Sommare per moltiplicare. Il teorema di Yolanda Díaz per la sinistra spagnola

È partito venerdì a Madrid il percorso di Sumar, il progetto politico per aggregare attorno alla figura di Yolanda Díaz le sinistre alla sinistra del Psoe. L’ambizione è alta, il compito duro, ma le condizioni per quanto difficili mai come ora sembrano favorevoli a tentare l’impresa. Questione di leadership e di momento.
ETTORE SINISCALCHI
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È partito venerdì a Madrid il percorso di Sumar, il progetto politico per aggregare attorno alla figura di Yolanda Díaz le sinistre alla sinistra del Psoe. Non è ancora la nuova formazione ma un viaggio, geografico e politico, che ne deve tracciare direttrici e confini. Un “processo di ascolto”, come lo ha definito la protagonista. Sei mesi nei quali Díaz percorrerà la penisola e la “politica dal basso”, come si dice sempre in queste occasioni. È un tentativo di ridisegnare la sinistra spagnola davanti alla crisi della democrazia e ai cambiamenti del mondo. Interessante anche perché traccerà una mappa di lotte, associazioni, realtà di base, sindacati, sui temi del lavoro, dell’ambiente, dei diritti in una panoramica delle faglie di tensione e del nuovo impegno della società spagnola. Per capire cosa vuole costruire Díaz, che si differenzi dalle sorti infauste dei tentativi passati, sarà utile sapere come delimiterà il campo. Come finirà il viaggio non possiamo dirlo ma quello che è certo è che il progetto non parte per formare una semplice alleanza, anzi ne presuppone un superamento. Díaz riesce a essere molto trasversale, in grado di parlare agli elettori delle sinistre di derivazione comunista e movimentista come agli elettori socialisti e anche ai moderati e alle appartenenze locali. È una politica che dialoga con l’impegno ma vuole anche parlare alla Spagna delle persone. Popolare ma non populista, per semplificare. “Podemos nacque dalla contestazione e dalla rivendicazione” – ha detto in un’intervista a El País di domenica – io parto dalla costruzione” di un “un paese a favore, nel quale si dialoga”. Per “Costruire un progetto di dieci anni per la Spagna”.  L’ambizione è alta, è una sfida di governo, il compito duro, ma le condizioni per quanto difficili mai come ora sembrano favorevoli a tentare l’impresa. Questione di leadership e di momento.

La persona conta.

Yolanda Díaz, 51 anni, vicepresidente seconda del governo di Pedro Sánchez e ministra del Lavoro, è da tempo la politica più apprezzata dagli spagnoli, secondo il periodico sondaggio del Cis (Centro de Investigaciones Sociológicas, l’Istat spagnolo). Questione di leadership, appunto, e di storia personale che concorrono alla costruzione di un’autorevolezza riconosciuta. Una leadership naturale, diversa, nuova, anche rispetto a quella già usurata di Podemos, ma non improvvisata, in una formazione personale e politica tutta dentro alla costruzione – è la parola chiave per descrivere Yolanda Díaz, non solo un suo slogan politico – e allo sviluppo della moderna Spagna democratica.

Díaz è leader donna pienamente autonoma dal suo gruppo dirigente, che si è imposta al di fuori di ogni politica di quote, e in un certo senso anche fuori dalla specificità femminile nel suo percorso professionale e politico, ma che è espressione concreta di un empowerment femminile inedito nel panorama politico spagnolo – dove malgrado la rilevante presenza di donne, riflesso diretto del protagonismo nella società, ancora non ci sono state cape di partito nel senso pieno del termine­, almeno nei partiti più rappresentativi. Díaz riesce a rappresentare realtà o ambizione delle donne spagnole della sua e di altre generazioni, speranza concreta per le più mature e una figura adulta non ostile né condiscendente per le più giovani. La persona conta, Yolanda Díaz appare preparata, capace, ma una persona normale, in cui riconoscersi o riconoscere figure conosciute con cui si condividono vicinanza, tradizioni, abitudini, mode.

Galiziana, avvocata del lavoro, Díaz si è formata in una famiglia di impegno politico e sindacale. Il padre, Suso, iscritto al Partito socialista galiziano, fu militante e dirigente delle Comisiones obreras (CC.OO), di cui divenne anche segretario generale. Lo zio, gemello del padre, militò nel Bloque nacional gallego (Bng), di cui fu deputato. Entrambi iscritti al Pce clandestino durante la dittatura, il padre venne arrestato per essersi rifiutato di pagare una multa per uno sciopero illegale conseguente all’assassinio di due lavoratori da parte della polizia che sparò ad altezza d’uomo per disperdere una concentrazione sindacale. Díaz cresce nella militanza e nell’impegno politico, una niña del Pce, come l’ha chiamata non amichevolmente la stampa, che sarà sempre, però, antidogmatica e unitaria.

