Ricordo ancora il titolo del Corriere dello Sport l’indomani: “Più che la Corea poté la FIFA” e ogni riferimento era, ovviamente, rivolto all’ineffabile arbitro Byron Moreno. Quella con la Corea del Sud del 18 giugno 2002, valida per gli ottavi di finale dei Mondiali nippo-coreani, fu una delle partite più brutte di sempre: non tanto per il gioco espresso in campo, al contrario di buona fattura, quanto per l’indegno condizionamento arbitrale di un fischietto ecuadoriano che, per dannosità, riuscì probabilmente a superare il signor Aston, l’arbitro della corrida di Santiago del Cile di quarant’anni prima, quando gli Azzurri di Ferrari e Mazza se ne tornarono a casa con le ossa rotte al termine di un incontro in cui i cileni avevano picchiato come fabbri per il puro gusto di far male.
Orgoglio calpestato, rabbia, furia locale per via della presenza di oriundi nelle file italiane e molti altri elementi furono tra i fattori decisivi che scatenarono una furia senza precedenti, mentre Aston osservava intimorito lo svolgersi degli eventi e assecondava gli umori dei padroni di casa, sentendo, pavidamente, di non poter fare altro. Moreno riuscì, se possibile, a far peggio, inventando un rigore per i coreani all’inizio, annullando un gol valido a Tommasi per un fuorigioco inesistente, espellendo Totti senza motivo e conducendo per mano i coreani ai quarti di finale, con rete decisiva, a pochi minuti dalla conclusione dei tempi supplementari, del perugino Ahn.
Fu uno scandalo di proporzioni internazionali, reso ancor più grave dalla serie di episodi vergognosi che si sarebbero verificati, cinque giorni dopo, ai quarti contro la Spagna, a sua volta gravemente danneggiata da una messe di errori arbitrali che avrebbero indotto alcuni osservatori a gridare allo scandalo.
Vent’anni fa asisstemmo, tuttavia, anche al teatrino di un’Italia che si stava purtroppo avviando a diventare irrilevante sulla sena globale, con i massimi vertici del nostro calcio che rimasero pressoché in silenzio, non sapendo cosa dire e cosa fare al cospetto di un Paese indignato e desideroso di sentire parole chiare e nette, di condanna senza appello, di fronte a un’indecenza che aveva privato una delle compagini azzurre più forti di sempre di una qualificazione che avremmo ampiamente meritato. Va detto, a onor del vero, che dopo la vittoria iniziale contro l’Ecuador, eravamo riusciti nell’impresa di perdere contro la Croazia e di non andare al di là di un mesto pareggio col Messico nell’ultima partita del girone; pertanto, non è che avessimo iniziato col piede giusto la nostra avventura mondiale.

Va detto, altresì, che contro i coreani avevamo però disputato una buona gara, condizionata da decisioni che non possono essere derubricare a errori, trattandosi piuttosto di una conduzione a senso unico nella quale ai nostri non venne perdonato nulla mentre loro vennero aiutati in maniera spudorata. Del resto, anche contro Croazia e Messico avevamo subito dei torti arbitrali, ma anche in quei casi, dai piani alti della FIGC, non erano giunte le proteste necessarie.Ricordo bene i commenti del giorno dopo, i titoli dei giornali, il fatto che ovunque non si parlasse d’altro, come d’altronde capitava quando ancora ci qualificavamo alla fase finale dei Mondiali, e la rabbia collettiva anche per quel silenzio, per quel senso di abbandono, per quei vertici che mostrarono, agli occhi di una Nazione stravolta, un’incomprensibile remissività, costringendo i giocatori a mettere la faccia su una disfatta che lasciò in tutte e tutti noi un amaro in bocca che si sarebbe dissolto solo quattro anni dopo con il trionfo di Berlino.
La FIFA di Blatter, un nome, un programma, diede il peggio di sé, facendo intravedere un declino che andava ben al di là dello sport, in un mondo ancora scosso dalle conseguenze delle tragedie dell’estate precedente e all’inizio di un degrado senza fine che avrebbe sconvolto per sempre gli equilibri globali. Quell’edizione la vinse il Brasile: meritatamente, anche se nelle partite che precedettero la finale era risultato spesso molto simpatico agli arbitri. Sconfisse in finale una solida e combattiva Germania e terza arrivò la Turchia, con i coreani quarti fra lo sgomento generale.
Vent’anni dopo i Mondiali per noi sono diventati un miraggio. Sui vertici federali, di ieri e di oggi, preferisco non esprimermi e sulla classe dirigente in generale nemmeno. Eccezion fatta per la gloria in terra tedesca, diciamo che dal disastro di Seoul non ci siamo più ripresi. E il futuro, calcisticamente e non solo, oggi appare alquanto incerto.

Immagine di copertina: Ahn Jung-hwan esulta dopo il golden gol che eliminò l’talia agli ottavi di finale. All’epoca giocava proprio in Italia, nel Perugia, in prestito dal Busan l’Cons e il giorno dopo la partita, disputata il 18 giugno 2002, il presidente dei grifoni Luciano Gaucci, in un’intervista concessa a La Gazzetta dello Sport, dichiarò di non avere più l’intenzione di pagare lo stipendio a uno che era stato la rovina del calcio italiano

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