Tra le trasformazioni che hanno segnato gli ultimi due secoli, quella relativa al protagonismo femminile occupa un posto di primo piano. La ricostruzione del passato, delle azioni, delle opere, del pensiero deve svolgersi attivando una maggiore integrazione fra storiografia tout court e storia delle donne, operazione che, da diversi decenni, può definirsi un lavoro già ben avviato. Integrazione necessaria non solo ai fini di un legittimo orgoglio femminile, ma anche allo scopo di una rielaborazione più ricca e puntuale della storia e della storia del pensiero politico. Integrazione, quest’ultima, con la storia del pensiero politico, che, rispetto a quella con la storiografia, ci sembra scarsamente adottata come metodo di ricerca. Basti sfogliare i manuali per rendersi conto di ciò: il solo nome femminile che vi si trova, forse, è quello di Hannah Arendt.
In questo senso, il manuale scritto da Fiorenza Taricone è una bella novità. Lo è già nel titolo: Manuale di pensiero politico e questione femminile (Aracne, Roma 2022).
Questo Manuale ha lo stesso titolo della disciplina, unica nel sistema universitario italiano, che ho attivato nel 2005 all’Università di Cassino e Lazio Meridionale, dove insegno anche Storia delle dottrine politiche. Benché avessi scritto nel 2006 un manuale dal titolo Elementi di storia delle dottrine politiche, e citato alcune pensatrici e scrittrici politiche, gli studi fortunatamente sono andati avanti, e quindi in questo testo ho allargato molto il ventaglio delle presenze femminili. La speranza è che l’Università non rinunci a dotarsi di una disciplina che dà agli studenti una conoscenza non monosessuata del pensiero politico, oltre a contrastare un’idea dispregiativa e inesatta della politica, spesso confusa.
Nel Manuale sorprende la pluralità delle voci maschili e femminili di orientamenti diversi: dai più progressisti a più convinti reazionari, assieme alla presenza costante nel dibattito politico di donne dei ceti più svariati: aristocratiche, autodidatte, militanti, scrittrici, filantrope, pedagogiste, donne, insomma, che definire lontane dalla vita politica sarebbe davvero azzardato.
Diciamo che se per pensiero politico intendiamo solo un corpus organico di dottrine ufficialmente riconosciuto e trasmesso, le donne avrebbero difficoltà a rientrare in questa definizione; se, invece, intendiamo pensieri, scritti e azioni anche al di fuori dell’ufficialità di luoghi deputati al sapere, come le Università a cui accedono dopo il 1874, esse entrano pienamente nei dibattiti che certamente sono di pertinenza di un pensiero e di una prassi politica a tutti gli effetti; a meno che non vogliamo sostenere che la riforma della famiglia, il diritto di voto attivo e passivo, la rappresentanza comunque intesa non siano temi di pensiero politico.
Quale è stata la spinta che l’ha sollecitata a scrivere questo Manuale?
Sostanzialmente due sono state le motivazioni: la consapevolezza che tutte le discipline storiche stanno correndo quasi un rischio di estinzione nei programmi scolastici, rischio parallelo a quello che i giovani corrono con la condanna all’eterno presente del web. Inoltre, la certezza, dopo tanti anni d’insegnamento di Storia delle dottrine politiche e di Pensiero politico e questione femminile, che ai giovani manchino nella crescita culturale gli elementi base della politica, confusa spesso con i soli partiti, rifiutata come malaffare, mescolata al qualunquismo. Inutile continuare a parlare di bene comune, se a contrapporsi all’individualismo edonistico opponiamo solo concetti confusi, privi di definizioni chiare e di una scansione temporale precisa.
Ciò che appare in modo preponderante, dalla lettura del suo Manuale, è l’elemento della contraddizione. Si pensi a Rousseau che, come Lei scrive, a dispetto della sua affascinante prosa, non è stato un esempio di coerenza fra capacità di analisi politica e comportamento nella vita privata. Oppure, ancora, consideriamo Montesquieu il quale, pur avverso al dispotismo, non condanna in quest’ultimo le condizioni in cui sono costrette a vivere le donne. Sorprendente, invece, è la modernità di Bentham che considera la violenza sessuale reato contro la persona. Ricordiamo che in Italia è stato considerato un reato contro la morale fino al 1996.
