L’arte di “Macronare”

L’apprendista-re Macron è stato rieletto. E subito sconfessato. Ci voleva solo una vox populi straniera, che ci ha regalato un neologismo, per decifrare la Francia: "Macroner". L’hanno inventato, gli ucraini, il termine, per designare l'arte di fare bei discorsi, senza seguito.
PATRICK GUINAND
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I francesi hanno votato. L’apprendista-re Macron è stato rieletto. E subito sconfessato. Ci voleva solo una vox populi straniera, che ci ha regalato un neologismo, per decifrare la Francia: “Macroner“.
L’hanno inventato, gli ucraini, il termine, per designare l’arte di fare bei discorsi, senza seguito. Una specie di arte verbale del menare il cane per l’aia. E il linguaggio quotidiano l’ha adottata, a significare la manovra che consiste nel dire che si è preoccupati per una situazione, e soprattutto nel mostrarsi preoccupati per quella situazione, per poi non fare nulla per rimediare.

Come spesso accade, la vox populi è caricaturale, ma anche gli elettori francesi hanno finito per considerare che il presidente Macron, durante il suo primo quinquennio, si è limitato a macronizzare, e gli ha negato una “maggioranza forte e netta” in Parlamento come lui desiderava, per rimetterlo di fronte alla realtà. Una maggioranza relativa, insufficiente quindi a declinare per altri cinque anni la favola di Giove, e una conseguente opposizione di sinistra come di destra per obbligare Giove a dialogare con i suoi oppositori, e a rilanciare la democrazia.

Il disincanto non è una novità di questo mese di maggio 2022. Già nel 2018, pochi mesi dopo la sua prima elezione, avevamo notato su queste pagine i primi segni di erosione della popolarità, e della cecità del popolo francese. Già allora si evidenziavano le capacità retoriche macroniane e la realtà deleteria degli atti concreti. L’articolo s’intitolava: “Il re (quasi) nudo”.

Da allora, tra il perdurare ostinato di detta condotta “giupiteriana”, non contrastata da una maggioranza parlamentare ai suoi ordini, un Parlamento ridotto a camera di ratifica della volontà presidenziale, tartuferie sapientemente distillate, marketing politico spacciato per politica, effetti annuncio senza sostanza e senza seguito, acrobazie mediatiche come la Convention citoyenne sur le  climat, con risultati alla fine pari a zero, e gli effetti dolorosi della disgregazione sociale e del graduale smantellamento dei servizi pubblici. Il clima è impazzito.

I sondaggi prima delle elezioni legislative annunciavano una probabile sconfitta della maggioranza macroniana (prevista meno schiacciante di quanto non sia stata in realtà, il partito dei “marciatori” macroniani perde infatti quasi la metà dei suoi deputati, passando da 309 a 160), il presidente, di fresca rielezione, ha tentato ancora pochi giorni prima delle elezioni legislative di proporre la creazione di un “Conseil National de la  Refondation”, che riunisse forze politiche e sociali, sindacati, associazioni, rappresentanti eletti dei territori, incaricato di “dare vita alle riforme”, per discutere le principali sfide del momento, potere d’acquisto, salute, sicurezza, immigrazione, clima, difesa, Europa, ecc. e per rimettere insieme la Francia. In effetti, è proprio il ruolo devoluto al Parlamento, che Macron ha cercato un’ultima volta di aggirare, in un ultimo macronage. Gli elettori hanno risposto. E il suddetto Conseil National de la  Refondation sembra nato morto.

