Cina-Usa. Mezzogiorno di fuoco su Taiwan

BENIAMINO NATALE
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Qualcuno, scherzando su Twitter, ha così riassunto la video conferenza che ha visto riuniti, il 28 luglio scorso, il presidente americano Joe Biden e quello cinese Xi Jinping:

Xi a Biden: “non cambiare lo status quo di Taiwan”.

Biden a Xi: “non cambiare lo status quo di Taiwan”.

A parte le battute, il destino dell’isola di fatto indipendente ma rivendicata dalla Cina, è stato al centro della conversazione tra i due presidenti, che è durata più di due ore. Secondo il resoconto della Casa Bianca, Biden e Xi hanno parlato anche di commercio, di cambiamento climatico, di Covid-19 e di diritti umani in Cina. Escluso l’ultimo punto, la versione cinese coincide. 

Da Pechino mettono l’accento sulla durezza con la quale Xi ha affrontato il problema di Taiwan: “chi gioca col fuoco, finisce per scottarsi”, ha detto il numero uno cinese. Xi ha aggiunto che gli Usa devono rispettare il “principio” dell’“unica Cina”. Biden, riferiscono gli americani, gli ha risposto affermando che gli Usa continuano a seguire la “politica” dell’unica Cina e a sua volta ha ammonito il leader cinese a “non cambiare la situazione” nello “stretto di Taiwan”.

Nancy Pelosi

In effetti, lo “status quo” di Taiwan è un capolavoro di ambiguità diplomatica che ha funzionato per quasi cinquant’anni rispettando le esigenze di tutti. Secondo il compromesso raggiunto l’isola appartiene alla Cina in prospettiva, per il momento rimane autonoma ma non è riconosciuta come paese indipendente dalla comunità internazionale. I paesi occidentali mantengono nella capitale Taipei degli uffici “commerciali” che di fatto svolgono le funzioni di ambasciate. Taiwan ha rapporti soprattutto commerciali – data la sua importanza come centro della tecnologia avanzata – col resto del mondo, Cina compresa. La Cina lascia correre e ha la soddisfazione di sapere che un giorno l’isola sarà assorbita. Nessuno l’ha affermato esplicitamente ma, fino a prima dell’avvento al potere di Xi, tutti pensavano che la “riunificazione” sarebbe avvenuta con una Cina democratica. 

Le polemiche su Taiwan e sul suo “status” si sono moltiplicate dal 2016, cioè da quando a Taipei è al potere Tsai Ing-wen, la popolare leader di un partito indipendentista. Taiwan è una democrazia e Tsai ha vinto due tornate successive di elezioni.

Oggi la tensione è alta per due ragioni: prima di tutto, l’annunciata – anche se non confermata – visita a Taipei della presidente del Congresso americano, la californiana Nancy Pelosi (che è la terza autorità costituzionale, dopo Biden e la presidente Kamala Harris); secondo, e più importante, il fatto che Xi è a pochi mesi da un congresso del Partito comunista cinese che dovrebbe eleggerlo come segretario – e quindi presidente della Repubblica e capo delle forze armate – per un terzo mandato, cosa che non ha precedenti. L’abolizione della regola dei due mandati è stata mal digerita da vasti settori del partito e Xi certo non può permettersi di apparire debole e indeciso su una questione vitale per il partito come la “riunificazione” con Taiwan.

Xi Jinping

Poco dopo aver trasferito al regime di Pechino il titolo di “unica Cina” riconosciuta, gli Usa hanno fornito al loro antico alleato – la Taiwan del dittatore cinese Chiang Kai Shek, anticomunista e avversario del leader dei comunisti cinesi Mao Zedong – una serie di garanzie per i rapporti futuri, contenute nella legge chiamata Taiwan Relations Act (Tra). A proposito di ambiguità, sentite come il Tra affronta il problema di un eventuale intervento militare americano in risposta a un eventuale attacco cinese:

(…) the United States shall provide Taiwan with arms of a defensive character and shall mantain the capacity of the United States to resist any resort to force or other forms of coercion that would jeopardize the security, or social or economic system, of the people of Taiwan.
(Gli Usa forniranno a Taiwan armi di carattere difensivo e manterranno la capacità degli Usa di resistere a qualsiasi uso della forza o altre forme di coercizione che potrebbero mettere in discussione la sicurezza, il sistema sociale o il sistema economico del popolo di Taiwan).

Chi da questo capisce se gli Usa interverranno o no in caso di iniziativa militare cinese, alzi la mano.

Il vero problema sta nel drammatico errore che le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale fecero accettando il “principio” dell’esistenza di “una sola Cina” che comprende Taiwan, cosa storicamente molto dubbia. Come “unica Cina” fu ammessa nell’Organizzazione delle Nazioni Unite la Taiwan del nazionalista Chiang Kai Shek, che negli anni Quaranta del secolo scorso era stato tra gli inventori di questo “principio”. Quando nel 1972, gli USA di Richard Nixon ed Henry Kissinger, con un colpo di teatro, si allearono con i comunisti cinesi contro i comunisti dell’allora Urss, la frittata era fatta e si cercò di rimediare con il Tra, che come abbiamo detto, fino a oggi ha funzionato con soddisfazione, anche se non completa, di tutti gli attori.

Vari portavoce cinesi hanno usato espressioni minacciose per indicare il modo nel quale Pechino reagirà all’eventuale – ma probabile – visita a Taipei di Pelosi. Quanto agli Usa, ha affermato un portavoce, a Pelosi è stato chiarito “tutto il contesto” nel quale si svolgerebbe la sua visita, compreso il fatto che “secondo i militari non è una buona idea”. Difficile che rinunci all’idea. E difficile che la Cina non reagisca con manovre militari, incrementando le già numerose violazioni dello spazio aereo taiwanese e, forse, minacciando lo stesso aereo di Pelosi. Dal tono della conversazione tra Xi e Biden non sembra che ci siano intenzioni bellicose da parte di nessuno ma il “contesto” è tale che la situazione potrebbe facilmente sfuggire di mano.

Cina-Usa. Mezzogiorno di fuoco su Taiwan ultima modifica: 2022-07-29T22:05:10+02:00 da BENIAMINO NATALE
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