Ha quattro anni quando Santiago  Carrillo, storico leader comunista, in visita clandestina in Galizia preparando i comunisti spagnoli alla Transizione, va a casa sua e bacia la mano alla bambina bionda dei compagni che lo ospitano. In quel contesto la politica segna le scelte di vita. Ha quattordici anni quando da Ferrol la famiglia si trasferisce a Santiago di Compostela. Adolescente, Díaz diviene in tutto e per tutto una picheleira – come si chiamano gli abitanti della città, dal nome degli stagnari, retaggio della tradizione delle gilde artigiane cittadine­. All’università si iscrive a legge per scelta etico-politica ­– era attratta dalla filologia, il desiderio giovanile era fare la musicista– laureandosi con lode e conseguendo tre master, per poi aprire il suo studio legale e impegnarsi col sindacato. Diventa presto una stimata giuslavorista, vince difficili battaglie legali ma soprattutto è capace risolvere le crisi giungendo alla firma di accordi. Iscritta al Partito comunista spagnolo (Pce), inizia la militanza in Izquierda unida (Iu) –che fu a sua volta un tentativo di unire la sinistra alla sinistra del Psoe – imponendosi rapidamente come dirigente politica. Diventa la dirigente di Iu a Ferrol, coordinatrice galiziana del partito, membro della direzione nazionale del segretario Cayo Lara, come segretaria di Politiche sociali.

Yolanda Díaz, il 6 luglio a Roma, firma col collega italiano Andrea Orlando un protocollo rafforzato di cooperazione tra Italia e Spagna in materia di ispezioni sul lavoro, sotto lo sguardo di Nicolas Schmit, Commissario europeo per l’occupazione, gli affari sociali e l’integrazione

Ferrol è utile per capire il carattere e la personalità di Díaz. Quando decide di tornare nel paese natale da Santiago de Campostela la famiglia non è d’accordo. Città di industrie navali in crisi e di basi militari, è colpita dallo smantellamento dell’industria, i cantieri vengono chiusi e gli operai licenziati, l’economia locale crolla, il panorama sociale è drammatico in un paese che ancora non ha ancora costruito un welfare moderno e in cui non esistono strumenti di accompagnamento alle crisi come la cassa integrazione. Sceglie di andare dove la situazione è più difficile, le lotte più dure, lontano dalla vetrina galiziana e nazionale di Santiago, dove serve di più. Nel 2007 diventa capo di gabinetto del sindaco di Ferrol, viene candidata nel 2009 alla presidenza della Giunta di Galizia ma continua a esercitare la professione. Nel 2016 diventa deputata nazionale e incomincia a farsi conoscere a livello nazionale per le battaglie parlamentari sul lavoro. Se il suo nome era stato fatto anche durante i falliti tentativi della formazione del primo possibile governo delle sinistre, la gran parte del paese la conoscerà solo quando viene presentata come ministra del Lavoro nel primo governo di coalizione della democrazia spagnola, quello tra il Psoe di Pedro Sánchez e Unidas Podemos, l’alleanza elettorale attorno ai viola che comprende anche Iu, Pce e le liste di Confluencia catalane, valenziane e galiziane.

Non è un passaggio facile. Díaz, che riceve la notizia per telefono da Pablo Iglesias mentre sta lavando le finestre – a proposito di persone in cui è possibile riconoscersi – è contraria. Non si fida di Sánchez che per non fare il governo delle sinistre ha riportato il paese al voto, non le piace che per la prima volta proprio il welfare venga separato dal dicastero. Accetta solo dopo molte pressioni ma impone come condizione che nell’accordo di governo entrino specificamente la deroga della Riforma del lavoro del governo Rajoy, la riforma delle pensioni e l’aggiornamento automatico degli stipendi in relazione all’aumento dei prezzi al consumo – la scala mobile, oggi indicata anche dall’Ue come strumento da implementare ai governi europei. Comincia a lavorarci dal primo giorno. Concreta, comunicativa, rispettosa delle forme, mai usa a polemizzare davanti alle telecamere, lavora dietro le quinte. E cambia le cose, aprendo un nuovo periodo di relazioni sindacali in Spagna importando nel paese la concertazione tra le parti sociali. Dal ministero ha propiziato e portato alla firma di ben sei accordi di categoria, inseriti nella costruzione della riforma complessiva del mercato del lavoro. Díaz usa tutti gli strumenti messi a disposizione dalle nuove linee strategiche sul lavoro dell’Unione europea e punta sul dialogo e la concertazione, arrivando alla prima riforma del lavoro che vede l’accordo di sindacati e padronato. Tra i ministri di punta è quella che fa meno dichiarazioni e interviste ma quella di cui, col tempo, le parole sono le più attese. Nel difficile rapporto tra i soci di governo, nel travaglio della parabola di Pablo Iglesias e di Podemos, Díaz riesce a tenere la barra, intervenendo a chiudere perentoriamente, imponendo il realismo e la concretezza, crisi e rese dei conti. Anche ora, nel corpo sentimentale della sinistra squassato dalla guerra, dal protagonismo del governo delle sinistre nella Nato, dalla svolta in politica estera dell’abbandono della celebrazione del referendum sull’indipendenza dei saharawi nell’ex Sahara spagnolo in favore della sovranità del Marocco, Díaz mantiene il controllo, evitando che le crisi esplodano.

