[PARIGI]
Il 12 giugno per il primo turno delle elezioni legislative Marine Le Pen dovrà cercare di mobilitare gli elettori che l’hanno votata alle presidenziali per poter partecipare al più alto numero di secondi turni possibili. In teoria Il Rassemblement National (RN) avrebbe le carte in regola per ottenere risultati significativi in termini di rappresentanza parlamentare. Ma la dinamica politica che si è venuta a creare nel match tra la coalizione di Emmanuel Macron e la Nupes di Jean-Luc Mélenchon, da un lato, e la legge elettorale, dall’altro, potrebbero rendere questi risultati molto meno spettacolari di quanto i sondaggi inizialmente indicassero.
Nonostante infatti il 21 per cento delle intenzioni di voto per i candidati del partito di Le Pen al primo turno delle legislative, RN potrebbe ottenere allo stato attuale tra i 20 e i 45 seggi. Potrebbe farne addirittura meno de Les Républicains, il partito di Nicolas Sarkozy e François Fillon, la cui candidata alla presidenziali – Valérie Pécresse – aveva ottenuto il 4,8 per cento dei voti. È il frutto del doppio turno. Ma non solo. La nuova alleanza di sinistra a guida Mélenchon comporta la presenza di un nuovo avversario più che competitivo; il centrodestra, malgrado il risultato deludente delle presidenziali, conta ancora su una classe politica molto radicata a livello locale; la sola riserva di voti di Le Pen in caso di secondo turni per le legislative sono dei piccoli partiti della destra sovranista e nazionalista e la formazione dello scrittore e giornalista Éric Zemmour, con il quale però la leader del RN non sembra avere intenzione di stringere alcun accordo.
Per il RN però si tratta di un’elezione importante dal punto di vista finanziario. Il partito ha un debito di 24 milioni di euro, e durante le elezioni legislative, ogni voto conta: un voto rappresenta 1,50 euro versati ogni anno per cinque anni. Se il risultato fosse troppo basso, con risultati simili a quelli del 2017, il partito potrebbe arrivare alla bancarotta. Una prospettiva lontana, almeno secondo i sondaggi, ma che comunque inquieta l’organizzazione del partito.
Il partito dei Le Pen non è nuovo a dinamiche di questo tipo. Nel 2017, dopo una buona performance presidenziale (con il 21,3 per cento al primo turno e 33,9 per cento al secondo), il partito ha ottenuto solo 13 per cento e otto deputati alle elezioni legislative. È possibile che quest’anno le cose siano leggermente diverse in termini di percentuali e in termini di rappresentanza parlamentare finale. Ma in ogni caso rimangono numeri da testimonianza parlamentare. Se la colazione di Macron dovesse vincere le elezioni, il ruolo di opposizione principale in Parlamento sarà svolto dalla Nupes di Mélenchon, come nel 2017 fu svolto da Les Républicains.
Non che sia necessariamente un vantaggio in termini elettorali. Il ruolo di principale opposizione di Macron non ha consentito a Les Républicains di ottenere un risultato “onorevole” alle elezioni presidenziali. Tuttavia le elezioni legislative arrivano nel momento del più grande successo di Marine Le Pen – ha guadagnato più di 2 milioni di elettori in cinque anni e il suo risultato (41,5 per cento) la avvicina ad altri perdenti delle elezioni, come Ségolène Royal nel 2007 (47 per cento) o Jacques Chirac nel 1988 (46 per cento) – ma anche di enormi difficoltà. Le Pen infatti è alla terza candidatura alle presidenziali e non sembra intenzionata a candidarsi nel 2027. E il problema della successione e della sopravvivenza di un partito-creatura della famiglia Le Pen si porrà. E si sta già ponendo.
Le Pen ha infatti indicato nel giovane ventisettenne Jordan Bardella un possibile successore e candidato alle presidenziali del 2027. Bardella è deputato europeo e vice presidente del partito ma, al di là dei ruoli, non sembra fare l’unanimità all’interno di un partito che in passato non si è fatto problemi a mettere in discussione le azioni e le scelte della famiglia Le Pen stessa. Se Bardella non può contare sulla “protezione” che il marchio Le Pen garantisce all’interno del partito, non ha neanche attorno a sé molti alleati.
La questione della successione però riporta in primo piano quelli che sono i limiti del RN. È vero che ha ottenuto il migliore risultato di sempre. Ma Marine Le Pen ha perso. E non di poco. Al suo partito manca ancora la capacità di ridurre notevolmente quel gap elettorale che, per quanto indebolito, è ancora il frutto del fronte repubblicano contro l’estrema destra. Se nel 2017 il RN aveva individuato l’errore della campagna elettorale nella volontà di uscire dall’euro – con conseguente partenza di Florian Philippot, l’architetto dell’antieuropeismo lepenista e della de-demonizzaizone del partito -, oggi, al momento del maggiore trionfo di Le Pen, il partito potrebbe accorgersi che il principale svantaggio per essere maggioranza nel paese è la stessa famiglia Le Pen. Un nome che rimane un marchio sicuro per il nucleo degli elettori del RN ma che evoca repulsione nella maggior parte dell’elettorato. Un elemento sul quale Zemmour ha insistito durante la campagna elettorale, senza grande successo. Ma il problema rimane.

