Tasse, la parola più odiata

Ma le diseguaglianze si combattono con la spesa pubblica.
INNOCENZO CIPOLLETTA
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L’ultimo numero della rivista dell’Arel è dedicato alla PAROLA. Abbiamo il piacere di anticipare alcuni dei numerosi e interessanti articoli contenuti in questo numero monografico, da domani in vendita, in pdf, sul sito dell’Arel. Ringraziamo la direzione e la redazione di Arel per la gradita cortesia, che rinnova l’ormai consolidata collaborazione tra le due riviste.

Intervistati per sapere quale fosse lo scopo principale delle tasse,la grande maggioranza degli italiani (quasi i tre quarti) ha risposto: ridurre le disuguaglianze tra i cittadini. L’indagine è stata presentata da Nando Pagnoncelli al Festival Internazionale di Economia che si è svolto a Torino dal 31 maggio al 4 giugno 2022. Certo, la risposta è corretta nella sostanza, ma solo in via indiretta e comporta una sorta di malinteso che contribuisce, credo, alla forte avversione nel nostro paese per le tasse.

Non che gli italiani siano tutti egoisti e non vogliano aiutare chi si trova in difficoltà di reddito o siano contrari a politiche per ridurre le disuguaglianze. Ma questa accezione del ruolo delle tasse come strumento di giustizia sociale offre spazio a molti sospetti, luoghi comuni, pregiudizi e scetticismi sulla reale capacità e volontà di perseguire un simile nobile scopo. Chi paga le tasse è convinto che una larga parte dei cittadini non sia altrettanto rispettosa dei propri doveri e che faccia parte dell’ampia (purtroppo) schiera di evasori fiscali. E sospetta anche che questi evasori siano proprio coloro che si dichiarano poveri e quindi bisognosi del supporto attraverso il prelievo dalle tasse pagate da chi fa (o è costretto a fare) il suo dovere. Ovvio, allora, che l’avversione per il sistema fiscale sia molto diffusa.

Tanto più che si ritiene, anche qui con qualche ragione, che l’amministrazione fiscale non sia così efficiente nel fare il suo dovere, ossia di far pagare le tasse a tutti secondo i loro redditi effettivi. Che il numero di evasori sia elevato, è molto probabile, ma è altrettanto vero che l’opinione pubblica tende a sopravvalutare il fenomeno, anche grazie ai media che amplificano ogni notizia dandone spesso interpretazioni non corrette.

All’inizio di giugno di questo anno il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha dichiaratoche in Italia ci sono 19 milioni di persone che hanno debiti con l’erario. Ma i giornali hanno titolato che in Italia ci sarebbero, secondo l’Agenzia delle Entrate, 19 milioni di evasori fiscali! Non tutti coloro che hanno un debito con lo Stato sono evasori, anzi in molti casi si tratta di persone che, pur avendo dichiarato il vero, si trovano nell’impossibilità di saldare il debito, ovvero di persone che hanno subìto un accertamento che non condividono e magari hanno fatto opposizione. Inoltre, queste cifre riguardano percettori di redditi di diversi anni addietro con probabili duplicazioni di persone e quindi non possono essere considerati come evasori in uno specifico anno, come invece viene supposto. Ma la notizia lanciata dai giornali e dalle televisioni, e ripresa dai social media era che in Italia ci fossero 19 milioni di evasori, ossia quasi la metà dei soggetti all’IRPEF, e ben pochi sono coloro che hanno reagito alla definizione di evasori. In effetti tale notizia non faceva che confermare quanto la gran parte degli italiani pensa sia la realtà.

Certo, non aiuta ad avere fiducia nel sistema fiscale il fatto che, specie negli ultimi anni, alcuni partiti politici abbiano operato per difendere e salvaguardare specifiche categorie di percettori di reddito, peraltro quelli che più sono sospettati di evadere le tasse.

Infatti, l’aver adottato un sistema di flat tax (15 per cento del fatturato) onnicomprensivo, riservato ai lavoratori autonomi con un fatturato inferiore a 60.000 euro l’anno, ha spaccato la platea dei lavoratori lasciando sotto il sistema progressivo solo i lavoratori dipendenti e i pensionati, ciò che evidentemente ha dato un colpo severo alla già scarsa solidarietà tra i cittadini. Tanto più che anche i percettori di rendite (finanziarie e immobiliari) hanno un regime di flat tax che li differenzia dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, unici contributori al sistema fiscale che non possono evadere perché il prelievo viene operato alla fonte.

È così che, se gli italiani ritengono che lo scopo principale del sistema fiscale sia quello di redistribuire il reddito attraverso una differenziazione delle aliquote fiscali, allora appare evidente il discredito e la sfiducia che essi ripongono su tale sistema e le tasse appaiono essere un sopruso da parte della politica che cerca di ingraziarsi i propri elettori elargendo favori a destra e a sinistra.

Se poi si considera che il peso del sistema fiscale è elevato in Italia, anzi è percepito come estremamente elevato perché comprende di fatto anche la contribuzione per il sistema previdenziale e tocca in media oltre il 43 per cento, allora si capisce perché chi si sente costretto a pagare non ami affatto questo sistema. Tanto più che questo 43 per cento è considerato essere una media “alla Trilussa”, ossia una media fatta da alcuni che pagano ben oltre il cinquanta per cento del loro reddito e altri che pagano poco o niente (come recita un sonetto del poeta romano che fa la media tra chi mangia un pollo e chi resta digiuno).