È un animale politico molto particolare Díaz. Formazione sindacale ed eurocomunista con linguaggio e sensibilità contemporanee. Ha la forza di essere moderna e antica nello stesso tempo, espressione di oggi col metodo della politica, l’analisi, la capacità di capire gli spazi, la correlazione di forze, la concretezza dell’obiettivo. Un patrimonio famigliare e democratico spagnolo. Una forza, nella sentimentalizzata politica spagnola. Sicuramente, un’unicità.

Sommare cosa e per fare che?

Yolanda Díaz rappresenta in questo momento un perno attorno a cui costruire un progetto politico. Ma quale? Per ora si sa meglio cosa non si vuole fare. E veniamo qui alle difficoltà. Delle caratteristiche delle sinistre spagnole abbiamo già detto. La capacità di creare cruenti conflitti anche le rare volte che le condizioni sono promettenti sono note. Si aggiunge la crisi di Podemos, nella quale la “benedizione” di Iglesias come federatrice delle sinistre non è certezza che le dinamiche interne ai viola non arrivino a collidere con la formazione del nuovo soggetto politico. Del resto non è, e non potrebbe essere, la consegna di uno scettro. Perché non è quello che vuole Díaz.

Si è visto bene nell’esordio madrileno di Sumar dove, con un caldo torrido, oltre cinquemila persone si sono stipate nel Matadero, l’ex mattatoio della città, quale idea di partito non ha Díaz. I temi dello sfruttamento del lavoro, educazione pubblica e rispetto dei diritti umani, civili e politici – e dei migranti con la strage di Melilla ancora presente negli occhi –, giustizia sociale, redistribuzione fiscale, ma anche speranza e diritto alla felicità hanno dominato un meeting inedito. Ministri e ministre, dirigenti politici, non erano invitati sul palco e, dietro precisa richiesta di Díaz, non si sono fatti vedere proprio, se non qualche presenza nel pubblico di figure ritirate dalla prima linea o di seconda fila, facendo eccezione per il segretario del Pce Enrique Santiago, anch’egli nella folla. Sul palco militanti e sindacalisti – molti, “sindacalizziamoci” è stato gridato dal palco e dalla platea, il tema del lavoro come base aggregativa – attivisti dei diritti umani, lavoratrici della sanità pubblica e insegnanti, precari della cultura e dei servizi, lavoratrici delle pulizie nell’accoglienza alberghiera, le nuove forme di lavoro governate dall’algoritmo, come i rider. Molti giovani, molte donne, molto impegno. Dalle loro esperienze – suggerisce Díaz – si tratta di costruire l’agenda, sommare le conoscenze, costruire risposte politiche.

Díaz marca così la differenza con la nomenclatura vecchia e nuova, propone facce nuove che sanno di cosa parlano (altra caratteristica che la differenzia da molti politici odierni, si circonda di collaboratori di grande valore, delega, non teme il confronto). C’è qualcosa dell’esperienza di Podemos, il microfono in mano, il palco informale, ma non è una tribuna di leader in ordine di apparizione crescente, anche se Yolanda Díaz, naturalmente, conclude. E non c’è neanche quella sfilata di volti noti, per quanto donne e outsider rispetto agli apparati politici, con cui mosse il primo passo pubblico di questo percorso, le Altre politiche dello scorso novembre a Valencia. In questo modo Díaz si fortifica anche rispetto agli apparati, indispensabili, nella sua formazione politica la consapevolezza che senza struttura organizzativa non si è attori sociali e politici, ma pericolosi, nella tendenza distruttiva alla tutela della propria rendita di posizione. E propone anche il terreno sul quale si devono misurare.

Oggi –afferma nel suo breve discorso finale– è un giorno importante perché promuoviamo un movimento civile e lo facciamo dalla società. Un movimento civile in cui il protagonismo è vostro, non nostro. Siete voialtre e voialtri quelli che sommeranno, abbiamo collettivamente la sfida di cambiare il nostro paese. Non passa per partiti, non per sigle, Sumar non è questo, è costruire un’intelligenza collettiva.

