Prendendo a prestito un’accezione di uso comune, ma ormai registrata anche dal vocabolario Treccani, mi verrebbe da scrivere che la prossima Biennale Teatro (dal 24 giugno al 3 luglio) sarà un cinema di festival.
Una definizione suscitata da contenuti e varietà – tra originalità e stravaganza – delle proposte di peripezie, storie, drammi, avventure che gli spettacoli in programma mostreranno. Ma anche un riferimento diretto alla marea di immagini che, dalla quotidianità della vita di ciascuno, sembra tracimare anche sul palcoscenico, specchio e termometro della società, sommergendo talvolta la parola e il suo uso evocativo. Ed ecco, dunque, le potenti prossime irruzioni delle immagini filmate sulle scene veneziane e una connotazione anfibia delle personalità artistiche invitate al prossimo Festival, il cinquantesimo dedicato al teatro (programma completo su labiennale.org), capaci di muoversi, indifferentemente, in ambienti e ambiti diversi.

È il caso del Leone d’oro di quest’anno: la brasiliana Christiane Jatahy. Artista associata del Piccolo Teatro di Milano, ma anche della Schauspielhaus di Zurigo e di istituzioni di Parigi e Boston, che si definisce autrice, regista di teatro e cineasta. Jatahy arriverà a Venezia, proveniente dalle Wiener Festwochen, e prima di partecipare al Festival di Marsiglia, portando The Lingering Now/ O Agora que Demora, basato sull’Odissea ( 24 e 25 giugno).
Seconda parte di un dittico, lo spettacolo che si vedrà nella sala delle Tese dell’Arsenale, prendendo ispirazione da Omero parla di migrazioni oggi e della ricerca di una terra sicura, rompendo i confini tra cinema e teatro.
The Lingering Now – dice Jatahy – forse è un film o forse no. Forse è un’opera teatrale ma inizia come un film.

La narrazione attraverso linguaggi ibridi tra performance e reportage tra docu-film e multimedia happening è anche colonna vertebrale del lavoro del Leone d’argento di quest’anno: Samira Elagoz (Helsinki 1989, origini egiziane, studi all’Università delle arti di Amsterdam). In quattro ore di spettacolo (30/6 Tese dell’Arsenale, per un pubblico adulto), Elagoz con Seek Bromance, titolo che è riferimento a un rapporto affettivo tra due “transmasculine”, racconta un incontro, avvenuto all’inizio della pandemia, divenuto collaborazione e relazione con l’artista e modello brasiliano Cade Moga.
Milo Rau (1977) regista, drammaturgo, giornalista e saggista svizzero, che nel 2007 ha fondato una casa di produzione teatrale e cinematografica (l’Istituto Internazionale di Omicidio Politico), sarà alla Biennale Teatro con uno spettacolo (1 e 2 luglio) e con la rassegna di film Activism and Intimacy.
Quest’ultima – quattro lungometraggi, tre dei quali saranno proiettati a palazzo Trevisan degli Ulivi alle Zattere – è organizzata in collaborazione con la Fondazione Svizzera per la cultura Pro Helvetia e con il Consolato generale della Svizzera a Milano. Al Teatro Piccolo Arsenale (1 e 2 luglio) andrà in scena La Reprise, Histoire(s) du Théâtre (I), titolo che è una doppia citazione: di un testo del filosofo Søren Kierkegaard e di un documentario di Jean Luc Godard.

Una storia, con scene di violenza (visione consigliata sopra i 16 anni) che accosta recitazione e video per ricostruire una tragedia moderna che è anche fatto di cronaca: un brutale omicidio avvenuto nel 2012.

La creatività interdisciplinare, sotto altra forma, è la cifra espressiva anche di Caden Manson, co-fondatore e direttore dell’ensemble newyorkese Big Art Group a Venezia con la prima europea di Broke House (26 e 27 giugno, Teatro Piccolo Arsenale) performance realizzato seconda la tecnica del Real Time Film, che fonde teatro e cinema. Una meditazione sull’America in cui lo spettatore viene trascinato in una dinamica voyeuristica da “Grande Fratello”.
Al meccanismo voyeuristico rimanda anche il nome della compagnia belga Peeping Tom (2 e 3 luglio al Teatro alle Tese), preso a prestito da un personaggio della leggenda di Lady Godiva.

Triptych è il titolo del lavoro: gli attori/danzatori si muovono in una scenografia che ricorda un set cinematografico alla David Lynch. È un viaggio labirintico in cui il pubblico è immerso nella mente di un uomo la cui vita scorre come un film.
Video e riprese dal vivo sono anche parte di un’opera particolarmente attesa a Venezia: Brief Interviews with Hideous Men – 22 Type of Lonliness della regista lettone, naturalizzata americana, Yana Ross (27 e 28 giugno alle Tese, per un pubblico adulto). Tratto dall’omonimo testo di David Foster Wallace, lo spettacolo di Ross scava per far emergere le testimonianze femminili, entra nelle pieghe della mascolinità tossica e comprende, senza censure, rappresentazioni esplicite di sesso dal vivo.

Reminiscenze cinematografiche stratificate emergono anche da Sovrimpressioni di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini (30/6 e 1/7 Sala d’Armi Arsenale) ispirato a Ginger e Fred di Fellini.
A Diario di un pazzo di Nikolaj Gogol (28 e 29 giugno, Tese dei Soppalchi) si rifà, invece, Loco, realizzato dalla regista russa, residente a Bruxelles, Natacha Belova e dall’attrice cilena Tita Iacobelli. Una rappresentazione che, alle nuove tecnologie, preferisce le tecniche proprie del teatro di figura: in scena attori e burattini a grandezza naturale.
Il cartellone – in tutto 42 appuntamenti in dieci giornate e 130 artisti presenti – sarà completato dalla densa sezione di produzioni di Biennale College, riservata ad autori, registi e attori emergenti.

Filo di Arianna, nel dedalo di spettacoli, saranno i testi di Alda Merini letti al termine di ogni serata negli spazi aperti dell’Arsenale. È il Late Hour Scratching Poetry, un “fuori orario” affidato a voci femminili: otto attrici under 35 (selezionate in collaborazione con l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico) e tre interpreti famose che si muovono tra cinema e teatro: Asia Argento, Sonia Bergamasco, Galatea Ranzi.
Intitolato Rot – vocabolo tedesco per il colore rosso, che, secondo Stefano Ricci e Gianni Forte, sembra più graffiante nella lingua di Goethe – il 50mo Festival della Biennale è il secondo del quadriennio affidato al duo di autori-registi. Guardando a La commedia umana di Balzac, i due direttori hanno pensato a un unico progetto in quattro capitoli contraddistinti dai colori. Blu (2021), rosso (2022) e poi verde per concludere con bianco e nero.
Una tavolozza che rimanda ancora al cinema e a me appare citazione e omaggio sotterraneo a una trilogia-capolavoro (con premi alla Mostra di Venezia ma anche a Berlino): i Tre Colori di Krzysztof Kieślowski, creatore di film “sospesi“ che ogni spettatore è, in fondo, chiamato a completare interiormente. Un cinema senza effetti speciali che profuma intensamente di letteratura e di teatro e usa le immagini, caricandole di evocazioni, come fossero parole.

Immagine di copertina: (da sinistra) Lucia Ronchetti, Direttrice del settore Musica; Wayne McGregor, Direttore del settore Danza; Gianni Forte e Stefano Ricci, Direttori del settore Teatro. (© Andrea Avezzù)

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