In questi giorni il Presidente ha consultato i vertici dei partiti, per cercare di sbloccare la situazione parlamentare, a oggi ingovernabile. Tutti hanno rispedito al mittente gli abbozzi di partnership o di coalizione. Ha detto chiaramente di no Christian Jacob, il leader del Parti Républicain (64 deputati), pure la cosiddetta destra moderata di Chirac e Sarkozy, che i macronisti vorrebbero annettere, avendone Macron già sottratti diversi nei cinque anni del suo precedente mandato, con pratiche stile Berlusconi. L’influente senatore socialista Patrick Kanner riassume perfettamente il quadro: “Il re è nudo. Che se la sbrogli lui!“. Da quasi nudi, siamo passati al nudo integrale…

Emmanuel Macron a Kiev, accolto da Volodimyr Zelenskyy, con Mario Draghi e Olaf Scholz

Il teatro politico e parlamentare è dunque in subbuglio. E anche se se ne parla di rado, tutti sanno che Macron è stato rieletto presidente sulla base di un voto anti-Le Pen, non del suo programma, peraltro molto vago, essendo di fatto limitato alla continuità con il quinquennio precedente, non avendo Giove ritenuto opportuno discuterne durante la campagna elettorale. La tracotanza dell’iperpresidente si è rivoltata contro di lui. Inoltre, vale la pena ricordare che al primo turno delle elezioni presidenziali ha raccolto solo il venti per cento dei voti degli iscritti nelle liste elettorali. Una legittimità alla fine formalizzata ovviamente dalle elezioni del secondo turno, una legittimità però non popolare. Olivier Faure, leader del Parti Socialiste (31 deputati), inserito nella Nouvelle Union Populaire Écologique et Sociale (Nupes)(149 deputati), ricevuto martedì all’Eliseo, avrebbe detto al presidente Macron: “Giove, è finita!“ .

Non sappiamo ancora come in questo poker politico riusciranno a farsi sentire le voci dei nuovi eletti. Come Rachel Keke, ex donna delle pulizie, leader dello sciopero vittorioso all’interno della catena alberghiera Ibis, eletta nelle liste di Nupes in Val-de-Marne (contro l’ex ministro dello Sport del governo Macron!), che si ripromette di “difendere gli invisibili” e tutti gli occhi sono per lei. O altri rappresentanti della “Francia dal basso”, questa Francia dei perdenti che Macron non è mai riuscito a considerare neppure parte della “start-up nation“, basata sulla precarietà, la flessibilità, e la lotta nella giungla, esclusi che ora diventano deputati, soprattutto all’interno del movimento Nupes. Un commentatore ha affermato che il nuovo Parlamento è l’equivalente istituzionale dei gilet gialli. Se il Parlamento nonostante tutto non riesce a farsi sentire, se c’è un blocco, o anche un imminente scioglimento, come alcuni prevedono, non è impossibile che tutto questo finisca di nuovo nelle piazze.

Soprattutto con il trionfante destino del  Rassemblement National (Rn) di Marine Le Pen, che la politica e i metodi di Macron alla fine hanno favorito, anche nelle elezioni legislative, quando diversi macronisti sconfitti al primo turno non hanno dato indicazioni di voto chiare, al secondo turno, in casi in cui i candidati Nupes avrebbero dovuto affrontare i candidati del Rn, che sono così passati da 8 a 89 deputati. Facendo breccia soprattutto nell’elettorato operaio urbano, in quello rurale, precario e declassato. Quelli che non ce la fanno più. Come disse un gilet giallo a Macron durante un alterco: “Tu pensi alla fine del mondo. Noi pensiamo alla fine del mese.“

Ed è così che, sotto Macron, l’estrema destra si sta insediando prepotentemente nel panorama francese, anche istituzionale. Inutile dire che in questo grande calderone dell’esercizio democratico, nonostante il costante riferimento al pantheon greco-romano, anche macronizzato, la cultura è totalmente assente dai dibattiti. Lo avevamo già visto durante le elezioni presidenziali, e nelle elezioni legislative è stato ancora più evidente. Certo, ci manca un Seneca, un Euripide o un Aristofane.

