Cinque elezioni in meno di quattro anni. Un record mondiale. Un “Re”, Benjamin “Bibi” Netanyahu, defenestrato, che punta alla vendetta politica più che a una rivincita. Una sinistra a pezzi, divisa tra governisti e puristi. Il variegato fronte delle destre che si prepara a una guerra senza esclusioni di colpi. Un primo ministro, Naftali Bennett, costretto a gettare la spugna e a rinfoderare, forse definitivamente, le mai nascoste ambizioni di gareggiare con il suo ex maestro, Netanyahu, nell’essere il premier più longevo nella storia dello Stato ebraico. Israele, dal caos al terremoto politico. Il “governo del cambiamento” è durato 305 giorni. Ora è “the end”. E non c’è il lieto fine. Perché quella che è deflagrata è molto più di una crisi politico-istituzionale. È una crisi di sistema.
L’ufficio di Bennett ha comunicato che il provvedimento che scioglie la Knesset – il parlamento di Gerusalemme – sarà proposto allo stesso parlamento la settimana prossima. Una volta approvato, il governo di transizione che condurrà a nuove elezioni generali sarà guidato da Yair Lapid, attuale ministro degli Esteri, come previsto dagli accordi legali di maggioranza. Al momento infatti Lapid, leader del partito laico centrista dello Yesh Atid, ricopre la carica di “premier alternato”, introdotta nel 2020, e secondo la legge avrebbe dovuto succedere a Bennet (leader della coalizione di destra Yamina) il 27 agosto del 2023.
Sia Bennett sia Lapid hanno parlato, lunedì sera, alla nazione in diretta tv, dicendo di aver “esaurito le opzioni per stabilizzare la coalizione” di fronte alle continue ribellioni di deputati. La decisione di convocare nuove elezioni “non è stata facile” ma “è giusta”, ha detto il premier uscente, assicurando di aver “fatto tutto il possibile per far durare il governo più a lungo”. Ma quel tutto non è stato sufficiente. Con ogni probabilità le nuove elezioni anticipate si terranno ad ottobre. E tutti gli analisti politici a Tel Aviv concordano su un punto: a giocarsi la partita che ha come posta in pallio la guida d’Israele sono in due: Benjamin Netanyahu e Yair Lapid.
ytali.com pubblicò un’intervista esclusiva con Lapid nel 2020, quando Israele era avviato a elezioni anticipate. Lette alla luce degli accadimenti politici che investono oggi Israele, le sue considerazioni appaiono di straordinaria attualità. Riproponiamo qui di seguito quell’intervista.


Quello che si sta consumando è un fallimento annunciato. Il fallimento di un governo nato, a detta dei suoi promotori, per combattere e vincere la “guerra” al Covid-19, e che invece ha ridotto il paese in ginocchio, con un sistema sanitario a pezzi, con una economia in dissesto, con l’aumento vertiginoso di sacche di povertà. Israele continua ad essere ostaggio di un primo ministro che persegue sempre e solo i suoi interessi personali, che usa il potere per ergersi al di sopra della legge, smantellando pezzo dopo pezzo lo stato di diritto. E ora che Benny Gantz ha avuto un sussulto di dignità, Netanyahu torna a minacciare nuove elezioni anticipate, le quarte in due anni.
A sostenerlo, in questa intervista esclusiva concessa a ytali è Yair Lapid, il leader del partito laico centrista Yesh Atid. Nelle ultime elezioni, Lapid era stato copromotore con Benny Gantz di Kahol Lavan (Blu e Bianco). Un’alleanza che si era rotta quando l’ex capo di stato maggiore dell’Idf ha deciso di far nascere l’esecutivo di cui Netanyahu è premier.
Una scelta – rimarca Lapid – disastrosa, che i nostri elettori hanno rigettato nella loro grande maggioranza e che ha finito per portare acqua al mulino di Netanyahu e dei suoi sodali.
Israele sembra avviato a nuove elezioni anticipate, le quarte in due anni. Un record mondiale. Sorpreso per questa accelerazione della crisi di governo?
Sorpreso? Per niente. Indignato e furente, questo sì. Perché un primo ministro incapace e irresponsabile sta conducendo il paese nel baratro. Netanyahu ha utilizzato l’emergenza pandemica per dar vita a un governo che aveva come suo compito prioritario, come obiettivo assoluto, la guerra al coronavirus. Questa “guerra”, Netanyahu l’ha condotta nel modo più scellerato possibile, minimizzandone la portata nella prima fase della pandemia, salvo poi adottare misure di lockdown fatte a uso e consumo del suo tornaconto politico…
Un’accusa pesantissima.
No, pesantissimo è il prezzo che gli israeliani hanno dovuto pagare a un primo ministro che ha irriso gli esperti, e ha modulato le chiusure sugli equilibri di potere interni alla coalizione che lo sostiene. Come altro spiegare l’aver ceduto al ricatto dei partiti ultraortodossi che hanno preteso di lasciare aperte le yeshiva (scuole talmudiche, ndr) e le loro sinagoghe, favorendo così la diffusione del virus!

