Capire, e utilizzare, i sistemi elettorali

ADRIANA VIGNERI
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Non mancavano buone ragioni per riformare il Rosatellum. Che prevede un sistema misto. Per circa due terzi proporzionale (62,5 per cento), con distribuzione dei seggi fra le liste (o le coalizioni di liste) che presentino un elenco di non meno di due e non più di quattro candidati nelle venti circoscrizioni del Senato e nelle 48 circoscrizioni della Camera. Per circa un terzo maggioritario (37,5 per cento), con assegnazione del seggio al candidato (della lista o della coalizione di liste) che abbia ottenuto nel collegio il maggior numero di voti. L’elettore non ha la possibilità di esprimere preferenze (per inciso, gli ambiti territoriali in cui si presentano le liste si chiamano circoscrizioni, quelli, più ristretti, in cui si presentano i candidati uninominali si chiamano collegi).

La legge è stata l’esito di un compromesso tra fautori del modello proporzionale e quelli del modello maggioritario all’indomani della sentenza n. 35 del 2017, con cui la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità della legge n. 52 del 2015 (il cosiddetto Italicum) nella parte in cui prevedeva l’attribuzione di un premio di maggioranza mediante un secondo turno di ballottaggio tra le due liste che avessero ottenuto il maggior numero di voti al primo turno. Secondo la Corte si correva il rischio, grazie al premio di maggioranza, di un’irragionevole sproporzione tra voti ottenuti e seggi conseguiti (già censurato con la sentenza n. 1 del 2014). Per non correre il rischio dell’irragionevole sproporzione, la legge del 2017 ha scelto di far sparire del tutto il premio di maggioranza. E tuttavia ha introdotto un sistema misto, difficilmente comprensibile: da un lato mantiene il voto di lista in cui ciascuno vota il suo partito, dall’altro spinge a coalizioni le più ampie possibili, al prezzo di qualunque eterogeneità, senza consentire il correttivo della desistenza (chi ha applicato invece il Mattarellum se lo ricorda). Un sistema che finisce con l’essere molto sbilanciato dal voto uninominale, quello veramente decisivo.

A questo si aggiungono gli effetti dell’applicazione di questo sistema elettorale ad un parlamento dimezzato. Si accentua il carattere maggioritario per il solo fatto della consistente diminuzione del numero degli eletti. Si determina “un sistema elettorale misto a trazione fortemente differenziata fra le diverse regioni” per effetto del diverso numero degli eletti. Si aumenta l’eventualità di esiti elettorali diversi per i due rami del Parlamento, che entrambi votano la fiducia al Governo. La Corte costituzionale ha avvertito che la Costituzione

se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non ostacolino la formazione di maggioranze parlamentari omogenee (sent. n. 35/2017).

Venute meno le speranze che i sistemi elettorali ponessero rimedio ai difetti del sistema dei partiti, si comprende perché sia cresciuto il favore per le tradizionali soluzioni proporzionali, che non richiedono coalizioni eterogenee e poco capaci di una solidale azione di governo. I governi si costruiscono poi, in Parlamento. Senonché, nonostante gli impegni assunti al momento del voto che ha tagliato il numero dei parlamentari, tra i quali il cambiamento della legge elettorale, nessuno di quegli impegni è stato realizzato, tanto meno la riforma del sistema elettorale.

Abbandoniamo ora gli aspetti tecnici e veniamo al pratico: i sistemi elettorali si distinguono se votano un governo (una maggioranza di governo), o votano una serie di eletti dei diversi colori politici, che poi in Parlamento trattano la formazione di un governo, quello che potrà riscuotere la fiducia delle due Camere.

Il sistema con cui voteremo il 25 settembre è di questo secondo tipo, anche se ha una forte connotazione maggioritaria. Come abbiamo visto, poiché una parte dei seggi (il 37,5 per cento) è uninominale (una circoscrizione elettorale, un solo eletto), in quei seggi il candidato uninominale per vincere deve prendere un voto in più dei suoi concorrenti. Quindi deve accettare i voti di tutti coloro che hanno come lui l’obiettivo di sconfiggere lo schieramento avversario, e quindi di conquistare più seggi. Ciò non significa che con tutti loro poi formerà un governo, dato che in Parlamento il sistema funziona come un proporzionale: gli accordi sulle maggioranze di governo si fanno in Parlamento e non di fronte all’elettore.

Ne deriva che entro certi limiti non è ragionevole rifiutare i voti di chi vuole stare dalla tua parte, una volta stabilito che le parti sono due e soltanto due. Dato che il sistema non prefigura alleanze di governo ma soltanto alleanze elettorali rese necessarie dalla quota uninominale a turno unico. Può capitare così di “fare un favore” ad un partito o movimento che hai combattuto prima, o con cui hai dissentito su un aspetto cruciale (come la fiducia al governo Draghi), ma si tratta di un favore contestualmente ricambiato. 

Con ciò non si nega che occorra tener conto della sensibilità del proprio elettorato e delle relative possibili reazioni. Ma proprio per questo è necessario capire e far capire come funziona il sistema elettorale che si sta applicando, per evitare ripercussioni indesiderate sugli schieramenti degli elettori. I quali non sono così cinici come il sistema elettorale richiederebbe, e cercano motivazioni politiche ed insieme emotive per collocare il proprio voto.

Un esempio di chi non ha capito e non sa usare questo sistema elettorale? Eccolo:

“Ho fatto un patto con il segretario del Pd avendo sempre in mente l’idea di costruire un’alternativa di governo”, ha scritto Calenda per giustificare il suo ritiro dal patto. Non capendo che avrebbe avuto tutto il tempo e i seggi, poi, per costruire un’alternativa di governo, certo, capisco forse non con Fratoianni.

Capire, e utilizzare, i sistemi elettorali ultima modifica: 2022-08-07T20:45:36+02:00 da ADRIANA VIGNERI
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