Di fronte quindi a questo sistema tripartitico che divide la Francia, tra un centrodestra ancora macroniano che ha avuto la volontà di fagocitare i tradizionali partiti di destra e di sinistra, con un certo successo, essendo stati asfaltati alle elezioni presidenziali, le forze di sinistra sociali e ambientaliste, anche la sinistra “indomita” (il partito di Mélenchon La France Insoumise, 17 deputati nel 2017 ha ottenuto questa volta 84 deputati), rinata grazie al Nupes alle elezioni legislative, e la destra tradizionale quasi soppiantata dall’estrema destra, Macron potrà continuare a macronizzare?

Emanuel Macron visita il salone Eurosatory, 13 giugno 2022

Ebbene sì. Nella sua allocuzione solenne, mercoledì sera dall’Eliseo, Macron ha fatto come al solito una brillante diagnosi della situazione, ha riconosciuto le “fratture” della società francese, deplorato l’astensione, rilevato l’impossibilità di formare un governo di unità nazionale, nonché il rifiuto dei dirigenti dei partiti di prendere in considerazione in questa fase una coalizione qualunque sia, e ha lanciato una contro-ipotesi: in mancanza di un “contratto di coalizione”, che ancora auspica, si possono costruire maggioranze flessibili, progetto per progetto, testo per testo, facendo all’improvviso l’elogio del dialogo e del compromesso. Giove acconsente quindi a scendere dall’Olimpo e ad assumere il ruolo di Efesto, nella fucina democratica. Questo dialogo avverrebbe naturalmente nella dinamica del “ma anche” fissata come dogma fin dall’inizio della sua prima presidenza. Quello che ora chiama “andare oltre politico“, riassumendo le diverse formazioni dell’Assemblea nazionale per “chiarire nei prossimi giorni la quota di responsabilità e cooperazione che sono pronti a prendere”, sulla base della sua politica ovviamente, e i leader politici e parlamentari per “dire in tutta trasparenza fino a che punto sono pronti a andare”. E questo se abbiamo capito bene entro 48 ore, al suo ritorno dal Consiglio europeo!

La macronante perversione di questo contrattacco è subito apparsa evidente agli osservatori: ributtare la palla del possibile blocco della governabilità nelle file dei suoi avversari, quindi della loro responsabilità davanti all’opinione pubblica; portare le varie opposizioni a impegnarsi puntualmente su progetti fissati dall’Eliseo (il sottotesto sembra ignorare l’esame delle proposte o dei programmi provenienti dalle opposizioni stesse), senza nemmeno escludere esplicitamente il Rassemblement  National; e agire come se il popolo avesse eletto il presidente sulla base della sua piattaforma. Tutto questo, ovviamente, in nome della Francia vincente e del superiore interesse della nazione.

Non si è fatta attendere la reazione di Jean-Luc Mélanchon, che ha denunciato il “fumo” di Macron. Il presidente crede ancora di essere stato eletto sulla base del suo programma. I sondaggi lo negano. Ma l’arroganza continua. La realtà è quella della scelta dei francesi. E “la scelta non è la ratatouille: è una scelta”. In breve, è un no. No anche da Olivier Faure, del Parti Socialiste. Non sono pronto a dare un “assegno in bianco” al Presidente. Proprio come il nuovo leader dei repubblicani in Assemblea, giudicando però “che non c’è alternativa al dialogo”. Oppure il presidente ad interim del Rassemblement  National, che si rammarica che il capo dello Stato voglia “cambiare metodo senza cambiare una virgola del suo progetto”. Non abbiamo finito con i gesti plateali, le proiezioni colorate e le allusioni subliminali. Il teatro della democrazia della coabitazione è appena iniziato.
Riuscirà così la manovra macroniana a rompere ancora una volta il microcosmo politico? E riuscirà Macronie macronante a cavalcare le onde dei prossimi mesi? Niente è meno sicuro.

L’arte di “Macronare” ultima modifica: 2022-06-23T20:06:48+02:00 da PATRICK GUINAND
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