Ma al governo sono presenti, e in ruoli di primo piano – Esteri, Difesa, Giustizia – anche esponenti di quel Blu e Bianco di cui anche lei faceva parte.
È vero, ne ho fatto parte. E lo rivendico con orgoglio. Perché Kahol Lavan era nato per offrire al paese un’alternativa seria, credibile, alla destra guidata da Netanyahu. Un’alternativa democratica. Ed è per questo che gli elettori ci hanno votato, e non per scendere a patti con colui che combattevamo. Porre fine all’era Netanyahu era la missione di Kahol Lavan. Ma c’è chi ha tradito questa ispirazione, e ora è chiamato a fare i conti con un fallimento politico.
In prima lettura, la Knesset ha votato per lo scioglimento di questa legislatura, ma diversi analisti politici a Tel Aviv sostengono che si tratta di una mossa per costringere Netanyahu a presentare un bilancio biennale.
Chi sostiene questa ipotesi, evidentemente non conosce bene Netanyahu. Nell’“arte” dei giochi di potere, lui non ha eguali. Solo Gantz poteva illudersi che Netanyahu stesse ai patti e accettasse la staffetta a premier, che sarebbe dovuta scattare a metà del prossimo anno. Ma Netanyahu a questa staffetta non ha mai creduto, anche se ufficialmente l’ha accettata. Il suo obiettivo era un altro: logorare Gantz, spaccare Kahol Lavan e poi andare a nuove elezioni da premier in carica. E questo ha fatto, fin dal primo giorno del suo reinsediamento.

E ora, nuove elezioni anticipate?
È una prospettiva devastante ma a questo punto credo inevitabile. Chi ha responsabilità di governo s’assume una responsabilità gravissima: in nessun paese democratico al mondo, in piena pandemia, si chiede ai cittadini di tornare al voto. Una campagna elettorale con il lockdown! Ma a questo ci sta conducendo Benjamin Netanyahu…
I sondaggi lo danno ancora favorito.
I sondaggi, soprattutto in questa fase, sono alquanto “volatili”. Una cosa però è certa, e sottovalutarla sarebbe un imperdonabile errore politico: Netanyahu ha radicalizzato la destra, ha fidelizzato una parte di elettorato che ha deciso di considerare come un fatto secondario i reati di cui Netanyahu deve dar conto in tribunale. Hanno creduto alla “congiura”, al “golpe” dei giudici manovrati dalla sinistra, dai “comunisti”, evocato da Netanyahu. Questa parte del paese ha sposato in toto l’estremismo di Netanyahu, il suo modo di concepire la gestione del potere, il considerare ogni avversario come un nemico o un traditore da additare al linciaggio della piazza. Questa parte d’Israele è forte ma non è maggioranza.

È possibile ricomporre Kahol Lavan?
La vedo molto difficile. La ferita della rottura è ancora viva, e brucia ancora. Esiste un problema di credibilità agli occhi di un elettorato che si è sentito tradito da scelte rivelatesi alla prova dei fatti fallimentari. Certo, si può fare autocritica, ammettere di aver sbagliato, ma non si può pretendere di essere ancora alla guida di una coalizione anti-Netanyahu. Non è un problema personale, è politica.
Se si andrà a nuove elezioni anticipate, saranno le prime con un nuovo inquilino alla Casa Bianca.
Per Netanyahu la sconfitta di Trump è stato un colpo durissimo da assorbire, visti i legami tra i due. Biden sarà un presidente amico d’Israele, su questo non ho dubbi, ma eserciterà questa amicizia in modo più “dialettico”, senza staccare assegni in bianco. E questo è un bene per Israele.

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