Come si costruisce un’intelligenza collettiva. Come “sommare” entità profondamente identitarie come il Pce, Iu, Podemos, Más País (la formazione di Iñigo Errejón, fondatore e ex dirigente di Podemos), i comunes catalani, Compromís nel País valenciano. Come ricostruire il disastro galiziano dell’esperienza de La Marea e come sumar le sinistre andaluse, le cui divisioni hanno prodotto scientificamente l’inevitabile disfatta delle ultime elezioni autonomiche. Queste sono la principali risposte che Díaz cerca nel suo “percorso”.

Scetticismo e identitarismo rassicurante sono ostacoli del teorema di Yolanda Díaz per la sinistra spagnola. La concretezza politica cerca strumenti nuovi nel mondo che cambia, il disagio di fronte alla diversità cerca risposte che confermino, più che comprensione del presente. Cacicchismo, difesa della rendita, frazionismo ma anche reale disorientamento davanti alla velocità dei processi di caduta dei cambiamenti globali. Una bomba pronta a scoppiare da maneggiare con cura.

La locandina dell’incontro di Madrid

Se a Madrid Díaz non ha nominato nessuna sigla, le sigle politiche sì che si sono occupate del varo di Sumar. Nello stesso fine settimana si sono tenuti il XXI Congresso del Pce e il Consiglio cittadino statale di Podemos, massimo organo del partito tra i congressi.

Il congresso comunista è stato il più acceso, non solo perché Díaz è iscritta al partito e il segretario era presente al Matadero ma perché la politica di alleanze per il governo centrale e quelli locali e la linea del Comitato centrale di inserire il partito nel processo di confluenza con Podemos sono nel mirino delle minoranze interne da tempo –tensioni simili investono Iu, l’alleanza di cui il Pce fa parte, guidata dal ministro del Consumo del governo Sánchez, Aberto Garzón. Col varo di Sumar lo scontro è esploso e nel congresso ci sono stati momenti duri di confronto, anche fisico, ma alla fine la linea del segretario ha vinto col 54 per cento dei voti.

Il Consiglio di Podemos, di cui solo la parte iniziale era pubblica e ritrasmessa e a quella ci rimettiamo, non ha fatto riferimento alcuno a Sumar ma è stato all’insegna della rivendicazione del ruolo dei viola nella trasformazione del panorama politico spagnolo. La segretaria Ione Belarra, ministra per gli Affari sociali, ha invitato la militanza al protagonismo, a rivendicare presenza e ruolo, serrando le fila per affrontare un processo incerto e non da tutto il partito auspicato, malgrado il passaggio di consegne ideale fatto da Pablo Iglesias, senza ruoli esecutivi ma sempre presente nella vita politica del partito.

Le difficoltà che Sumar ha davanti nascono soprattutto dentro al suo campo  –il frazionismo, le avventure politiche diventate inimicizia personale, la coltivazione e salvaguardia dei propri orticelli di rendita pur nella complessiva riduzione e sconfitta politica– non dal principale concorrente e interlocutore politico, il Psoe, né dalle destre, politiche e mediatiche, cui l’autorevolezza di Díaz impone cautela. Malgrado Díaz parli anche all’elettorato socialista Sánchez è cosciente che, in questa fase, una forza riaggregante a sinistra è necessaria, finita l’epoca delle maggioranze assolute e del bipartitismo. Per quanto preferisca allearsi con un centro che ora non esiste –e chi può dire se, in presenza di un Pp diverso, non si aprirebbero possibilità per un governo di unità nazionale– sa che la centralità del Psoe dipende dai margini di manovra a destra e a sinistra.

La forza di Díaz, l’indubbia novità che costituisce nel panorama politico nazionale, ha fatto sì che l’evento di Madrid sia stato molto seguito dai media, il che è valso ai rappresentanti della purezza politica come dimostrazione dell’interesse del “potere” nell’operazione. Quello che sta accadendo è un fenomeno politico di grande interesse, anche fuori dai confini nazionali. È il tentativo di costruzione di un partito laburista moderno, che affronti la crisi dei partiti storici, delle ideologie, attraverso il patrimonio laburista della sinistra, col lavoro e la redistribuzione come basi aggregative. Nella consapevolezza che riforme in grado di incidere sulla vita materiale delle vite delle persone sono necessarie e possibili, mai facili, che dalla rivendicazione tocca passare alla costruzione. È la sfida di Yolanda Díaz, convinta da sempre che sia l’unica strada per, se non cambiare lo stato di cose presente, migliorare materialmente le vite delle persone.

L’immagine di copertina: Un momento della manifestazione di venerdì scorso a Madrid. Come le altre che accompagnano l’articolo, viene dal profilo Twitter di Yolanda Díaz.

Sommare per moltiplicare. Il teorema di Yolanda Díaz per la sinistra spagnola ultima modifica: 2022-07-11T19:57:36+02:00 da ETTORE SINISCALCHI
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