End of sTory

FRANCESCO GUIDI BRUSCOLI
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Immaginate un’area essenzialmente rurale e senza grandi città, la cui popolazione è nata per il 95 per cento in Gran Bretagna, ha un’età media di cinque anni superiore rispetto alla media nazionale ed un minore livello di istruzione. Benvenuti nel collegio elettorale di Tiverton and Honinton, nel Devon, sud-ovest dell’Inghilterra: essenzialmente l’emblema del conservatorismo. E infatti, fino al 23 giugno 2022, l’elettorato aveva votato sempre conservatore, esprimendosi anche nettamente in favore della Brexit nel referendum del 2016.

Il 23 giugno, tuttavia, si è lì tenuta un’elezione suppletiva per sostituire il parlamentare del luogo, Neil Parish, che era stato visto mentre per due volte – durante sedute parlamentari – guardava video porno (la prima volta, a suo dire, “accidentalmente”). In quell’occasione i conservatori, che partivano dall’enorme vantaggio di 24.000 voti (su 59.600 votanti nel 2019) sono riusciti a perdere il seggio – nettamente – in favore dei liberal democratici. Certo, il comportamento di Parish avrà pesato, ma sicuramente è il suo leader, Johnson, che gli elettori hanno voluto colpire. Nello stesso giorno si è infatti tenuta un’altra elezione suppletiva, questa volta a Wakefield, nel Nord dell’Inghilterra (il parlamentare si era dovuto dimettere dopo esser stato condannato per molestie nei confronti di un ragazzo quindicenne). Anche in questo caso si trattava di un seggio conservatore, diventatolo però recentemente, in occasione del ribaltamento del 2019 in quell’area fino ad allora considerata il red wall laburista. E anche in questo caso i conservatori hanno perso e il seggio è tornato ai labour.

Molti commentatori, come detto, hanno visto in queste gravi sconfitte il simbolo della crescente insoddisfazione dell’elettorato nei confronti del primo ministro, Boris Johnson, che però ha liquidato la cosa con poco più di una scrollata di spalle (come d’altronde aveva fatto in occasione della sconfitta elettorale alle elezioni locali di maggio).

Oltre all’elettorato, tuttavia, un’importante voce in capitolo nel destino di Johnson la ha il partito conservatore. Mai troppo amato, ma sopportato e supportato nel momento in cui si era rivelato un “cavallo vincente”, a inizio giugno Johnson era già dovuto passare attraverso un voto di sfiducia interno al gruppo parlamentare del partito. Lo aveva superato con un certo margine, ma ben 148 parlamentari su 359 gli avevano votato contro.

La pressione, tuttavia, ha continuato a montare, alimentata da continui scandali. Oltre al party-gate, che va avanti da mesi, e ad altre questioni, è di recente emerso che nel 2018, quando era ministro degli esteri, egli avrebbe voluto assegnare il ruolo di chief of staff (e uno stipendio da oltre 100.000 sterline) a quella che allora era la sua amante e che poi è diventata moglie, Carrie Symonds; solo l’intervento dei consiglieri avrebbe scongiurato la cosa. Negli ultimi giorni, inoltre, si è dovuto dimettere il deputy chief whip (il vice-capogruppo parlamentare) conservatore, Chris Pincher, accusato di aver molestato due uomini in un club. Pincher era stato nominato proprio da Johnson, nonostante le nubi che si addensavano già sul suo comportamento pregresso (era stato accusato, anche se poi prosciolto, di molestie). Peraltro, il “perfido” Dominic Cummings, ex chief adviser di Johnson divenuto ora suo grande nemico, ha affermato che il primo ministro avesse definito il parlamentare “Pincher by name, pincher by nature” (giocando sul verbo to pinch = dare pizzicotti): a domanda precisa, Johnson si è rifiutato di commentare (ma quindi anche di smentire) tale accusa.

Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Tutti si chiedevano quanto a lungo Johnson avrebbe retto la pressione interna e esterna al partito; nonostante l’enorme pressione per fare un passo indietro, tuttavia, egli non pareva avere alcuna intenzione di dimettersi. D’altronde, secondo le regole del partito, dopo il voto di sfiducia di inizio giugno non si sarebbe potuto tenere un analogo voto per un anno. Tecnicamente una commissione di parlamentari chiamata “1922 Committee” avrebbe potuto cambiare le regole per votare prima di tale termine, ma si sarebbe trattato di una procedura non breve.

Allora c’è stato l’ammutinamento.

Martedì 5 giugno si sono dimessi dal governo due pezzi grossi – Rishi Sunak, chancellor of the Exchequer (ovvero ministro dell’economia) e Sajid Javid (ministro della salute) – che certamente hanno anche mirato a tutelare il proprio futuro politico. Da quel momento si sono succedute numerose altre dimissioni o richieste che Johnson lo facesse: una di queste, da parte di Michel Gove, ha spinto Johnson a licenziarlo dal suo ruolo di ministro per il “livellamento delle disuguaglianze territoriali” (i due, d’altronde non sono nuovi ad alleanze di convenienza e tradimenti, come già sottolineato in un vecchio articolo del 2016).

Alla fine Johnson ha dovuto cedere e oggi (7 luglio) ha annunciato le proprie dimissioni. Dimissioni parziali, tuttavia. Egli ha infatti lasciato il ruolo di leader dei tories, ma intende mantenere quello di primo ministro fino alla scelta del suo successore nel partito. Il processo è già in moto e il calendario sarà annunciato la prossima settimana. Si tratta comunque di un processo laborioso, il quale prevede vari stadi che coinvolgono prima i parlamentari e poi gli iscritti al partito: è presumibile, quindi, che non sia completato prima di settembre.

Johnson ha nominato nuovi ministri e sottosegretari per rimpiazzare coloro che si sono dimessi e intende andare avanti. Molti tuttavia – incluso l’ex primo ministro John Major – gli chiedono di lasciare Downing Street, per fare posto a un premier di transizione. Nel frattempo i primi possibili candidati alla leadership conservatrice iniziano a dire di “stare considerando” la discesa in campo.

Stay tuned.

End of sTory ultima modifica: 2022-07-08T10:33:41+02:00 da FRANCESCO GUIDI BRUSCOLI
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