.
Ma non è soltanto una polemica personale. E non è soltanto l’opposizione dei vecchi elefanti del PS come appunto Hollande, Cazeneuve, l’ex ministro dell’agricoltura Stéphane Le Foll o l’ex segretario del PS Jean-Christophe Cambadélis. Mentre l’ex candidata socialista alle presidenziali Anne Hidalgo evita di occuparsi delle elezioni legislative, già in difficoltà nel comune di Parigi, sono 63 i candidati dissidenti del PS che si candidano in circoscrizioni dove sono presenti candidature de La France Insoumise e della Nupes. Ed è la socialista Carole Delga, la presidente della regione Occitanie, a guidare la fronda.
Tutti e tre i partiti che hanno stretto accordi con Mélenchon hanno dovuto far fronte a fronde interne. Dal lancio della campagna elettorale della Nupes, Fabien Roussel, segretario del PCF ed ex candidato presidenziale, ha evitato minuziosamente di presenziare alle occasioni importanti della nuova coalizione. Soprattutto non smette di sottolineare che si tratta solo di un semplice “accordo elettorale”.
Anche un altro candidato della gauche alle presidenziali, il verde Yannick Jadot, è diventato molto discreto. Non ha preso parte alle negoziazioni con La France Insoumise e non rilascia dichiarazioni. Nel frattempo è proprio il suo partito a creare alcuni problemi sul tema della laicità, che è divisivo all’interno della sinistra. L’ex avversario alle primarie verdi di Jadot, il sindaco di Grenoble Eric Piolle, ha infatti deciso di consentire nella sua città l’uso del “burqini”, il contrastato costume da bagno femminile che copre interamente il corpo, tranne faccia, mani e piedi. Piolle in nome del “progresso sociale” e della “libertà”, ha difeso il diritto delle donne musulmane di nuotare con questo costume ma esponenti della sua maggioranza comunale hanno denunciato il burqini come veicolo di “un discorso che mette in discussione l’emancipazione delle donne”. Una questione locale che è diventata presto una controversia nazionale e sfruttata non solo dalla destra e dall’estrema destra.
E non è un episodio isolato. Già qualche settimana prima, sulle tematiche della laicità e del razzismo, erano nate polemiche per la candidatura da parte de La France Insoumise del giornalista e attivista anti-razzista Taha Bouhafs. L’attivista è però soprattutto noto per alcune dichiarazioni antisemite e razziste, come quando ha definito una poliziotta e sindacalista come “arabe de service”. Fabien Roussel e altri esponenti della sinistra sono intervenuti per contestare la scelta della candidatura che poi è stata ritirata. Nel frattempo infatti Bouhafs è stato accusato di violenza sessuale.
Se il risultato delle elezioni legislative dovesse essere quello indicato dai sondaggi, è probabile che la Nupes resti soltanto un accordo passeggero, utile a garantire il sostegno finanziario dei partiti che riusciranno ad entrare in parlamento, alcuni dei quali devono affrontare gravi problemi di bilancio. Troppe le divergenze e molti i dubbi sulla leadership di Mélenchon da parte degli altri partiti. Ma si tratta anche di un passaggio essenziale per molti dei partiti tradizionali – socialisti in testa – per cercare di riprendere in mano la guida della gauche, senza farsi indicare come dei “traditori”.
Sui voti di centrosinistra passati e restati a Macron – e che potrebbero tornare liberi tra cinque anni, quando il presidente non potrà ricandidarsi – il problema se lo porranno un’altra volta. Per ora i socialisti non sembrano essere usciti dall’antica ambiguità mitterrandiana, divisa tra la retorica radicale e l’azione di governo. Un’ambiguità che proprio durante il mandato di Hollande ha rivelato ancora una volta i suoi limiti, quando il presidente che definiva la finanza mondiale il suo nemico si è ritrovato a fare i conti con la dura realtà budgetaria.


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