Il libro apre con il Seicento e quindi con il pensiero contrattualista che segna il passaggio dallo stato di natura alla società politica variamente disegnata, in cui le donne sono escluse dal contratto e, come ha scritto Carole Pateman, sono invece incluse in un contratto sessuale. Ma al padre del liberalismo inglese, John Locke, già rispondeva la scrittrice Mary Astell. Nel testo, quasi per ogni pensatore viene messa in evidenza l’idea che ha delle capacità, del ruolo e del destino riservati alle donne; accanto alla grandezza del pensiero compare inevitabilmente spesso anche la misoginia che ha caratterizzato la produzione saggistica. Contrariamente a quanto si pensa anche adesso, non è esatto affermare che le donne siano state ignorate dai pensatori politici; anzi, hanno costituito un ingombro teorico notevole, perché il potere riproduttivo doveva trovare una sistemazione logicamente coerente, operazione che è talvolta riuscita, talvolta no, facendo emergere palesi contraddizioni. Il Settecento, con la rivoluzione americana prima e francese poi, ha conosciuto una presa di parola diretta, una produzione scritta e un protagonismo femminile che hanno ribaltato la condizione femminile.

L’originalità di questo manuale si riflette anche nella scelta delle culture politiche da prendere in esame. Ampio spazio è dedicato, ad esempio, al pensiero federalista, utopista, all’associazionismo. Se per pensiero politico, come si diceva, intendiamo solo un corpus organico di dottrine ufficialmente riconosciuto, le pensatrici avrebbero difficoltà a rientrare in questa definizione. Ma nell’Ottocento le cose cambiano e si fa strada la prassi associazionista, tema, quest’ultimo, su cui Lei ha concentrato molte delle sue ricerche.
L’Ottocento è un secolo di svolta per l’istruzione femminile; le bambine, più analfabete dei loro coetanei, iniziano ad approcciare la lettura e lo scrittura e le maestre, che superano presto il numero dei maestri all’inizio del Novecento, hanno un ruolo chiave nell’educare gli italiani, oltre che nel fare gli italiani. A fine Ottocento, il numero delle lettrici è considerevole, ma cresce anche il numero delle donne che scrivono in prima persona, nei periodici e nelle riviste, firmano testi consigliati nelle scuole, sotto pseudonimo pubblicano libri d’indagine sociale, che hanno come protagoniste le sedotte e abbandonate, le detenute, le prostitute. Le donne si abituano a parlare in pubblico e in questo l’associazionismo è stata una formidabile palestra. Nelle leghe e nelle Camere del Lavoro, le più colte avvicinano le operaie sfiancate da orari di lavoro che solo la legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli del 1902 mitigherà, arrivando a 10 ore, anziché 14. Sui diritti sociali, civili e politici molte sono le voci di uomini e donne che riporto nel libro, che danno un’idea di quanto il dibattito fosse non solo misogino, ma anche avanzato.
Nel capitolo “Diffusione dell’idea federale”, oltre a richiamare Kant per la Germania, il sansimonismo per la Francia, Cattaneo e Mazzini per l’Italia, compare anche un nome spesso ignorato: Ursula Hirschmann, ricordata prevalentemente come moglie di Altiero Spinelli.
Una omissione a dir poco vistosa se si pensa, invece, alla sua vita privata, prima come moglie di Eugenio Colorni e poi di Spinelli, al ruolo essenziale nelle discussioni per la genesi del Manifesto di Ventotene e a quello altrettanto essenziale di esportazione di questo scritto insieme ad Ada Rossi, moglie di Ernesto Rossi. Al di là degli aspetti rocamboleschi del trafugamento, le mogli avevano la possibilità di fare la spola fra l’isola e il continente e dunque di far uscire il Manifesto, tradotto poi da Ursula apolide e trilingue. Senza dimenticare tutti gli sforzi successivi per diffondere l’ideale europeistico, e anche per avvicinare, negli anni Settanta, i movimenti femministi all’Europa stessa».
Quale ruolo ha la donna nelle utopie?
Molto diversificato e molto complesso. Contrariamente a quello che spesso si pensa, l’utopia, oltre a essere certamente il ribaltamento della società contemporanea, con aspirazioni fortemente egualitarie, non è il regno della libertà; anzi, tutto viene descritto e prescritto, e il ruolo delle donne è centrale, anche se questo non significa che sia liberatorio. A volta si arriva all’eugenetica, altre volte si leggono utopie repressive come quelle di Restif de la Bretonne. Ma le donne scrivono anche di utopie come Mademoiselle de Montpansier».
Completata la lettura di questo Manuale, si capirà meglio quanto scrivevamo all’inizio, circa quella necessaria integrazione fra ricostruzione del pensiero e storia delle donne: lo si capisce dalla ricchezza delle riflessioni che vi si aggiungono, che le donne aggiungono, e dalla sensazione, appagata, di una maggiore completezza di sguardi e vedute sul mondo.



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