Una donna vecchia e sola, abbandonata nell’indigenza e nella desolazione: così Anna Rizzo, antropologa culturale abituata a lavorare “sul campo”- inteso nel senso di conoscenza delle persone e del territorio nazionale e non solo – descrive le condizioni di abbandono e solitudine di un’abitante superstite di un piccolo borgo italiano, da lei assistita tempo fa. In realtà una metafora di migliaia di piccoli paesi montani del Nord e del Sud del nostro Bel Paese che rappresentano il trenta per cento del territorio nazionale nel quale vivono tredici milioni di persone. Persone che abitano luoghi fragili, in molti casi colpiti da emergenze ambientali, dove anni di abbandono e di spopolamento hanno innescato una catena di gravi problemi legati a scuola, sanità, trasporti, socialità, per chi è rimasto a presidiare ruderi o fatiscenti comunità.
Anna Rizzo si descrive appassionatamente dotata di “mekari”, come i Greci chiamano il sentimento di abnegazione legato alla passione, in questo caso per il proprio mestiere, quasi una missione: questo studio di luoghi e viventi, uomini e animali, piante e montagne, tutto quanto fa la biodiversità e dovrebbe costituire una ulteriore ricchezza per l’intera nazione. Invece: invece questi luoghi desolati non corrispondono certo all’articolo 9 della Costituzione più bella del mondo, che “promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica, tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico, ambiente, biodiversità, ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni…” compresi gli animali.

Ora non occorre essere tutti antropologi per sapere che quello che descrive Anna Rizzo nel suo saggio I paesi invisibili. Manifesto sentimentale e politico per salvare i borghi d’Italia (Il Saggiatore) è quanto di più vero sia sotto i nostri occhi a ogni latitudine del nostro Paese, dalle Alpi all’Appennino, dai Nebrodi al Supramonte. Realtà acuita in questi ultimi anni dalla pandemia, ma prima ancora da terremoti e devastazioni, per arrivare all’oggi del supercaldo che ha sciolto i pochi ghiacciai rimasti mettendo a repentaglio sistemi di vita antichissimi e delicati basati sul ciclo della natura. “Territori in sofferenza” quindi, che l’autrice ha conosciuto e continua a esplorare per documentare e cercare di dare una visione politica ampia e completa su una delle tante emergenze che si va a incardinare su spopolamento, sfruttamento, malavita, cinismo di progettazione megagalattiche, corsa all’accaparramento di fondi europei senza un vero progetto completo di vero sviluppo territoriale e sociale. Su tutti questi problemi s’inserisce il falso sensazionalismo legato ad esempio al cosiddetto “ritorno rurale” al paesello dovuto alla pandemia e conseguente lavoro da casa, un ritorno verso borghi sperduti che sarebbe positivo se realmente il territorio rivivesse non solo legato a sporadiche tecnologiche presenze.
Il Sud, dal quale l’autrice proviene, è ulteriormente protagonista in negativo di un sensazionalismo mediatico legato all’attimo, alla presenza di media legata a manifestazioni puntuali, che lasciano i pochi abitanti se non frastornati almeno a margine degli eventi. Quando non oggetto di speculazioni edilizie ammantate da mecenatismo e trasformazione di antichi borghi malandati in resort di lusso, che ben vengano se occasione di sviluppo, lavoro e futuro, ma che non devono essere “progetti sfruttando le marginalità” presenti sui territori, quasi prede da catturare per l’attimo fuggente.
Una “sociologia rurale”, quella analizzata dall’autrice, che ci fa viaggiare in un terreno difficile, dove i giovani sono partiti da anni, il medico arriva una volta a settimana, i collegamenti internet non ci sono, i trasporti sono precari, le scuole chiudono per non parlare degli ospedali: realtà delle quali tutti siamo a conoscenza, Nord e Sud egualmente in emergenza sia demografica che ambientale.

Riattivare il territorio: sembra facile, ma è impresa complessa, in piccoli borghi dove vivono solo anziani. Servono seri professionisti e pianificatori, per iniziare percorsi ad esempio turistici che coinvolgano veramente le tante possibili filiere di lavoro: il boom economico degli anni Sessanta che ha dato vita al Made in Italy conosciuto nel mondo è iniziato per la maggior parte dei casi in piccoli borghi dove artigiani con una visione hanno dato vita ad attività legate alla moda, al settore calzaturiero, tessile, del mobile, delle cucine e chi più ne ha più ne metta. Quelle imprese che sessant’anni fa iniziarono una cavalcata sulla quale l’Italia ancora un po’ galoppa nel mondo sono un esempio, da imitare diversificando e inventando. Turismo sostenibile legato alla conoscenza del territorio, delle sue risorse naturali e alimentari, delle tradizioni: una filiera amplissima che trova nel turismo di massa un’antitesi orrenda da fuggire come una nuova pandemia, lo sanno a loro spese gli abitanti di città martiri come Venezia, Firenze, Siena… Martiri per le violenze ambientali e sociali provocate da orde inconsapevoli, a vantaggio di particolari categorie che plaudono al turismo-pescecane.
Ma un turismo sostenibile è possibile se i circuiti internazionali non presentano possibili itinerari alternativi? Musei chiusi, palazzi inagibili, carte stradali non aggiornate, ruderi e abbandono, mancanza di servizi di base e trasporti come possono accogliere nuovi visitatori? Molti sono gli esempi che l’autrice presenta, assieme a nuove iniziative, piccoli sprazzi di luce che non sono in molti casi aiutate da amministrazioni o istituzioni locali, ma affidate a buona volontà o autofinanziamento.
Le aree interne proprio perché isolate, non documentate e non sostenute nei piccoli progetti di salvaguardia della storia locale, assistono alla dismissione di un patrimonio culturale che con gli anni è stato alienato, rubato, distrutto, devastato dai tombaroli. Musei chiusi, che nemmeno la Soprintendenza sa che esistono… guide escursionistiche senza patentino… siti archeologici privi della minima indicazione… il rischio è lasciare spazio agli sciacalli depredando case private, magazzini, piccole chiese e cimiteri…

E non poteva mancare una nuova “invenzione” illegale, una pratica chiamata Urbex, “individuare una casa abbandonata o paese con pochi abitanti… e sentirsi investiti dal desiderio di entrarci… pratica oltraggiosa“ che, assieme all’abbandono del territorio e insensate iniziative pseudoturistiche, può causare tragedie come quella delle gole di Raganello in Calabria, dove nel 2018 persero la vita dieci persone investite dalla piena del torrente preconizzata dagli abitanti antichi, o dalla più recente tragedia della Marmolada con il distacco di un costone e relative dolorosissime vittime. E sono solo alcuni esempi, sforzandoci un po’ e pensando ai nostri vicini borghi abbandonati (dai quali magari proviene un ramo della nostra famiglia etc etc) mettiamo in fila le emergenze legate a quei territori che inevitabilmente si riflettono sulla generale precarietà del territorio-Italia, Paese sopraffatto da ogni tipo di confusione (politica, sociale, industriale, ambientale, demografica…) che perdendo tradizioni e memoria perde se stesso.



Immagine di copertina: John Singer Sargent, Borgo San Lorenzo, acquerello, 1910, Metropolitan Museum, NYC

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!