Negli anni Settanta, l’ estrema sinistra più sospettosa ripeteva l’adagio: “dove c’è ero ci sono i Caramba”, invitando i militanti a starsene ben distanti dagli stupefacenti e, forse, intuendo le finalità della nota operazione Bluemoon. Nel frattempo, è passata moltissima acqua sotto i ponti e siamo arrivati a Boyle e al suo Trainspotting, dove il regista ripropone la sua poetica iperrealista dell’abiezione.
Siccome stiamo scrivendo del Comune di Venezia, dalla tragedia si passa al melodramma belliniano ed ecco che le ricette securitarie del primo cittadino, rassomigliano alle prescrizioni del dott. Guido Tersilli e del suo codazzo di assistenti che potrebbe ricordare le ferree gerarchie della Polizia Locale lagunare.
Poste tali premesse, entriamo in medias res: la notizia che gira già da qualche tempo è che vi sia un accordo, un patto tra nordafricani e nigeriani per la piazza di spaccio di Mestre, vero capolavoro per il quale dobbiamo rendere grazie in buona parte alla nostra amministrazione comunale che – presa dell’entusiasmo di editare a mezzo stampa ogni sequestro di sostanze compiuto dalle milizie cittadine – ha perso di vita l’obiettivo, vale a dire la riduzione della diffusione degli stupefacenti in città.
Provo a superare queste informazioni raccolte alla rinfusa e mi confronto con fatti, chiacchierando con ben informati e testimoni oculari.
Le morti per overdose in città aumentano (basta leggere un quotidiano locale) e la massima incidenza non è tra persone alla sick boy di Trainspotting, ma socialmente integrate, lavoratori che si prendono una “pausa” a base di eroina in un hotel della zona Piave.
I medici che svolgono le autopsie fanno sapere che a Mestre si sta assistendo a un deterioramento anche nella tipologia di sostanze destinate allo spaccio, dato dal crescente volume d’affari che importa una riduzione dei costi (circa trenta per cento in meno rispetto al resto del Veneto e del Friuli) e della qualità delle sostanze offerte, con conseguente aumento dei decessi.
Altri raccontano con rabbia e rammarico della cabina per fototessera collocata in via Cappuccina angolo via Sernaglia, con tanto di tendina oscurante che sembra lì proprio per rispondere alle esigenze di buchi e stagnole delle quali è foderato il pavimento. Altri ancora ci raccontano che accanto a quella cabina si trova la fermata del tram “Sernaglia” e un muretto a mattoni vivi dove si siede chi attende lo spacciatore in monopattino elettrico e lo segue come il pifferaio magico, perché non riesce ad andare oltre la dipendenza: non sono giovanissimi, sono italiani e stranieri. Sono sempre le stesse persone.
Anche davanti al cinema Dante è frequente vedere la nota ragazza italiana bionda ed emaciata per necessità e non per moda anni Novanta (la cosiddetta heroin chic a fare “il palo” al ragazzo nordafricano che le grida: “guarda che non ci sia la polizia, almeno per duecento metri”, oppure gli stessi che attendono lo spacciatore alla fermata del tram “Sernaglia” che mangiano i gelsi dell’albero che si trova nel giardino di fronte all’ex sede del Consiglio di quartiere, dopo l’incontro sedativo che avviene circa tre volte al giorno.
A vedere tale routine consolidata, viene da chiedersi se la strategia di esibizione di forza dei sequestri possa costituire l’unica strada per arginare il fenomeno oppure se non fosse il caso di mettere da parte le convinzioni monolitiche in materia di lotta alla criminalità, mantenendo un minimo di fondi da destinare a strategie quantomeno capaci di coadiuvare, come allorquando l’assessorato ai servizi sociali tentava di avvicinare chi si trovava a essere dipendente da una sostanza, eliminando valutazioni di natura etica, ma affrontando empiricamente il problema con l’arcinoto camper.

Da più parti viene riferito che il nostro primario metropolitano abbia anche versato qualche lacrima durante una riunione coi dipendenti dell’Assessorato alle politiche sociali, da autentico politico perché – si sa – se l’adulatore ride alle battute del tiranno (così si leggeva nelle nostre versioni del liceo) , il vero politico sa piangere “a comando”.
L’ultimo rumor inquietante, per fornire un quadro completo del contesto, sarebbe quello proveniente dalla Questura di Venezia, secondo il quale solo quattro unità sarebbero destinate alle operazioni di basso cabotaggio sugli stupefacenti, a fronte di una precedente squadra costituita da circa otto unità alle dirette dipendenze del Questore. Così pare.
Aldilà delle informazioni, si manifesta un pesante deterioramento del contesto appena descritto, complice una Mestre pressoché disabitata durante l’estate e dalla quale tutti fuggono appena possono, con situazioni di autentica desertificazione nel fine settimana.

Tale vuoto sociale di abitanti e iniziative lascia lo spazio agli imprenditori degli stupefacenti, con l’aumento degli acquirenti da tutte le tre Venezie e l’estensione evidente dell’area di spaccio, ben visibile in piazza Barche, via Forte Marghera e Favaro, in netta antitesi con gli obiettivi dichiarati dal nostro primario Gigio. E, secondo il detto veneziano <em>”il primario ga ea canna, el secondario ga el capeo”, anche i nostri addetti alla sicurezza locale non sono stati efficienti, a partire dal secondario-Agostini (che ci ricorda nelle fattezze il primario Sassaroli/Adolfo Celi di Amici miei) che non ha pensato di chiedere aiuto al suo precedente superiore gerarchico, attuale Prefetto Zappalorto, affinché l’inadeguatezza strutturale della Polizia Locale fosse sostenuta attraverso un coordinamento tra forze dell’ordine di carattere statale.
Non si può eliminare lo spaccio di droga, sia chiaro, ma occorre dire che l’aumento dei sequestri della local polizia non può dirsi un successo, data la crescita smisurata del fenomeno, ma un esito scontato.
I nodi irrisolti, però, rimangono sempre i medesimi: difficoltà da parte di chi abita nelle aree interessate, ove vivono molti anziani e di chi viene irretito dalla dipendenza, come sta dimostrando il recente appello dei residenti di Marghera che chiede di gestire il problema con strategie congiunte, volte a reprimere, ma anche con interventi di carattere sociale.
Il ricettario di questa amministrazione – solo pattuglie sulle auto e dinamiche da guardie e ladri – è inferiore a una cura omeopatica, con buona pace di numeri e statistiche di fine anno e con il silenzio-assenso di chi dovrebbe coordinare tutte le forze a disposizione, in rappresentanza della Repubblica sul territorio, sia quelle destinate alla pars repressiva, sia quelle destinate pars costruttiva.

Immagine di copertina: Stupefacenti sequestrati dalla Guardia di Finanza di Venezia.

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