Ma il sistema fiscale ha come obiettivo principale la riduzione delle disuguaglianze di reddito? In realtà questo obiettivo esiste, ma è mediato e non si raggiunge con il sistema del prelievo fiscale attraverso aliquote differenziate, bensì attraverso uno strumento molto più efficace: la spesa pubblica.

Il sistema fiscale è volto essenzialmente al reperimento delle risorse per finanziare la spesa pubblica che, a sua volta, ha il compito principale di ridurre le disuguaglianze tra i cittadini fornendo gratuitamente, o a basso costo, servizi essenziali che, se fossero offerti dal mercato, sarebbero inaccessibili per una parte rilevante della popolazione. In tale maniera, le finanze pubbliche riescono a riequilibrare, bene o male, la distribuzione del reddito che il sistema fiscale riesce solo a scalfire marginalmente.

Nei Paesi avanzati, il sistema di istruzione è gratuito, in particolare per coloro che hanno redditi contenuti e assicura per tale via un riequilibrio delle posizioni di partenza tra i giovani. Lo stesso si può dire per il sistema sanitario, che consente a tutti di avere accesso a cure spesso costosissime che molti cittadini non potrebbero permettersi. Vi è poi un sistema assistenziale che si fa carico delle difficoltà di chi perde un lavoro, di chi subisce una menomazione e di chi si trova in situazione di forte disagio. Abbiamo infine la previdenza che ha il compito di pagare le pensioni a tutti, sia che abbiano contribuito con il loro lavoro, sia a quanti non hanno potuto contribuire, a partire da una certa età.

Ovviamente, le funzioni della spesa pubblica non finiscono qui. Accanto ai compiti relativi alla giustizia, all’ordine interno, alla difesa del paese, vi sono altri compiti economici di cui beneficiano soprattutto coloro che hanno redditi bassi. Basti pensare al sistema dei trasporti pubblici, ovunque sovvenzionati dalle finanze pubbliche, che garantiscono il diritto di mobilità nelle città e nel paese a costi abbordabili, sicuramente inferiori a quelli necessari per fornire un servizio di trasporto a tutti.

Molti sono coloro che pensano che, nel dare e nell’avere, siano in credito nei confronti dello Stato. Infatti, la maggior parte degli italiani ritiene di pagare allo Stato molto di più di quanto riceve dallo stesso. Ma è vera questa affermazione? Se facciamo un calcolo mentale tra quello che un contribuente paga come tasse e contributi e quello che riceve come servizi pubblici saremo invece costretti a dedurre che la maggior parte dei contribuenti riceve dallo Stato molto più di quanto paga, e ciò è tanto più vero quanto più basso è il reddito del contribuente. In altre parole, la spesa pubblica si incarica di riequilibrare la distribuzione del reddito attraverso la fornitura di servizi essenziali per la vita di ognuno di noi.

Posto in questi termini, il giudizio sul sistema fiscale potrebbe essere più positivo e comunque più sereno: esso serve a far funzionare lo Stato e a darci quei servizi che sono essenziali per una vita civile e che difficilmente potremmo trovare sul mercato, se non a prezzi così elevati che finirebbero per essere appannaggio di sole poche persone.

Certo, rimane sempre la necessità che tutti contribuiscano secondo le proprie risorse, che nessuno (o pochi) facciano i furbi evadendo le tasse, che l’amministrazione fiscale sia più efficiente nel perseguire gli evasori, che il sistema fiscale sia più equo e non distorca troppo a favore di questa o quella categoria. Ma quello che più deve importare è che le risorse fiscali siano sufficienti per finanziare i servizi pubblici e che tali servizi siano efficienti e disponibili per tutti.

A questo punto, però, sorge l’opposizione di quanti, e sono tanti, ritengono che la spesa pubblica sia uno spreco perché i servizi sono male organizzati, la politica è corrotta, i vantaggi sono riservati solo a pochi amici (la casta) e che, in definitiva, se si lasciassero i soldi in tasca agli italiani, questi sarebbero in grado di soddisfare le proprie esigenze meglio che attraverso lo Stato. Questo è sicuramente vero per una minoranza di persone ad alto reddito, ma la grande maggioranza degli italiani non sarebbe in grado di supplire con il proprio reddito ai molti servizi che fanno del nostro paese un paese civile. Oltre al fatto che alcune funzioni non possono che essere svolte dallo Stato.

Ma, se si ritiene che i servizi pubblici siano carenti malgrado l’ammontare di spesa pubblica che essi assorbono, allora sarebbe bene che la rivolta contro le tasse, che ogni tanto serpeggia nei nostri paesi e che in Italia ha toccato i massimi con la pretesa di esentare la prima casa da ogni prelievo, invece diventasse una rivolta affinché i servizi pubblici siano ben finanziati e svolti efficacemente: dalla scuola, alla sanità, ai trasporti, alla raccolta e al trattamento dei rifiuti, all’assistenza alle persone in disagio, alla gestione della giustizia e dell’ordine pubblico e a tutto quello che è necessario per avere una vita civile ed essere un paese giusto.

Quando gli italiani capiranno che si vive bene in un paese che ha buoni servizi pubblici e non in un paese che ha basse tasse, allora avremo un paese più civile, dove l’evasore fiscale non verràconsiderato un furbacchione capace di evitare un’ingiusta gabella, ma come un traditore e un approfittatore da biasimare pubblicamente prima ancora che da consegnare alla giustizia.

Tasse, la parola più odiata ultima modifica: 2022-06-27T16:43:52+02:00 da INNOCENZO CIPOLLETTA
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