È proprio su Zemmour che sembra potrebbe esserci un regolamento di conti interni al partito di Le Pen. Soprattutto sul tema potrebbe pagarne le conseguenze proprio il giovane Jordan Bardella che si è speso per un accordo elettorale per le legislative, poi naufragato, con Reconquête!, il partito di Zemmour. Il polemista francese che nei sondaggi di qualche mese prima delle elezioni presidenziali sembrava impensierire Marine Le Pen è nel frattempo in grande difficoltà.
Il 7 per cento delle elezioni presidenziali, anche se hanno posizionato Zemmour al di sopra della candidata del centrodestra Valérie Pécresse, è stato un risultato molto al di sotto delle aspettative. E il rischio di non ottenere alcun deputato alle legislative è reale. Un risultato non inatteso per un movimento appena fondato ma che smorza la volontà di lanciare ulteriori sfide alla leader del RN.
Marine Le Pen sembra intenzionata a distruggere sul nascere il partito di Zemmour, al quale ha rimproverato di aver indebolito il fronte sovranista e nazionalista durante le elezioni presidenziali. “Se non siamo arrivati in testa alle elezioni presidenziali” ha detto Le Pen, “è perché si è candidato Éric Zemmour”. E ha aggiunto:
Per una questione di ego, a causa di un grave errore analitico, (Éric Zemmour) pensava di poter ottenere la fiducia dei francesi più del Rassemblement National. Si è sbagliato gravemente, ma all’improvviso ha indebolito il campo nazionale, questa è una certezza. Se in un certo numero di circoscrizioni non saremo in testa, sarà anche a causa dei candidati (di Reconquête!, visto che sanno benissimo che non saranno eletti.
La leader dell’estrema destra ha quindi dichiarato di “accettare l’autonomia” di Reconquête! nelle elezioni legislative. Ovvero, ciascuno per la propria strada. Che nel caso di Reconquête! è molto complessa.
Anche se il partito di Zemmour correrà in tutte le circoscrizioni, attualmente secondo i sondaggi dovrebbe ottenere tra uno e quattro deputati. E non è detto che uno di questi sia proprio Zemmour, candidato nella circoscrizione di Var (Saint Tropez). Paracaduto in una circoscrizione con cui non ha alcun legame, Zemmour deve anche affrontare la ribellione di alcuni candidati contro la scarsa organizzazione del movimento: materiale della campagna arrivato in ritardo e mancanza di aiuti finanziari sono le principali critiche. Molti pensano già al dopo, a un partito nel quale il polemista riprenderebbe le proprie conferenze tematiche, lasciando ad altri la guida del movimento, come per esempio la scuola per dirigenti del partito che sarà affidata a Marion Maréchal, vicepresidente del partito di Zemmour e nipote di Marine Le Pen.
Che il partito identitario di Zemmour sia considerato più come una zavorra che un’opportunità, non sembra pensarlo solo Marine Le Pen. Nonostante il tentativo di Zemmour di porsi come trait d’union tra l’estrema destra e la destra repubblicana, al suo appello per unire le destre non ha risposta neanche l’altro “grande” partito della destra: Les Républicains.

Il partito erede delle famiglie politiche della destra repubblicana è a sua volta alle prese con la sonora sconfitta di Valérie Pécresse e le “incursioni” di Emmanuel Macron nell’elettorato – e nell’apparato – del centrodestra. Mentre nel 2017, dopo la vittoria di Macron, il partito di centrodestra era riuscito a salvare un centinaio di deputati, questa volta dovrebbe perderne non pochi, pur appoggiandosi al radicamento locale dei propri candidati deputati.
Manca però una figura nazionale, di fronte a tre schieramenti – sinistra, estrema destra e centro – chiaramente identificabili con alcune personalità.
La destra repubblicana soprattutto non riesce a trovare una sintesi tra chi vorrebbe spostare il partito su posizioni più tradizionali di centrodestra – europeista e conservatore – e chi lo vorrebbe più a destra, su posizioni in grado di recuperare voti al partito di Le Pen. La stessa candidata Pécresse si è ritrovata prigioniera di queste contraddizioni. Considerata come una moderata del partito si è trovata a sostenere posizioni più centriste e posizioni più in linea con la destra del partito ed è risultata una cacofonia che gli elettori hanno bocciato, di fronte alla presenza di Macron e Le Pen.
Lo scontro interno al partito post-elettorale si è anche fatto più intenso. La destra del partito per esempio ha attaccato il fondatore di LR, Nicolas Sarkozy, chiedendogli di chiarire la sua posizione, vista la vicinanza dell’ex presidente al Macron. Laurent Wauquiez, l’ex leader del partito, sembrerebbe voler riprenderne la guida, ma la sua strategia – spostare nettamente a destra il partito – era stata bocciata dagli elettori alle elezioni europee del 2019.
Potrebbe essere però la linea migliore in attesa della “partenza forzata” di Macron tra cinque anni, non più (immediatamente) ricandidabile. Molto dipenderà anche dalla capacità di Horizons, il partito guidato dall’ex primo ministro Édouard Philippe, alleato di Macron, di riunire l’ala moderata de Les Républicains nella sua nuova formazione politica.


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