Uno dei più longevi leader africani, presidente dell’Angola dal 1979 al 2017. Successore del primo presidente dell’Angola indipendente Agostinho Neto, dos Santos diventa vicepresidente del Mpla (Movimento popolare per la liberazione dell’Angola) una volta costretto all’esilio a Kinshasa dal governo portoghese per aver partecipato alla battaglia del 4 di febbraio del 1961, l’inizio della guerra di indipedenza.
Per quasi quarant’anni Josè Eduardo dos Santos ha rivestito la carica più alta dell’ordinamento della repubblica angolana, dagli anni della guerra civile, iniziata nel ’75 con l’indipendenza dal Portogallo, a quelli della riappacificazione, avvenuta nel 2002 con la morte dell’avversario politico Jonas Savimbi, capo dell’Unita (Unione nazionale per l’indipendenza totale dell’Angola), attraverso la crisi finanziaria del 2008 fino agli accordi governativi bilaterali con la Cina del presidente Xi Jinping.
JES, così viene abbreviato il suo nome, è morto a Barcellona a un passo dagli 80 anni dopo un ricovero che non faceva presagire nulla di buono: le sue condizioni erano critiche e negli ultimi giorni la famiglia si consultava con i medici per decidere se spegnere o meno le macchine a cui era attaccato.
La sua carriera politica inizia dentro l’Mpla, di cui è co-fondatore, e di cui diventa vicepresidente mentre è in esilio in Congo e dove, nel 1962, fonda l’EPLA (esercito popolare di liberazione dell’Angola). L’anno seguente da Kinshasa si trasferisce a Baku (nell’ex URSS) per studiare ingegneria, grazie ad una borsa di studio. Lì sposa l’autoctona Tatiana Kukanova dalla quale ha una figlia: Isabel dos Santos, secondo Forbes la donna più ricca d’Africa e vedova di Sindika Dokolo, un facoltoso collezionista d’arte danese-congolese morto in circostanze sospette a Dubai nel 2020. Tornato in un’Angola ancora provincia d’oltremare del Portogallo nel ‘74 assume il ruolo di rappresentante del partito in Jugoslavia, Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica Popolare di Cina.

Dall’elezione al Politburo del Mpla alla presidenza del paese il passo è breve; infatti, solo dieci giorni dopo la morte di Neto il 20 settembre del ‘79 dos Santos sale la Fortaleza, il palazzo costruito su una fortezza di fronte alla Ilha, l’isola di Luanda, dimora del presidente; il giorno seguente assume anche la carica di comandante in capo delle FAPLA (forze armate popolari per la liberazione dell’Angola). Ora il potere è concentrato nelle sue mani e la priorità è chiarissima: mettere fine alla guerra civile che dilania il paese.
Se da una parte ci sono Cuba e URSS a dare man forte al suo partito, dall’altra Unita e Fnla (fronte nazionale per la liberazione dell’Angola) sono foraggiate dagli Usa e dal Sudafrica dell’apartheid. Gli sforzi di dos Santos sembrano essere ripagati da un accordo di pace firmato con Savimbi nel ’91, che coincide con la fine dell’apartheid sudafricana e della guerra fredda. L’anno seguente si indicono le prime elezioni multipartitiche in presenza di ONU e osservatori stranieri: nessuno dei due candidati raggiunge il 50% e prima del ballottaggio Savimbi denuncia brogli elettorali e riprende la guerriglia. La fine della guerra fredda dà la possibilità a dos Santos di cambiare alleanze: ora può permettersi di guardare agli Usa per rimettere in piedi il paeseattraverso una politica economica liberista e allo stesso tempo togliere i fondi all’Unita. Per dieci anni i “ribelli” porteranno avanti una guerriglia feroce ma non incisiva e alla morte di Jonas Savimbi l’Unita si arrende. La guerra è cessata, dos Santos ha vinto, da lì in poi il 28 agosto -giorno del suo compleanno- è festa nazionale. Il suo successo è il successo del partito e dunque nel 2003, un anno dopo la fine del conflitto, viene eletto presidente del MPLA, carica che coprirà fino al 2018.

Zedù, appellativo affettuoso datogli dagli angolani, è considerato il padre dell’Angola riappacificata, nonostante i processi per corruzione che lui, alcuni esponenti della sua famiglia e del partito -soprattutto la primogenita Isabel dos Santos- hanno dovuto affrontare non appena la presidenza della Repubblica, nel 2017, è passata al suo ex braccio destro. Infatti, nonostante la strategia del nuovo presidente sia stata apprezzata dal popolo ben presto è stato tacciato dall’opinione pubblica di caccia alle streghe perché “il padre è il padre” dicono ironicamente gli angolani.
Gli anni di presidenza di Zedù però sono anche considerati anni di dittatura politica in cui la minoranza parlamentare non ha mai avuto spazio e modo di intervenire nelle decisioni importanti come la sicurezza, gli affari esteri e l’economia: mentre il paese cresceva a dismisura e si piazzava come uno dei maggiori esportatori di petrolio in Africa l’indice di mortalità infantile era il più alto del continente ed il settore pubblico uno dei meno regolatie corrotti. Non è un caso che tre dei suoi dieci figli, avuti da diverse relazioni, abbiano subito processi e siano scappati dal paese per cercare rifugio nelle loro magioni europee. Lo stesso padre della patria si trovava fuori mentre cercava di curarsi da mali che lo affliggevano da tempo, comprensibile dato che la situazione sanitaria dell’Angola è disastrata.

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